XXXIII Dylan: BED OF ROSES
Canada, 3 luglio 2010
"Dove ti sei procurato quel livido sulla fronte?"
La voce di Anastasia di prima mattina è nauseante. Se potessi metterla in modalità <<muto>> esattamente come un televisore, lo farei all'istante!
"Ho sbattuto, niente di grave" taglio corto.
Lei apre la porta del suo ufficio, lasciandomi passare.
Accedo al mio armadietto, mi tolgo la giacca e la appendendo alla stampella.
Anastasia arriccia il labbro superiore, "Ancora con questi abiti da signore dell'Ottocento? Ci sono un sacco di negozi sportivi là fuori, non riesci a prenderti una t-shirt come tutti i ragazzi della tua età?"
Indosso il camicie, limitandomi a fare spallucce. Già ho stravolto le mie abitudini quotidiane, adesso, secondo lei, dovrei scombussolare pure quelle del mio look?
"Credi di essere figo?" insiste la donna, "non siamo a un ricevimento di gala e neanche al ristorante. Per aiutare gli altri devi stare comodo in primis tu stesso!"
La fulmino con uno sguardo. "Io sto comodo così!" replico.
Anastasia alza le mani, emettendo un falso sorrisetto. "Okay, okay. Non ti scaldare!" squittisce, "oggi burocrazia! In bocca al lupo!" esce dall'ufficio, lasciandomi un pacco di carte da sistemare.
Sono inviti, pubblicità e volantini.
Tutte cose inutili.
Passo due ore seduto alla scrivania, a smistare e ordinare i fogli all'interno delle apposite cartelline. E' noioso, ma almeno mi permette di stare seduto, di non scambiare inutili chiacchiere con nessuno e, soprattutto, di non assistere persone zoppe o cieche nei loro spostamenti.
Al termine del lavoro, decido di fare un salto alla stanza della terapia.
Se il padrone della taverna ha rispettato i patti, Iris non è più nel suo staff di camerieri e io sento il bisogno di sapere come sta.
La cerco nelle file di poltrone.
La grande finestra a vetro lascia penetrare il debole sole mattutino.
Seguo la direzione dei raggi, fino alla chioma chiara e inconfondibile di Iris.
Il biondo dei suoi capelli è pura luce nella stanza azzurra.
Scendo con lo sguardo.
Vedo le sue mani impegnate a sfogliare una rivista.
Improvvisamente ricordo del mio compito.
Recuperare il giornalino di Steve e riportarlo nel nascondiglio.
Devo farlo prima che quel ragazzo torni alla carica con qualche altra minaccia.
Lancio uno sguardo al pacco di giornali posti sul carrello, quello dal quale possono attingere anche i pazienti. Mi avvicino e sfilo l'ultima rivista della pila.
E' proprio quella che avevo nascosto.
La infilo velocemente in tasca.
Mi guardo intorno.
Per fortuna nessuno si è accorto di niente.
Porto di nuovo attenzione a Iris.
E' così concentrata sulle immagini, che non sembra particolarmente affranta.
Forse non ha preso poi così male il suo licenziamento.
Infilo le mani nelle tasche del camice, assicurandomi che la rivista sia ben nascosta e faccio qualche passo avanti.
Mi sistemo esattamente di fronte alla ragazza.
"Ciao" sussurro.
Iris alza lo sguardo dalla pagina che sta leggendo. I nostri occhi si incontrano.
Tutto intorno a noi si muove.
La flebo appesa sopra la sua testa continua a scendere, goccia dopo goccia.
La radio prosegue indisturbata a diffondere le note di Bed of Roses.
Le infermiere discutono tra loro sui turni di lavoro.
Io e Iris siamo fermi. Siamo le uniche cose ferme che ci siano.
Ci guardiamo.
Semplicemente.
Poi lei sposta l'attenzione alla bozza sulla mia fronte. "Come va?" mi chiede.
"Meglio"
"Merito della patata?"
Mi incanto sulle sue labbra.
Sembrano ancora più morbide di ieri.
"Dunque? Merito del mio rimedio naturale?" insiste.
Torno sui suoi occhi. "Sì" biascico, "credo di sì". O forse del whisky alla cannella. Penso.
"Mi avrebbe fatto piacere se tu fossi rimasto a pranzo ieri. C'era il pollo arrosto"
Muovo i piedi sul posto. "I pranzi in famiglia non sono il mio forte!"
Iris sorride. "Mio padre è molto ospitale. Non farti spaventare dalla sua loquacità!"
Non riesco a staccarmi dai suoi occhi.
Il verde delle sue iridi è qualcosa di magico e misteriosamente attraente. "E tu, come stai?" domando.
Iris tamburella con le dita sulla pagina della rivista.
Osservo le sue mani. Sono piccole e ossute.
Le unghie sono corte e non hanno una forma regolare. Sono strane.
Non ne ho mai viste di simili.
Lei si accorge della direzione del mio sguardo e nasconde istintivamente la mano sotto alla pagina. "Sto bene" dice.
Fisso ancora i suoi occhi.
Le parole non sembrano corrispondere all'intensità del suo sguardo.
Faccio un passo indietro e poi un altro ancora.
Bon Jovi e la sua voce roca e graffiante mi accompagnano.
Questa canzone è bella e triste allo stesso tempo. Non lo avevo mai notato prima di adesso.
Iris chiude la rivista e accavalla una gamba sull'altra. "No!" afferma, "in realtà non sto molto bene"
Mi blocco.
Un brivido mi sale lungo la spina dorsale.
E' freddo. Fa quasi venire la pelle d'oca.
"Ho appena perso il lavoro" dice.
Porto le dita tra i capelli, arruffandoli e spingendoli indietro.
La musica finisce e lo speaker riprende a parlare; delle condizioni meteorologiche, del turismo, del tempo che scorre.
Iris solleva il volto in direzione della flebo. " Quel lavoro era importante per me. Mi aiutava a pagare tutto questo!"
Vorrei dirle di stare tranquilla, che ho già pensato a tutto io, ma non posso farlo.
Non posso interferire nella sua vita e nelle sue scelte, almeno non apertamente.
E' chiaro che Iris non possa lavorare, così come è chiaro che io la aiuterò a non farlo.
Punto.
"Mi dispiace" guardo anche io la soluzione giallastra che scende. Seguo il tubo trasparente, fino al braccio di Iris.
I miei occhi restano incollati al marchingegno che ha sulla pelle, anzi addirittura dentro di essa.
"E' un catetere venoso" mi spiega lei.
L'oggetto è fissato da un cerotto trasparente, il quale rende la cosa ancora più inquietante.
"Serve perchè possa fare terapie ogni giorno, senza dover subire ogni volta una nuova puntura"
Deglutisco. "Non lo togli mai?"
"Già" sorride.
Sbatto le palpebre frastornato.
Iris riapre la rivista che stava leggendo. "Non mi dà fastidio. Non ci sono aghi dentro, è solo un piccolo tubo di plastica. Poi ormai è parte di me. Non faccio neanche più caso di averlo!"
Annuisco.
Tutto ciò che riguarda aghi, sangue e cerotti mi fa una certa impressione.
Vorrei vedere la mia faccia in questo momento.
Credo che sia più pallida del camice che indosso.
***
A fine turno, il dottor Cox lascia che prenda dalla bacheca le chiavi della sua auto.
Gli ho detto di aver dimenticato lì il mio portafoglio. In realtà è solo la prima scusa che mi è venuta in mente per poter accedere alla sua vettura e rimettere la rivista al proprio posto.
Con estrema facilità raggiungo il parcheggio e porto a termine il mio compito.
Quando torno all'interno, per riconsegnare le chiavi al suo proprietario, la porta dello studio è socchiusa.
Sbircio dentro. Cox sta parlando con Iris.
Sono seduti l'uno di fronte all'altra.
Il medico ha in mano una busta, anzi la busta.
Quella natalizia. Quella che gli ho fatto recapitare in forma anonima.
In silenzio ripongo le chiavi nella bacheca e, senza che nessuno dei due si accorga della mia presenza, mi dileguo.
NOTE AUTRICE:
Ciao !!!!!
Spero che la storia vi stia piacendo.
So che si parla di una malattia, so che dietro i grandi occhi verdi di Iris si cela la sofferenza, ma spero di riuscire a rendere il racconto il più speciale possibile.
Senza annoiarvi e senza deprimervi!
Bed of Roses sarà la canzone di Dylan e Iris o come qualcuno li ha già chiamati: #Dyris
Non poteva essere diversamente!
A presto!
Un abbraccio a tutti.
Serena
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