XVII Dylan: DUE FARI IN MEZZO AL MARE
Canada, 27 giugno 2010
" Ho notato che hai conosciuto la signora Molly" dice Anastasia, togliendosi il camice per riporlo nell'armadietto.
Annuisco, sfilandomi anche la mia veste.
" Sono anni che viene nel nostro centro, è una persona eccezionale"
Sull'eccezionale ho i miei dubbi.
Primo perchè mi ha chiamato per tutto il tempo morettino, nonostante le abbia fatto presente il mio nome.
Secondo perchè i suoi modi sono alquanto bizzarri!
Anastasia chiude la stanza, lasciando le chiavi infilate nella toppa. " Hai visto il marito? Sono una coppia perfetta! Da quando Molly ha scoperto di essere malata, lui non l'ha abbandonata un solo istante! Questo sì che è vero amore!"
" Non credo nel vero amore" metto subito in chiaro le cose, " se lui le sta così vicino un motivo ci sarà, magari lo fa per soldi, per un'eredità, per abitudine!"
Anastasia mi lancia una brutta occhiata, " Come fai ad essere così cinico? Molly ha il Parkinson! Sai cosa vuol dire prendersi cura di una persona con quella malattia?" La sua voce sale di un paio di toni, al limite con l'isterismo. " Significa accompagnarla ovunque, lavarla, aiutarla a mangiare e camminare. Significa starle vicino tutte le volte che avrà un cedimento ma, soprattutto, essere consapevoli che la malattia andrà avanti, nonostante le cure, nonostante i tentativi e gli sforzi, la malattia vincerà, portandoti via prima o poi un pezzo del tuo cuore!"
Aggrotto la fronte, cercando di decifrare le sue parole.
Anastasia scuote la testa e soffia fuori un lungo respiro, " Stare insieme a una persona malata, volerle bene a prescindere, senza ricevere niente in cambio vuol dire...Amare! "
Il mio telefono vibra più volte.
Giro le spalle ad Anastasia e alle sue stupidaggini sull'amore.
Il messaggio che mi è appena arrivato è di
Brian. Lui e Tara sono atterrati a Miami proprio adesso.
Un fuoco mi brucia dentro, avvampando le pareti dello stomaco. Sapere che i miei amici sono al mare, al caldo, a godersi le poche cose belle che offre il mondo, mi fa ribollire il sangue in circolo.
Brian è inarrestabile, neanche il gesso alla gamba ha frenato i suoi intenti.
E Tara è sua. Per un'estate intera sua e di nessun altro.
" Problemi?" Anastasia fa capolino per vedere lo schermo del mio cellulare.
Chiudo il messaggio e infilo l'apparecchio di nuovo in tasca. " Nessuno, stavamo dicendo?"
La giovane mi guarda strano. E' indecisa se riprendere a parlare delle sue teorie sull'amore oppure lasciar perdere, reputando il mio quoziente intelettivo al di sotto di ogni aspettativa.
Prima che io possa dire o fare qualsiasi cosa, la porta di ingresso si apre con un tonfo sordo.
Una barella corre sulle mattonelle lisce della sala di aspetto, trasportata da due uomini in divisa.
Per un attimo rivivo la notte dell'incidente.
La mia schiena bloccata, il sangue e le voci dei soccorritori ma, questa volta, io sono solo uno spettatore.
Sulla portantina, con una bombola di ossigeno e una flebo attaccata al braccio, c'è una ragazza.
" Oh! Santo Cielo!" Anastasia porta le mani alle labbra, sbarrando gli occhi.
Il dottor Cox esce dal suo studio trafelato e si getta sul lettino.
Le persone presenti si muovono come uno sciame di api attirato dal miele.
C'è chi grida e chi si limita a scuotere la testa.
Io non faccio niente del genere.
Semplicemente osservo.
Studio il dottor Cox trafficare con i tubi al braccio della giovane, iniettandole qualcosa in modo tempestivo e repentino.
Guardo le labbra dei due soccorritori muoversi lente, quasi a snocciolare una preghiera ma, soprattutto, mi concentro sul profilo magro e bianco della creatura priva di coscienza.
La sua fronte è sottile, le palpebre sembrano semplicemente posate nel sonno.
Il naso e la bocca sono nascosti da una terribile maschera di plastica e il torace coperto da carta colore argento.
Un monitor è posato al suo fianco e emette un inquietante suono ripetitivo.
Il dottor Cox osserva i valori e i muscoli della sua fronte sembrano rilassarsi.
" Fate qualcosa!" urla qualcuno, entrando dalla porta a corsa, " papà fa qualcosa, ti prego!"
Mi volto. Tutti più o meno lo fanno.
E' il tizio che si è presentato nella dependance ieri pomeriggio. Steve. Il figlio del mio attuale padrone di casa.
" E' tutta colpa mia. Non avrei dovuto farla affaticare! Non avrei dovuto portarla al lago, inventandoti una stupida bugia! Dimmi che non morirà!" urla, " ti prego, ti prego, dimmelo!"
Il signor Cox si avvicina a lui e lo abbraccia. " Non lo farà" sussurra tra i suoi capelli.
La ragazza stesa sulla barella sembra muoversi, mugolando qualcosa di incomprensibile, che rimane chiuso dentro alla maschera.
" Portatela nella mia stanza" ordina il dottore.
I soccorritori eseguono il comando.
La barella mi passa vicino.
E' un attimo breve, ma più lungo di molti altri.
La ragazza apre le palpebre, vedendo di nuovo la luce. Le sue pupille si muovono rivolte al soffitto. Poi si voltano e incrociano le mie, che sono lì ferme, ad aspettare solo di essere notate.
I suoi occhi sono verdi.
Non il verde del prato o quello delle piante.
Un verde diverso. Più chiaro, più trasparente.
E poi sono grandi. Molto grandi.
Non quanto due deboli luci, ma come i fari che illuminano il mare.
La porta dello studio medico si apre, facendo passare la barella. Poi si richiude.
Il dottor Cox, i soccorritori e la ragazza spariscono, lasciando vuoto e scompiglio.
Non solo nella sala d'attesa, anche nel mio cuore.
Anastasia si butta contro il mio petto, piangendo. Le sue lacrime mi bagnano la camicia e la cosa è piuttosto irritante!
Poso le mie mani attorno alle sue spalle, allontanandola dal mio corpo. "Cosa ha quella ragazza?" chiedo.
Lei alza gli occhi a guardare i miei.
Sta per rispondermi, ma il singhiozzo le impedisce di farlo.
Una voce si leva alla mia destra, " Fibrosi Cistica"
Mi volto.
C'è Steve.
Ha il viso pieno di lacrime, gli occhi rossi, gonfi e il naso grondante.
Le sue mani passano con ripetizione tra i capelli bagnati.
I suoi occhi fissano i miei, quasi a volerli sfondare con un solo sguardo.
***
" Vieni con me, ti offro un caffè"
Ho sempre odiato il caffè delle macchinette automatiche, ma non sono nelle condizioni migliori per rifiutarne uno. Ho del sonno arretrato, sono stanco per la mattinata e scombussolato da quanto è appena accaduto.
La visione della ragazza nella barella, dei suoi occhi lucidi e puliti, della sua bocca dentro la maschera di ossigeno mi ha completamente messo sotto sopra.
Forse non basterà un solo caffè per riprendermi. Forse me ne servirebbe un vagone intero!
" Io e Iris siamo cresciuti insieme" dice Steve, ponendomi il bicchiere, " è buffo, sai?" prende anche il suo caffè, " a volte odio così tanto questa dannata malattia che non so cosa darei in cambio per non averla. Poi penso che se non fossi malato io e Iris non ci saremo mai legati così tanto e allora mi sento quasi riconoscente con la vita. Iris è la mia vita. Non potrei mai farne a meno!"
Il caffè è uno schifo. Butto giù qualche sorso a occhi chiusi.
Nella mia testa frullano veloci le parole di Steve. Lui e la ragazza a quanto pare hanno la stessa malattia. Lo guardo bene.
Lo scruto dalla fronte, al naso cosparso di lentiggini, alla bocca e al collo appena scavato. Steve è magro, gracile. La sua pelle è bianca e slavata, ma non ha affatto l'aspetto di un malato. Almeno non esteriormente.
" Non avrei dovuto portarla al lago questa mattina, è tutta colpa mia se adesso non sta bene" si lamenta, " sono stato io a convincerla a saltare un giorno di cura, credevo che prendere una pausa e staccare da questo posto potesse farle bene, invece..." I suoi occhi vagano per la stanza, fino a raggiungere i miei.
Il verde delle sue iridi è diverso da quello della giovane sulla barella.
Questo è un verde che non parla.
E' un verde spento, che potrebbe essere benissimo un marrone o un grigio.
" Perchè sei così silenzioso?" mi chiede, " perchè non mi accusi di aver sbagliato oppure tenti almeno di consolarmi? E' così che si fa in genere, è scontato!"
" Niente è scontato!" replico, " io non ti conosco, Steve Cox, non so chi sei, se non il figlio di un vecchio amico di mio padre, non so che diavolo sia questa malattia di cui parli e non so neanche perchè ho accettato di prendere un caffè con te. So soltanto che in questo preciso istante avrei dovuto essere in Florida con i miei amici, in una spiaggia a prendere il sole e non pensare a niente, invece sono in questa specie di ospedale, a fingere di voler aiutare persone delle quali non mi importa assolutamente niente!"
Steve mi guarda come se avesse un fantasma di fronte a sè. " Tu sei malato" dice, " sei più malato di me e Iris messi insieme! " porta l'indice alla tempia, premendolo forte contro, " la tua malattia è qui dentro e si chiama: pazzia!"
Scrollo le spalle e mi volto. Ne ho abbastanza di Steve e delle sue accuse. Ne ho abbastanza anche di questo caffè. Getto via il bicchiere mezzo pieno.
La voce di Steve mi richiama, ferma e decisa:
"Ho visto come la guardavi! La guardavi come si osserva il sole del mattino, come si scorgono le foglie bagnate dalla rugiada o la scia di un aereo nel cielo. La guardavi con curiosità e amore."
Il mio cuore si ferma. Indeciso.
L'istinto mi spinge a fuggire lontano da queste parole fintamente poetiche.
Invece il mio corpo si volta. Per una volta vuole guardare la realtà dritta in faccia.
Steve fa un passo verso di me. La sua mascella è serrata e le dita stringono forte il bicchiere che ha in mano.
" Non sapevo che in Canada fosse vietato guardare qualcuno!" lo affronto.
" Non mi fido di te" replica lui, " dici che non ti interessa niente e nessuno, ma ti sei incantato davanti a Iris come a una natura morta di Van Gogh. Dici che non ti importa di niente e di nessuno, ma prima avevi negli occhi una luce che non può avere chi è immune alle emozioni!"
" Ho solo visto arrivare una ragazza in una barella, attaccata a una flebo e a una bombola di ossigeno, cosa c'è di tanto strano se mi sono incuriosito a guardarla? Tutti lo stavano facendo, c'era la calca là fuori!"
" E' vero" dice Steve, " ma tu la guardavi come se intorno a te non ci fosse nessuno!"
Mi sento la bocca asciutta e rimpiango di aver buttato via il mio caffè. Un sorso sarebbe stato necessario.
" Stai lontano da Iris!" mi minaccia.
Non so quale sia il rapporto tra Steve e quella ragazza, ma a quanto pare lui ci tiene molto.
Vorrei dirgli di starsene tranquillo.
Io e il mio ego siamo abbastanza completi.
Non mi interessa una donna. Non me ne è mai interessato niente, tantomeno se si tratta di una ragazza malata.
Invece rimango in silenzio.
Non trovo le parole, o semplicemente non voglio impegnare la testa a cercarne di adatte.
Mi volto. Questa volta me ne vado sul serio.
Sento Steve sbuffare con stizza, prima di fuggire verso la stanza del padre. Sparisce, chiudendosi la porta dello studio alle spalle.
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