XCIX Dylan: INVITO A CENA
Canada, 30 luglio 2010
Parcheggio l'auto fuori dalla tenuta Sanders. Sono quasi due giorni che non vedo Iris e mi sembra una vita. Io e Steve abbiamo sistemato al meglio il giardino di casa Cox, adempienpiendo così al nostro compito. Adesso finalmente sono libero e anche più leggero.
Non vedo l'ora di raccontare a Iris quello che mi è successo. Le devo dire che ho buttato via le mie bottiglie, per sempre. E l'ho fatto grazie a lei e alle sue parole. Le devo dire che sono diventato un ottimo giardiniere e che, io e Steve, siamo riusciti a non prenderci a pugni o parole per due pomeriggi interi.
Prima di attraversare il viale di accesso alla casa, mi soffermo davanti alla magnolia. Stacco uno dei fiori e lo depongo sul taschino della mia giacca. Sembra abbinarsi perfettamente alla cravatta che porto. Per non parlare dell'aroma, decisamente invitante!
Suono alla porta e infilo le mani dentro le tasche dei jeans, in trepida attesa.
Non so per quale motivo mi senta così ansioso, forse stare lontano da Iris per tutto questo tempo non mi ha fatto tanto bene.
Suono una seconda volta. Niente.
Poi, prima che cominci a pensare cose strane sul fatto che non ci sia nessuno in casa, tipo che sia successo qualcosa o chissà quale altra congettura, la porta si apre.
Davanti ai miei occhi però non appare nè Iris, nè il signor Sanders, ma una bambina.
Una ragazzina dai capelli biondi e gli stessi occhi verdi di Iris.
Mi guardo intorno, per un attimo ho come l'impressione di aver sbagliato casa. Poi però ricordo che Iris ha una sorella e senza ombra di dubbio si tratta proprio della ragazzina di fronte a me.
"C'è Iris?" chiedo, improvvisando un sorriso.
La bambina sgrana i suoi occhioni chiari. Sbatte le palpebre e resta immobile a fissarmi.
"Ehi, ho chiesto...c'è Iris?"
Nessuna risposta.
La ragazzina è posta tra lo stipite e la porta, bloccandomi il passaggio. Non dice e non fa niente, si limita solo a spalancare la bocca.
"Tu devi essere sua sorella, sei così uguale a lei..." tento di istaurare un dialogo con questa strana creatura, "io sono un suo amico e vorrei vederla, è possibile?"
Lei si riscuote e, con una mossa lesta e imprevedibile, mi chiude la porta in faccia. La sento correre su per le scale interne urlando: "Iris! Iris! C'è un ragazzo bellissimo che ti cerca!"
Mi appoggio con la schiena alla ringhiera del portico. Che strana bambina!
Dopo qualche minuto di attesa lo porta si apre di nuovo. Questa volta è Iris in carne ed ossa ad affacciarsi.
"Ciao" dice, sorridendomi.
"Ciao" le vado incontro.
"Scusa per mia sorella. Non è molto abituata a ricevere visite..."
La bambina si materializza alle spalle di Iris. Continua a guardarmi senza battere ciglio.
"Lo avevo capito" annuisco, ricambiando il sorriso.
Iris mi fa cenno di entrare.
Mi lascio alle spalle il sole che sta per tramontare e la piacevole e fresca aria delle montagne.
"Lei è mia sorella Rose e lui è il mio nuovo amico Dylan" dice Iris, aspettandosi una stretta di mano tra me e la piccola biondina muta.
Allungo il mio braccio. Iris afferra quello della sorella e permette alle nostre mani di stringersi l'una con l'altra.
"Di solito non è così timida, anzi..." dice Iris, "è una vera e propria peste!"
Rose mette su una specie di broncio. Arriccia le labbra in modo buffo, un pò come fa Iris quando è arrabbiata o troppo concentrata.
La voce del signor Sanders e quella di una donna si sentono nella stanza accanto.
"Oh! Ti presento anche la mia matrigna" Iris mi trascina fino in salotto, "lei e Rose sono arrivate appena ieri sera. Hanno anticipato il loro rientro..."
Il signor Sanders si alza dal divano e mi viene incontro. "Buonasera, Dylan. E' un piacere vederti. Hai fatto bene a passare, Iris senza di te per due giorni iniziava a diventare insopportabile..." scherza.
"Papà!" bofonchia Iris al mio fianco. Le sue guance si colorano di rosa acceso, proprio sotto ai tubicini che gli arrivano al naso.
La signora seduta sul divano si alza anch'essa e ci raggiunge. "Mike, non mettere in imbarazzo i ragazzi. Sei un maleducato!" scherza sù, "piacere, io sono Eva"
Scambiamo una semplice stretta di mano.
Il signor Sanders mi invita a sedermi con loro. Stanno per mettersi a tavola e non ci sarebbe nessun problema per aggiungere un piatto.
"In realtà, sarei passato per chiedere il permesso di portare Iris a cena fuori. Se non è un problema..."
Sento Iris trattenere il fiato al mio fianco. La bocca di Rose, invece, è sempre più spalancata. Se passa una mosca nei dintorni scometto che non si farebbe problemi ad ingurgitarla.
Gli occhi di Eva sono gentili e sembrano ridere ancor prima delle sue labbra. E' una signora semplice. Indossa dei banali pantaloni color cachi e una banale giacca marrone, tuttavia è graziosa. Il suo portamento lo è.
"D'accordo. Credo che possa andare" dice il signor Sanders, dopo aver passato in rassegna lo sguardo della moglie e della figlia. "A patto che non fate troppo tardi. Non voglio che Iris si affatichi più del dovuto..."
"Grazie, signor Sanders. Non si preoccupi. A mezzanotte in punto saremo di ritorno! " lo raggiungo e mi spingo in un abbraccio. Poi, quando mi rendo conto del mio eccessivo zelo, torno a ricompormi. Non so cosa mi stia succedendo. Questo non sono io!
Eva emette un paio di colpi di tosse e Iris si trattiene dal ridere.
"Bene, adesso vai a cambiarti, cara. Per una cena fuori quello non è certo l'abbigliamento migliore!" dice Eva, guardando disgustata i jeans leggermente strappati sulle ginocchia della figlia acquisita.
La giovane trascina la bombola di ossigeno fino alle scale.
"Vogliate scusarmi, vado a darle un consiglio da donna!" Eva si dilegua, dopo essersi sbilanciata in un piccolo occhiolino.
Rose resta a guardarmi. Mi sento leggermente infastidito e anche fin troppo osservato.
Decido di congedarmi e aspettare in giardino.
Nell'attesa, tiro fuori dalle tasche dei jeans il mio cellulare. Scorro tra le chiamate non risposte. Quelle di Tara e Brian non ci sono più ormai, mentre quelle di mio padre sì.
E sono anche molte. Rigiro l'apparecchio in mano, fino a decidermi di scrivergli che le cose vanno bene. Forse un semplice messaggio se lo merita, comunque.
Il sole se ne va, definitivamente, e la sera fa il suo ingresso in giardino. Il dondolo cigola per un leggero soffio di vento. I rami degli alberi ondeggiano sulla mia testa. In lontananza i monti sembrano proteggere questa casa e tutto il paese. Lo racchiudono, come una madre dentro alle sue accoglienti braccia.
Non ho prenotato nessuno ristorante, però ne ho visto uno molto carino. Si trova appena fuori dal paese. Piacerà molto a Iris, ne sono sicuro.
Calcio qualche sassolino. Gonfio le guance e le rilascio. Poi, improvvisamente, tutta l'attesa è decisamente ben ripagata. Iris esce dalla porta con indosso un bellissimo abito blu, morbido sulle anche. E' il vestito più bello e costoso che abbiamo acquistato insieme al negozio. Non ricordavo che le stesse così d'incanto addosso.
"Oh Santo Cielo..." sussurro, tra me e me.
Lei scende i pochi scalini, fino ad arrivarmi davanti.
"Sei davvero bellissima" butto fuori con spontaneità.
Iris mi sorride. Si è truccata. Con tutta probabilità è stata Eva a dipingerle le labbra di rosso e anche gli occhi con un finissimo rigo nero.
"Grazie" dice, girando su stessa. La bombola di ossigeno, che ha appesa a tracolla, si sposta con lei. "Per questa sera ho deposto le armi. Non voglio essere una guerriera, ma una degna principessa" improvvisa un inchino.
Piego un braccio dietro la schiena e con l'altro le chiedo la mano. La conduco alla macchina.
Alla finestra la tenda è appena scostata. Non è difficile non notare le teste curiose dei tre abitanti della casa. Il signor Sanders, Eva e la piccola Rose.
Maschero un sorriso e apro la portiera alla mia compagna di questa sera.
"E lo sei. Non sai quanto lo sei..."
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