XXVII Dylan: NEWYORCHESE IN ESILIO

Canada, 1 luglio 2010

Iris mi conduce sul retro.
Apre la porta del garage, facendo leva su una piccola cordicella.
La seguo. Non so quali siano le sue intenzioni ma, in questo momento, non sono in grado di fare nient'altro eccetto che affidarmi a lei.
La vedo appoggiare la biciletta vicino al muro e muoversi esperta tra strumenti per il giardinaggio e casse di frutta e verdura.

Mi guardo intorno. La stanza è piccola e buia.
Ci sono odori misti e incomprensibili.

"Ecco!" Iris torna vicino a me con qualcosa di marrone in mano, "con questa starai sicuramente meglio!" mi schiaccia contro la fronte una oggetto duro e freddo.

Balzo indietro, afferrandole il polso. "Ehi! Cos'è?"

"Non morde stai tranquillo" ride, "è solo una patata!"

Lascio andare il suo braccio.
La sua pelle è molto liscia e le sue ossature sono così sottili, che ho quasi paura di poterle incrinare.

"Me lo ha insegnato Eva, la mia matrigna. Lei usa sempre questo rimedio quando mia sorella cade a terra e si fa male"

"Okay" annuisco. Non sono molto convinto che possa funzionare, ma non oso contraddirla. Sembra così sicura di ciò che dice!

Mantengo il tubero sulla fronte.

Iris mi guarda dal basso verso l'alto.
E' rimasta in piedi esattamente di fronte a me.

Studio i suoi lineamenti.
I tratti del suo volto sono davvero ben equilibrati.
Nonostante la penombra i suoi occhi risplendono di quel verde così acceso, brillante e pieno di energia.

Non ho mai visto una persona malata tanto viva quanto lei.

"Va meglio?" chiede.

Annuisco. La botta mi fa ancora molto male, ma è comuque un dolore sopportabile.

Iris sorride.

Mi incanto di fronte alla sua bocca.
È armoniosa e sembra anche molto morbida.

"Devi stare più attento quando cammini, qui a Banff ci sono lampioni ovunque. Sai, i turisti, la buona illuminazione delle strade..."

"Credo di ricordarmelo, per le altre volte!"

Lei ride ancora.
Ha denti bianchi e leggermente irregolari.

Nella stanza non c'è altro rumore se non quello dei nostri respiri. Un suono che fa più confusione di un concerto rock in piena regola.

"E così hai una sorella" rompo il silenzio, divenuto quasi imbarazzante.

Iris porta le mani ai capelli, sistemandoseli dietro le orecchie. "Rose. E' una sveglia bambina di dieci anni. In realtà è la mia sorellastra. Mio padre, dopo la rottura con mamma, ha conosciuto Eva. Si sono sposati e insieme hanno avuto una figlia. Quando Rose è nata io avevo nove anni. Le ho voluto bene fin da subito. Anche a Eva voglio molto bene. Entrambe rendono belle le nostre giornate"

"E tua madre?" chiedo.

"Mia madre se n'è andata non appena ha scoperto della mia malattia. Avevo pochi mesi, neanche l'ho conosciuta. E' stato mio padre a crescermi. E' lui che devo ringraziare per essere la ragazza forte che sono oggi."

Non so cosa dire. Non sono mai stato bravo nell'ascoltare gli altri, soprattutto nel dare consigli. Neanche le storie melodrammatiche sono il mio forte.

Tolgo il tubero dalla fronte, rigirandolo tra le mani.

Iris spinge il mio braccio di nuovo contro la testa, " Tienilo ben adeso, altrimenti non farà alcun effetto!"

"Agli ordini!" riporto il medicamento naturale sulla pelle. Mi scivola di mano. Lo recupero al volo, facendogli fare un paio di rimbalzi.

Iris camuffa un sorriso. Deve essere divertente per lei vedermi alle prese con una patata.
Ecco, per me non lo è affatto!

Mi sento ridicolo e fuori luogo.
Sono nel garage di una casa in un paese sconosciuto dell'Alberta. Sono con uno stupido tubero in mano, ad ascoltare le tristi parole di una perfetta sconosciuta.

All'improvviso una voce maschile si avvicina a noi. " Tesoro, sei tu?"

La ragazza va incontro all'uomo che si è appena affacciato alla porta. " Papà!" lo saluta con un bacio sulla guancia.

Che schifo!
Non bacerei mio padre neanche se mi regalassero un migliaio di casse di vodka!

Storco il naso, emettendo un paio di colpi di tosse.

Iris si slaccia dall'uomo, " Lui è mio padre, Mike Sanders. Guardiano del parco di Banff e più grande amore della mia vita!" lo trascina al mio cospetto, " e lui papà, è Dylan, Dylan..." mi guarda per chiedere aiuto.

"Prince" allungo una mano, " newyorkese in esilio forzato, tanto piacere signore!"

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