XCVII Dylan: ADDIO AL PASSATO

Canada 28-29 luglio 2010

Ho baciato Iris. L'ho baciata sul serio questa volta. Niente film, niente finzione.
Le ho dato un bacio vero. E lei non stava dormendo, era vigile e bella più che mai.

La mia testa non riesce a non pensare a ciò che ho fatto. Guido verso casa Cox ed è come se tutte le strade, tutte le case, tutti i muri e i lampioni che incontro fossero capaci di riportarmi a Iris e alla sua presenza.
Ogni cosa mi parla di lei.

Devo ammettere che questa ragazza mi è entrata dentro e non so neanche come sia potuto succedere. Il mio corpo è pieno di lei e anche la mia mente e il mio cuore lo sono.

Stringo forte lo sterzo e imbocco il viale di accesso alla tenuta. Probabilmente ho solo bisogno di una buona dormita per togliermi dalla testa Iris, le sue richieste, il nostro patto e tutto quello che mi è successo in questa breve vacanza. Parcheggio l'auto in garage e scendo.
Dal finestrino scorgo Steve dormire ancora. Non si è accorto che siamo già arrivati, non si è accorto neanche che ho spento il motore.
La tentazione di chiuderlo dentro e lasciarlo riposare in pace è piuttosto forte, ma poi lascio perdere. L'ho già punito per quello che ha fatto in questi giorni, aver tentato di affogarlo credo sia più che sufficiente. Dunque riapro lo sportello e, controvoglia, mi affaccio nell'abitacolo posteriore.

"Steve siamo arrivati!"

Il ragazzo non si desta. La sua testa è reclinata, la mascherina che porta gli è scesa fin sotto al mento per lasciar spazio alla sua bocca semiaperta.

"Steve!"

Niente.

Sospiro e mi lascio andare in un urlo: "Steeeeve!!!"

Steve si alza di scatto. Le sue pupille si muovono agitate, così come le sue braccia. "Siamo arrivati?" dice con la bocca impastata.

"Sì, siamo arrivati e se non vuoi passare la notte qua dentro, ti conviene scendere alla svelta..."

Lui esegue il mio comando. Una volta in piedi, si strofina gli occhi e si sistema la maglietta sgualcita.

Evito di salutarlo e mi dirigo alla dependance. E' stata chiusa per tutto il giorno e l'aria all'interno è piuttosto calda.
Mi disfo della camicia e anche dei jeans. Vago in boxer per la stanza, cercando di riordinare un po' le cose lasciate in giro.

Poi i miei occhi cadono sul divano letto, in particolare a ciò che c'è sotto di esso.
Vetri vuoti. 

Mi inginocchio di fronte al cimitero di bottiglie scolate e congiungo le mani davanti alla bocca. Questo è quello di cui devo disfarmi.
L'alcol non deve fare più parte di me.
Iris ha ragione. Gettare via il passato è il primo passo per trovare una via d'uscita a questo mondo che, di vie di fuga, ne ha davvero poche.

Raccolgo i vetri uno ad uno e ne faccio un grande sacco. Lo carico in spalla e, senza preoccuparmi di indossare qualcosa oltre alle mutande, lo porto all'esterno.

Il bidone è subito fuori dal cancello.
Domani mattina passeranno gli operatori e si porteranno via tutto il mio disastro.
Si porteranno via parte della mia vita a New York, mentre l'altra parte se n'è già andata con la partenza di Tara e Brian.

Butto il sacco dentro il contenitore con una grande spinta. Il suono dei vetri che sbattono l'uno sull'altro mi fa stringere il cuore.
L'alcol non mi sosterrà più e neanche le amicizie, se pur sbagliate, lo faranno.
Da questa sera in avanti dovrò imparare a cavarmela da solo. Dovrò imparare a vivere e non sarà per niente facile.

Sto per tornare dentro quando vedo Steve procedere nel buio verso di me.

"Cosa stai facendo qui fuori?" mi chiede.

"Potrei farti la stessa domanda!" dico, serio.

Lui nasconde qualcosa dietro la schiena.
I suoi occhi si stringono nei miei, mentre dice con fare provocatorio: "Ma io sono vestito, mentre tu sei in mutande!"

"Io posso uscire anche nudo, non ho moscerini da nascondere!" faccio spallucce, riprendendo la mia strada.

Steve mi si piazza davanti. La sua aggressività inizia a darmi davvero sui nervi. Possibile che neanche le parole di Iris siano in grado di placarlo?

"Ho visto quello che hai fatto" dice, fissandomi dritto negli occhi. "Hai buttato via un sacco pieno di bottiglie..."

Lascio andare un lungo respiro. "E quindi? Adesso cosa farai, andrai a dirlo al tuo paparino?"

Steve stringe la mascella. Le lentiggini sulle sue guance si confondono con l'oscurità della notte imminente.

"Fallo pure! Vai da lui e digli che ho appena scaricato nel bidone un'enorme quantità di bottiglie vuote, ma digli anche che è il mio modo per lasciare indietro il passato, il mio modo per far felice Iris e forse per ritrovare me stesso!"

Steve abbassa lo sguardo a terra.
Il suo volto si rilassa e le sue braccia si distendono, mostrandomi ciò che cercava di nascondere dietro la schiena.

"Non farò niente di tutto questo. Sai, abbiamo avuto la stessa idea" mi sorprende. "Anche io ho intenzione di buttare via il mio passato. Non ho più bisogno di tutto questo. Io non sono più il bambino insicuro di un tempo. Io voglio essere un adulto. Lo voglio davvero molto!"

Lo seguo dirigersi verso il bidone e buttare via alcuni giornalini che non raffigurano esattamente immagini di caccia o pesca, ma foto molto più in sintonia con il genere che nascondeva in auto del padre.

Poi fruga in tasca ed estrae delle piccole bustine colorate, riconosco subito che si tratta dei profilattici camuffati dentro al cruscotto.
Sta per buttarli, quando d'istinto mi spingo verso di lui e lo stringo per un braccio.

Steve mi guarda male.

"Le riviste hai fatto bene a gettarle, ma questi possono essere sempre utili!" improvviso un falso sorriso, afferrandoli.

Steve tenta di riprendermeli dalle mani, ma non ci riesce.

"Che poi, con quel moscerino tra le gambe che ti ritrovi, cosa diavolo te ne fai di una XXL?" leggo l'etichetta.

Steve si sporge verso di me, cercando di riprendersi il suo bottino, ma io sono più veloce, mi infilo tutta la fila dentro i boxer.
Lì sono pur certo che non si spingerà a prenderli. Pian piano mi incammino verso la dependance.

Steve inveisce qualcosa contro di me, ma non mi impegno troppo ad ascoltarlo. La sua voce sempre più lontana resta solo rumore, noioso e irritante.
***

Sono ancora in un perfetto e quasi pacifico dormiveglia, quando la porta della dependance si apre, sbattendo a tutta forza contro la parete.
Balzo sul letto, con gli occhi appiccicati dal sonno e i ricci nel disordine più totale.
La coperta di lana mi avvolge come un perfetto involtino primavera, facendomi ruzzolare a terra.

Non so che ore siano, ma a giudicare dal sole fioco che fa capolino dalle finestre socchiuse, credo le prime ore del mattino.

La faccia arrabbiata del dottor Cox e quella moscia di suo figlio mi portano immediatamente alla realtà, dicendo così addio al mondo ideale dei sogni.

"Dylan! Vuoi spiegarmi cosa ci fa un sacco pieno di bottiglie e giornaletti nel cesto dell'immondizia?"

Sgrano gli occhi, spostando la mia attenzione su Steve. Dalla sua espressione mesta e preoccupata capisco che non sono il solo ad essersi cacciato nei guai.

Ma come ha fatto Cox a scoprirlo? Cos'è un cane da tartufi? E poi, non passano a Banff di prima mattina gli operatori ecologici per portarsi via i rifiuti?

"Mio figlio dice che è roba tua, vuoi darmi una spiegazione?"

L'uomo punta le mani chiuse in un pugno sulla vita e attende una risposta.

Mi disfo della coperta e mi metto in piedi.
Nel frattempo Steve si guarda le scarpe.
Tiene la schiena curva e sembra quasi tremare dalla paura.

"Una regola vige in questa casa da anni ormai: Niente alcol! E tu l'hai trasgredita palesemente!" prosegue Cox. "Non solo! Hai avuto il coraggio anche di portare nella mia casa degli stupidi giornaletti con delle stupide donnine nude! Ma cosa ti è passato per la testa?"

Porto le mani tra i capelli, cercando di sistemarli alla meglio. "Signore, Bill, io...non sono stato io.."

L'uomo si fa sempre più accigliato. "Ti ho accolto nel migliore dei modi, perchè sei il figlio di Tad e quindi è come se fossi mio figlio. Ti ho dato un lavoro e una macchina! E questo è il tuo modo di ringraziarmi?"

"Non..."

Il signor Cox non permette che termini la frase, "Non, non, non!" tuona, "non voglio più sentire un non per altri dieci minuti!"

Steve ha ancora gli occhi fissi sulla punta delle sue scarpe da ginnastica.

"Perchè è così convinto della mia colpevolezza?" mi ritrovo a chiedere, "io non ho infranto nessuna regola!"

"E allora chi ha buttato quella roba nella spazzatura? Il mio alterego?" alza le braccia. Non ho mai visto Bill Cox così arrabbiato.
Non sembra neanche lui.

"Magari qualcuno che è passato di qui..." tento di trovare una possibile alternativa.

L'uomo sospira, afflitto.
Non mi piace dire bugie, ma neanche assumermi colpe che non sono pienamene mie. Vada per le bottiglie, ma i giornalini non hanno assolutamente niente a che fare con me.

"Ve lo chiedo per l'ultima volta" Il signor Cox è a un passo da me e dal figlio. Cerca i nostri sguardi, ora uno e ora l'altro. "Chi è stato a gettare quelle cose nel cassonetto dello sporco?"

Steve mi guarda e io guardo lui. Poi con una rapidità sconcertante ci puntiamo un dito l'uno contro l'altro e diciamo in coro: "E' stato lui!"

Cox si porta le mani alla testa, scuotendola e, senza darci il tempo di fiatare, ci prende per un orecchio, trascinandoci fuori quasi di peso.

"Non mi va di essere preso in giro da un paio di  ragazzini. Vi farò capire io come funziona il mondo! Siete in punizione, tutti e due!"

Evito di opporre resistenza, anche perchè più mi muovo più le dita dell'uomo stringono il mio padiglione auricolare. Mi spingo solo a prendere al volo la camicia appesa all'appendiabiti e me la butto sulle spalle. 

Steve cammina veloce insieme a me e al padre, che ci conduce dritti dritti alla capanna degli attrezzi.

"Avete tutto il giorno per sistemare il giardino. Quando torno questa sera voglio che sia rasato e splendente più che mai!" ordina, per poi restituirci di nuovo le orecchie e allontanarsi verso la sua auto.

Steve, furioso, calcia contro una delle pietre presenti, procurandosi male al piede. Saltella tenendoselo stretto e farfuglia cose piuttosto dispregiative contro suo padre e contro di me.

"Farai meglio a risparmiare le energie per mettere in sesto questo giardino" gli faccio notare, lanciandogli una delle zappe presenti nella capanna.

Steve la afferra. "Ogni volta che ci sei di mezzo tu, ci sono sempre guai!" sbuffa.

"Non è stata solo mia l'idea di buttarsi il passato alle spalle. Io ho fatto la mia parte, ma anche tu hai fatto la tua!" gli ricordo.

Steve stringe forte il bastone della zappa. Sembra essere piuttosto pericoloso con un arnese del genere in mano, meglio se mi allontano e vado ad occuparmi delle piantine dentro ai vasi.

Mi abbottono la camicia sui boxer e raggiungo la distesa di margherite nelle conche.
La cameriera è affaccia alla finestra sovrastante l'appezzamento di terra. La vedo guardarmi da capo a piedi e sorridermi. Ricambio il saluto, se pure non ne ho assolutamente voglia. La domestica chiude i vetri con una strana e maliziosa espressione in faccia.
Scuoto la testa e mi concentro sulle piante.

C'è qualcuno nella famiglia Cox che non abbia seri problemi comportamentali?

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