XLV Dylan: SILVER SHADOW 1975

Canada, 6 luglio 2010

La domenica mattina il signor Cox viene a chiamarmi per il fatidico pranzo.
Controvoglia mi butto giù dal letto.
Sono appena le una.
Non è possibile dormire in pace neanche nel mio giorno di festa!

L'idea di passare due ore della mia vita in compagnia di Steve, a un tavolo imbandito, elargendo falsi sorrisi, mi fa salire la nausea.
Mi lavo la faccia e indosso il primo paio di pantaloni che trovo. Prendo la camicia dalla sedia e chiudo a uno a uno tutti i bottoni.

Prima di entrare in territorio nemico mi concedo una sigaretta. Fumo e cerco di allontanare dalla testa il brutto risveglio.
Non voglio rovinarmi l'umore con un noioso pranzo in famiglia. Desidero mantenermi il più tranquillo possibile per questo pomeriggio. Andrò a prendere Iris e farò il secondo di molti altri passi per convincerla che il cinema è un mondo bello e emozionante, al pari delle sue montagne. E' già tutto organizzato.
Spero solo che i Cox non mi facciano fare troppo tardi.

Quando entro nella casa, lascio che la cameriera si prenda la mia giacca. La seguo fino al grande salone. Sono già tutti seduti.
Bill Cox a capotavola, il figlio alla sua destra e la moglie alla sua sinistra.

Quest'ultima, vedendomi arrivare, si solleva in piedi. "Eccoti qua, Dylan caro!" mi abbraccia stretto. "Sono così felice che hai deciso di partecipare a questo giorno tanto speciale per noi!"

Ricambio l'abbraccio svogliatamente e prendo il mio posto. Sono anche io a capotavola, faccia a faccia con il dottore.

"Allora, come ti trovi a Banff?"chiede la donna.

Il marito interviene, ancor prima che io possa rispondere, "Mi raccomando, Lydia, non lo ossessionare con il tuo solito milione di domande!"

La donna scuote leggermente la testa, "Voglio essere solo gentile con il nostro ospite!"

"Mi trovo bene" intervengo per evitare una inutile faida familiare.

Steve alla mia sinistra fissa il piatto vuoto.
Non mi rivolge né uno sguardo né una parola.

L'atmosfera che si respira è talmente carica, che se innescassi la fiamma di un accendino adesso, provocherei una vera e propria esplosione.

"Tu e Steve potreste uscire insieme qualche volta!" propone Lydia, allungando le labbra in un sorriso.

Il rampollo di casa Cox alza gli occhi e lancia uno sguardo poco carino alla madre. "Non abbiamo molti interessi in comune" borbotta.

La donna si fa seria e arriccia appena il labbro superiore. Sembra dispiaciuta dalla notizia. Credo che nella sua testa, cotonata per l'occasione, avesse in mente l'incipit di una bella e sana amicizia tra me e il suo prediletto.
Peccato che le sfuggono un bel po' di particolari, compreso il pesante cazzotto ricevuto da suo figlio in pieno stomaco.
Potrei dirle che conosco a memoria le mattonelle del suo bagno!

"Ti piace la pesca?" chiede la signora, rivolgendomi uno sguardo quasi supplichevole. "Steve è molto bravo a prendere trote. Potreste andare insieme uno di questi pomeriggi..."

"Non ho mai preso un pesce nella mia vita" le faccio presente.

Lei sospira, ma non si rassegna. "Steve, potresti insegnargli tu come si fa..." propone.

Il figlio stringe la mascella evidentemente scocciato dalla situazione.

"Mamma!" sbotta malamente, "Dylan non sa neanche cosa sia una canna da pesca e io non ho nessuna intenzione di farglielo capire!"

Lydia si rabbuia, ferita. Allunga il braccio e afferra la bottiglia del vino bianco posata al centro del tavolo. Riempie metà del suo bicchiere e lo stringe nella mano, pronta a buttarlo giù.

Il marito le blocca il polso in modo fermo e deciso. Lei si lascia guidare. Posa il bicchiere sul tavolo e fissa il liquido chiaro in modo quasi inquietante.

Il signor Cox lancia un'occhiata di rimprovero al figlio, il quale sbuffa e si appresta a porgere le sue scuse alla madre.
Nessuno parla per tutta la durata dell'antipasto. A quanto pare, qualcosa nella perfetta famiglia Cox, tanto perfetta non è.

A metà del primo, è il signor Cox a innescare la miccia per una nuova comunicazione.

"Qualche giorno fa una associazione ha elargito dei soldi per il nostro centro" dice. I suoi occhi si sollevano dritti dritti sui miei. "Ho messo il denaro a disposizione per le cure di Iris. Ha avuto alcuni problemi economici ultimamente. Quei soldi copriranno la sua terapia per tutto l'anno"

Per un attimo ho come l'impressione che Bill Cox abbia capito tutto; che sono io il mandante e che non esiste nessuna associazione. Il suo sguardo è così penetrante, da farmi cadere la forchetta dalle mani. L'acciaio della posata batte sulla porcellana, facendomi riscuotere.

"Che dici, tesoro, ho fatto bene?" domanda l'uomo, spostando l'attenzione da me a sua moglie.

Riprendo a respirare. Improvvisamente mi rendo conto che non l'ho fatto per gli ultimi cinque secondi.

"Sicuramente! E' così cara quella ragazza..." Lydia sorride al marito. L'umore della donna sembra pian piano rialzarsi.

Con la coda dell'occhio vedo Steve corrugare la fronte e stringere la mano in un pugno. "Ho proposto a Iris un sacco di volte un nostro aiuto economico. Non lo ha mai accettato. Come hai fatto tu a convincerla?"

Il padre guarda di nuovo me e poi il figlio. "Io non ho fatto proprio niente" dice, " evidentemente, tu, figliolo, non sei stato poi così convincente..."

Steve sbuffa, palesemente impermalito. "Evidentemente" ripete a pappagallo la parola del padre, "ha preferito soldi da sconosciuti, piuttosto che da una famiglia che la conosce fin da piccola!"

Il signor Cox termina la sua porzione di lasagna. "Evidentemente" dice. Il suo sguardo, chissà perchè, finisce ancora una volta contro il mio.

Le portate si susseguono in maniera rapida e ben organizzata. La carne alla griglia è molto saporita e anche le patate al forno sono ben cotte. Al momento del dessert, viene messa sulla tavola una grande torta di mele.

Lydia e il signor Cox mi chiedono di fare loro alcune fotografie.
Li accontento. Scatto le foto velocemente. Prima questa farza finisce e prima potrò scappare da Iris!

Per fortuna dopo il dolce non ci sono altri piatti. Ci alziamo dal tavolo.
Saluto Lydia, ignoro Steve e mi lascio guidare verso l'uscita dal signor Cox, il quale non mi congeda sulla porta, ma chiede di seguirlo fuori.

"Voglio farti un regalo" dice.

Non conosco le abitudini canadesi, ma a New York, in genere, è l'ospite a fare un regalo al festeggiato, non il contrario.

"Sei stato in gamba fino ad oggi. Anastasia mi ha detto che ti dai da fare nel tuo lavoro. Certo, ci sono delle cose da rivedere, ma te la stai cavando alla grande. Credo che sia giusta una ricompensa..."

Mi conduce sul retro, fino al garage.
Tira su la saracinesca e mi lancia un mazzo di chiavi con un ciondolino a forma di foglia.

"Non è un granchè, ma fa ancora la sua porca figura!" dice estasiato. "Scusami per l'eufemismo!"

Osservo l'automobile parcheggiata. Sembra venuta da un'altra epoca.

"E' una Silver Shadow del 1975, era di mio padre" spiega, "la affido a te per tutta la tua permanenza qui a Banff. Mi raccomando, fanne buon uso. Ci tengo molto!"

Improvvisamente Steve irrompe nel garage.
Il suo volto è scuro e non preannuncia niente di buono.

"Cosa ci fa Dylan con le chiavi della Rolls Royce in mano? Cosa significa tutto questo?" sbraita, rivolto verso il padre.

"Dylan utilizzerà la berlina per i suoi spostamenti. E' giusto che abbia anche lui un mezzo con cui muoversi"

Le guance di Steve sono rosse da fare paura.
Le lentiggini che ha sugli zigomi unite in un'unica macchia di colore.

"Non hai mai voluto neanche che aprissi il garage per guardarla, adesso la affidi a un perfetto sconosciuto?"

Bill Cox fa un passo avanti. Raggiunge il figlio e gli posa una mano sulla spalla. "Dylan non è un perfetto sconosciuto. Suo padre ed io..."

Steve non permette che il genitore termini il discorso. Fugge via su tutte le furie.

"Mi dispiace" dico. "Non posso accettare" allungo la mano per restituire le chiavi al suo proprietario.

Non voglio altre scocciature con Steve.
Poter avere un auto mia sarebbe una bella conquista. Mi renderebbe tutto più semplice, pure mettere in pratica le idee che mi stanno passando per la testa per vincere la scommessa con Iris, ma se il prezzo è l'ira funesta del rampollo Cox, preferisco arrangiarmi con altri mezzi.

L'uomo osserva le chiavi ma, invece di allungare la mano per riprendersele, la infila in tasca. "Non preoccuparti per Steve" dice" gli passerà" si sforza di sorridermi.

Poi se ne va, lasciandomi da solo.
Io e la Silver Shadow del 1975.

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