XXII Iris: DESTINO
Canada, 30 giugno 2010
Accompagno la signora Molly all'uscita.
Suo marito l'aspetta fuori. Sta ancora piovendo e venirla a prendere con l'auto fino all'ingresso è un gesto molto carino da parte sua.
"Sono felice che tu stia meglio" mi dice la donna, "quando l'altro giorno ho saputo del tuo malore, per poco non ho avuto un mancamento!"
"Adesso è tutto okay. Ho la pelle dura io!" scherzo, " questa sera riprenderò anche il lavoro alla taverna. Steve mi ha sostituita per tutto il fine settimana..."
"Quel ragazzo ha un cuore d'oro!" riconosce, "e ti vuole davvero un gran bene."
Annuisco. Steve è il mio migliore amico.
Su di lui posso sempre contare.
La signora Molly porta il bastone avanti e fa qualche altro passo. Le cammino affianco, sorreggendola.
All'improvviso una mano si posa sulla mia spalla. Un tocco nuovo, inaspettato.
Mi volto.
Davanti a me c'è il tipo del volontariato.
Indossa una giacca blu e una camicia bianca perfettamente abbottonata.
Prima, con il camice addosso, non avevo notato quanta fosse la sua eleganza.
Gli occhi del tipo mi fissano nello stesso modo di questa mattina. Non mi sembra uno sguardo nuovo. Non mi sembra niente che non abbia già visto. Pupille scure, affogate in pozzi neri come l'inchiostro.
L'angelo. Si tratta dell'angelo...
Il giovane continua a osservarmi senza battere ciglio. Nella mia testa si sovrappongono un milione di immagini. Repentine e sconnesse.
Flah ripetuti che, tuttavia, si incanalano in un unico tunnel: Il lago, il mio sfinimento, i soccorritori, Steve, il dottor Cox e poi quegli occhi. Gli occhi più belli e misteriosi che abbia mai incrociato.
La signora Molly guarda il giovane, poi guarda me e ancora lui. " Morettino, volevi dirci qualcosa?" gli sventola davanti al naso il manico del suo bastone.
Il ragazzo toglie la mano dalla mia spalla, come se improvvisamente avesse preso a bruciare.
Si gira verso Molly, quasi fulminandola con un'occhiata. " Dylan" grugnisce, " Mi chiamo Dylan, quante volte dovrò ripeterle il mio nome?"
Lei ride di gusto. Poi si volta, diretta verso l'auto del marito.
Rimango faccia a faccia con lo sconosciuto, che continua a guardarmi, rimanendo muto come un pesce.
"Volevi dirmi qualcosa?" ripeto le parole di Molly per rompere il ghiaccio.
"Volevo...volevo chiederti scusa, per poco fa, sai il giornale...le donne nude e..." infila le mani nelle tasche e alza le spalle.
Le mie labbra si piegano in una specie di sorriso. " Okay. Sei scusato, anche se credo non capirò mai cosa ci troviate voi uomini in quel genere di cose!"
Lui scuote la testa, " No, ma cosa hai inteso? Quella rivista non era mia, posso spiegarti, ecco...hai presente l'auto del dottor Cox? L'ho trovata lì questa mattina. Nascosta dentro al cassetto del cruscotto. Non avrei dovuto prenderla, ma l'ho fatto solo perché lui è rientrato all'improvviso e non sapevo come dove metterla, così l'ho infila in tasca e..."
"Non devi giustificarti, neanche inventare scuse assurde" lo rassicuro, " neanche ti conosco, per quanto mi riguarda puoi leggere quello che vuoi, davvero!"
"Stai scherzando?" toglie le mani dalle tasche, per passarsi le dita tra i capelli.
Il gesto mi lascia a bocca aperta.
Non ho mai visto niente di tanto attraente.
Per qualche strano motivo il mio cuore prende a battere veloce e le gambe a tremare dolcemente.
"Io non leggo quel tipo di giornaletti!" protesta, "sono disgustosi, giuro che non fanno per me, giuro che..."
" Ti credo" lo fermo, " sul serio, ti credo!"
Lui si zittisce all'istante.
I suoi occhi fissano i miei in modo insistente. In modo strano e diverso.
Nessuno mi ha mai osservata così.
E' come se con un semplice sguardo volesse arrivare a leggere nel profondo della mia anima.
Non riesco a reggere tutta questa attenzione.
E' troppo ingombrante. "Scusami, devo andare. Mio padre mi aspetta per pranzo" mi congedo.
La pioggia cade sempre più forte. Batte sul marciapiede e contro i muri delle case.
E' fredda e si porta via con sè i primissimi giorni dell'estate.
Apro l'ombrello e mi incammino verso casa.
Il tipo mi segue. Non ha un ombrello o un impermeabile o anche un semplice cappuccio.
Non ha niente. Cammina al mio fianco, bagnandosi completamente capelli e vestiti.
Senza troppo entusiasmo mi fermo, permettendo anche a lui di ripararsi.
Torno a guardarlo.
Santo Cielo!
E' complicato anche solo stare a vederlo.
"Mi stai seguendo?" chiedo.
Lui alza le spalle. I capelli gli ricadono sulla fronte a piccole ciocche. "Posso accompagnarti a casa?"
"Perché?"
"Per sdebitarmi..."
Il suo corpo è come una gigantesca calamita. Mi attira, facendomi dimenticare tutto il resto. "Dove hai l'auto?" mi guardo intorno.
"A New York"
"Mi stai prendendo in giro?" sospiro, " come hai intenzione di accompagnarmi allora?"
"A piedi" replica, " terrò io l'ombrello per entrambi. Faremo due passi"
Lascio che afferri il manico di legno e riprendo a muovermi. Lui lo fa accanto a me, questa volta al riparo dall'acqua.
"Hai detto New York. Dunque sei tu il ragazzo ospite del dottor Cox?"
"Esatto!" annuisce, " a quanto pare le notizie viaggiano in fretta qui a Banff"
" Il paese è piccolo, le persone si conoscono quasi tutte tra sè" gli faccio presente.
Il tipo guarda avanti. Il suo profilo è carino.
Ha un'aria malinconica e irregolare.
"Quante altre cose sai sul mio conto?" si gira appena, cogliendomi a studiarlo.
Riporto subito l'attenzione sulla strada di fronte. Vorrei dirgli che in un primo momento ho creduto fosse un angelo, ma poi decido che è meglio sorvolare. Mi crederebbe una squilibrata.
"So che ti chiami Dylan, o almeno così hai detto di chiamarti alla signora Molly, che vivi nella dependance dei Cox e hai conosciuto il mio amico, Steve. So che dovrai fare volontariato per tutta l'estate al centro come punizione per qualche guaio che hai combinato nel tuo paese. Ah! E so anche che ami la letteratura porno! " camuffo un sorriso.
Lui inchioda le suole a terra, fermandosi bruscamente. " Quel giornaletto era di Cox!"
"Ah ah" dico, " certo..." rido con più enfasi.
Il ragazzo al mio fianco riprende a camminare.
Sembra stizzito.
A quanto pare non ama stare allo scherzo.
" E tu? Cosa sai sul mio di conto?" cerco di riportare la conversazione su un binario accettabile.
" Ti chiami Iris. Sei l'amica di Steve Cox. L'altro giorno hai avuto un mancamento e ti hanno soccorsa. Tu e il tuo amico avete lo stesso male" dice serio.
Senza rendermene conto, tra una parola e l'altra siamo giunti all'imbocco della strada che porta alla mia abitazione. " Sono arrivata" dico.
Il ragazzo si ferma prima del grande cancello. " Ho letto che la fibrosi cistica è una brutta malattia. Tu e Steve guarirete? Dovrete curarvi tutta la vita? Morirete?"
Le parole che escono dalle sue labbra mi spiazzano letteralmente.
Il suo tono di voce ha insito tracce di curiosità, ma non la classica curiosità morbosa che gli estranei possiedono nei miei confronti.
E' più desiderio di sapere.
Voglia di conoscere quale sarà la fine che mi aspetta.
" Quante domande! Cosa sei? Un giornalista, un telecronista oppure...non so, uno psicologo?"
Il giovane mantiene l'ombrello fermo e alto sopra le nostre teste.
Siamo l'uno di fronte all'altra.
I nostri occhi lo sono.
" Non è molto educato chiedere a qualcuno quanto tempo gli resti da vivere" La mia voce esce appena incrinata. " Tu conosci il tuo destino? Potresti morire in questo preciso istante o tra dieci minuti, investito da un auto o da un treno in corsa. Moriresti così veloce che neanche avresti il tempo di rendertene conto! Almeno io ho qualcosa di scritto. La mia malattia è piuttosto agguerrita contro il mio corpo, sarà lei a decidere quando e come farmi morire. E la cosa certa è che non aspetterà certo il mio centesimo compleanno!"
Il tipo scuote la testa a disagio. " Scusa" dice, " non intendevo questo, io..."
Sostengo il suo sguardo. E' l' ultima volta che lo faccio, poi mi incammino verso casa. "Tieniti pure l'ombrello. Io sono arrivata, tu potresti prendere una brutta polmonite, la strada per arrivare alla tenuta di Cox è lunga!" alzo una mano in segno di saluto, " Ah! E di polmonite si può anche morire se non ben curata!"
Non ricevo alcuna risposta in merito.
Tuttavia la quiete dura pochi istanti.
"Aspetta!" mi raggiunge, "Ti accompagno fino alla porta" torna a coprirmi la testa.
Lo lascio fare.
Quando arriviamo sulla soglia lo saluto con un debole sorriso, " Grazie del passaggio'"
Dylan tiene con una mano l'ombrello, mentre l'altra la infila in tasca. "Prego" alza appena le spalle.
Mi volto. Anche lui si gira. Nel farlo sfila la mano dalla tasca e un paio di cartoncini quadrati precipitano a terra.
Li guardo meglio.
In realtà non sono proprio dei veri cartoncini.
Sono due confezioni di...
Due bustine di...
"Profilattici!" porto la mano a tapparmi la bocca. Non voglio sghignazzare come una bambina, ma la cosa è davvero troppo divertente.
Dylan si piega a raccoglierli.
"Merda!" impreca.
Deve scuoterli prima di rimetterli in tasca perchè si sono bagnati.
"Anche quelli sono del signor Cox?" domando.
Il ragazzo apre bocca per replicare qualcosa, ma poi decide di non farlo.
Si allontana sotto la pioggia, accompagnato soltanto dall'eco della mia risata.
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