XLIX Dylan: ZOMBIE
Canada, 6 luglio 2010
Procedo verso casa. Se così può essere chiamato il mio alloggio momentaneo a Banff. Sono riuscito a mettere in funzione la radio. Adesso è sintonizzata su una vecchia stazione che sta trasmettendo Zombie dei Cramberries.
Canticchio la canzone, inventandone metà delle parole.
Accedo al garage dei Cox.
Parcheggio la berlina e spengo il motore.
La musica si interrompe, lasciandomi in compagnia del silenzio.
Non faccio in tempo a chiudere la portiera che un paio di mani mi afferrano per il colletto della camicia. D'istinto caccio un urlo, ma la mia voce si perde nel buio della stanza.
"Sei stato con lei, non è vero?" La voce di Steve mi penetra dentro il cervello, facendolo pulsare. "L'hai portata a fare un giro con l'auto di mio padre? Dove? Dove siete stati fino a quest'ora?"
Cerco di liberarmi della sua presa.
Il fatto è che Steve, nonostante la piccola statura e l'eccessiva magrezza, quando è arrabbiato ha davvero una forza mostruosa.
"Devi stare lontano da lei. Quante altre volte dovrò ripetertelo?" sbraita.
Le sue sfuriate riescono solo a innervosirmi. Non hanno un vero e proprio fine.
Sono sfuriate e basta.
"Iris è in attesa di un trapianto. Te lo ha detto? Sta aspettando un paio di polmoni nuovi, non può e non deve affaticarsi nell'attesa. Lei deve riposare!"
Afferro Steve per i polsi, scollandomelo di dosso. Lui fa un passo indietro, sembra retrocedere, in realtà è solo un modo per prendere la rincorsa e spingermi a terra.
Mi ritrovo con il fondoschiena sul pavimento unto del garage.
Nella caduta sbatto il volto contro la portiera della Roll Royce, lasciandomi sfuggire un lamento. Sento un liquido caldo uscire dal labbro inferiore. Deve essersi spaccato.
Steve inizia a sferrare calci contro il mio corpo.
Tutta la rabbia passa dal suo cervello ai suoi arti inferiori in pochi istanti.
Ogni colpo che ricevo è un male all'anima.
Non reagisco. Mi lascio picchiare e lo faccio quasi consapevolmente.
Come se meritassi tutto questo dolore.
Aver baciato Iris è stata la cosa più bella che mi sia capitata, ma è stato solo per finzione.
Un gioco malato di un ragazzo sfiduciato con la vita e di una giovane donna che, alla vita, vorrebbe chiedere l'impossibile.
Steve si ferma. Smette di calciare come un cavallo imbizzarrito e mi guarda dall'alto.
E' rosso in volto, quasi violaceo.
"Lasciaci in pace" respira forte. "Lasciaci in pace!"
Le sue parole, uguali, ripetitive, maniacali, risuonano nella stanza.
Mi piego su me stesso.
Schiaccio la faccia contro il pavimento.
L'odore di grasso che respiro mi distrae dal dolore che provo.
Una fitta al fianco sinistro, una alla schiena e una, più forte di tutte, in fondo al cuore.
Steve sputa. La sua saliva finisce a un centimetro dalla mia faccia.
Poi se ne va, lasciandomi a terra.
In tutti i sensi.
Chiudo gli occhi.
Nonostante le botte, nonostante la rabbia di chi non sa accettare la realtà, sorrido.
Lo faccio per Iris. Per i suoi occhi verdi e splendenti. Per il suo coraggio.
Non sento dolore, non sento il sapore del sangue in bocca.
Sento soltanto quello di Iris e del nostro bacio.
Un bacio da film. Un bacio da Pretty Woman.
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