XIV Iris: A UN PASSO DAL CIELO

Canada, 27 giugno 2010

Steve mi attende sulla sua auto.

E' più carino del solito questa mattina.
Forse il cappello che indossa, simile a quello di un cowboy, dona al suo aspetto un qualcosa di ribelle.

Non appena salgo al suo fianco lui toglie dalle tasche un paio di mascherine. Me ne passa una e l'altra se la lega con i laccetti dietro alla nuca.

" Ho detto a mio padre che oggi non saresti andata al centro per aiutare il tuo vecchio al parco. Gli ho inventato che un pullman imprevisto di turisti è arrivato giusto ieri a Banff!"

Le parole bugiarde di Steve restano intrappolate dentro la sua maschera.
Quando vuole ha davvero una mente diabolica!

" Cosa ha detto il dottor Cox?" Chiedo.

Steve mette in moto e ingrana la prima, " La terapia è una cosa seria! Un giorno saltato è come un allenamento interrotto, il match finale ne può risentire!" imita il tono del padre.

Sorrido. Poso la fronte contro il finestrino e guardo le montagne. La loro cima perennemente innevata è a un passo dal cielo.
Sembra che le rocce siano cresciute così tanto solo per poterlo raggiungere.

Il viaggio per il parco di Jasper dura poco più di tre ore. Percorriamo la Interstate 93 in silenzio, godendoci le strade, i tornanti e il profumo di libertà.

Quando arriviamo a destinazione, Steve posteggia nell'aia dedicata ai visitatori.
Imbraccia la canna e afferra il cesto con gli attrezzi della pesca.

"Questo è per te" mi porge un grande telo di cotone, " il sole ti aspetta!"

Prendo la coperta e seguo il mio amico lungo il sentiero che porta al lago.

Il sole è caldo, non c'è traccia di nubi all'orizzonte. La mia maglietta di cotone a manica lunga é più che sufficiente per una giornata come questa.

Tutto potrebbe essere fantastico, dagli odori dell'estate, alle tonalità brillanti dei prati e della terra. Una favola o un sogno, se solo non ci fosse uno strano alone grigio, scuro quanto la pece, a incombere sulla mia testa, pressante quanto una morsa di ferro.
Un alone che batte dentro di me, che pulsa così forte da farmi sentire il cuore fin dentro la gola.

Un senso di vertigine accompagna la mia discesa.
Ignoro i segnali del mio corpo.
Ignoro il grigio che mi circonda.
Oggi voglio vivere tutti i colori che mi aspettano. A uno a uno.

Muovo i piedi, cercando di non rimanere indietro, ma avanzo comunque troppo lentamente.
Steve è costretto a fermarsi più volte per aspettarmi.

Quando finalmente raggiungiamo la riva volgo lo sguardo verso la distesa azzurra.
I raggi del sole riflettono l'acqua come uno specchio e le conifere circondano il lago per tutta la sua lunghezza.

" E' bellissimo!" dico con il fiato grosso.

Stendo il telo sull'erba e mi lascio cadere sopra.
Il mio cuore è ancora accelerato e il respiro lo segue a ruota.

Steve resta immobile a guardarmi.
Non sembra essersi accorto della grande fatica che ho fatto per scendere la collina.
I suoi occhi sono concentrati su di me in modo strano. Prima si posano sui miei capelli sparsi a terra, sulle mie braccia piegate sotto la nuca.
Poi scendono sul mio torace e sui miei fianchi. Il tutto con estrema lentezza, quasi a volermi fotografare con gli occhi.

" Non vai a pescare?" improvviso un sorriso, " le trote ti aspettano!"

Lui si riscuote, distoglie l'attenzione dal mio corpo e ficca la testa dentro il cestino dei vermi, " Certo, certo! Adesso vado!"

Non so per quale motivo, ma potrei giurare che per un momento le sue guance si sono tinte di rosso accesso.

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