XC Iris: SOTTO SOPRA
Canada, 27 luglio 2010
Alcuni raggi di sole fanno capolino dalla finestra, svegliandomi.
Mi sento strana. Ho come un grande cerchio alla testa e oltretutto non mi sembra di respirare al meglio. Il mio torace è come compresso da una morsa e la fatica che faccio a espandere i polmoni è enorme.
Mi tiro a sedere e premo una mano contro lo sterno. Ho di nuovo quella strana sensazione, come se volessi mangiare l'aria a morsi, tanto ne ho bisogno.
Scivolo un piede sotto al letto e calpesto qualcosa di duro e ingombrante.
"Dylan?" quasi urlo dallo spavento.
Il ragazzo, steso a pancia sotto sul tappeto della mia stanza, si porta una mano alla testa, arruffandosi i capelli. Poi, farfugliando qualcosa, si volta dall'altro lato.
Resto interdetta per alcuni istanti, ancora mezza assonnata. Pian piano, i ricordi cominciano ad affiorare uno a uno. La cena a casa di Anastasia e Felicia, la tempesta e il bagno caldo. Mi sono addormentata come una bambina dopo la favola della buonanotte. Sono crollata e Dylan a quanto pare non mi ha lasciata da sola.
Scavalco il suo corpo ancora in preda al sonno e vado in bagno. Provo ad espellere le secrezioni che come ogni notte si sono accumulate nei miei polmoni, ma la situazione non migliora. Ho ancora difficoltà a respirare. Allo specchio la mia faccia non è delle migliori. Le mie labbra sono pallide e anche il mio viso lo è. Intorno alla mia bocca c'è come uno strano alone azzurro che non fa pensare a niente di buono.
Torno in camera e cerco nel comò l'apparecchio per misurare il livello di ossigeno nel sangue. Ricordo di aver deposto lo strumento dentro ad uno dei cassetti, ma non riesco a trovarlo, sembra quasi essersi volatilizzato. Passo in rassegna le mensole, fin quando finalmente lo scovo dentro ad un vecchio beauty.
Metto la pinzetta al dito e aspetto. Quando leggo il valore capisco che devo svegliare Dylan e probabilmente pure mio padre.
Scuoto la spalla del ragazzo addormentato sul tappeto della mia camera da letto. Prima dolcemente e poi con più forza.
"Iris? Che succede? Dove sono?" Dylan scatta a sedere, con gli occhi appiccicati dal sonno.
Nonostante la mia salute in questo momento non sia delle migliori, mi scappa da ridere. E' buffo vedere Dylan in questo stato. Appena sveglio non è affatto un gran bello spettacolo.
"Sei nella mia stanza, ricordi?"
Dylan si strofina la faccia.
"La tempesta, l'auto in panne, ci siamo bagnati e poi la vasca e..."
"Tuo padre!" farfuglia.
"Sì, mio padre. Potrebbe averti visto, ma non fa niente, non adesso. C'è una cosa più importante alla quale pensare, ecco..."
"Tuo padre mi ha visto!" mi interrompe lui, saltando in piedi. "E' stato lui a chiedermi di restare, in realtà..."
"Mio padre?"
"Sì tu stavi dormendo e io e lui abbiamo parlato un pò..."
La cosa mi lascia a bocca aperta, più di quanto non lo sia già per cercare di ventilare al meglio.
Pian piano gli occhi di Dylan si adattano alla luce del giorno. Li vedo cercare i miei e poi scendere alle mie mani e al mio misuratore.
"Cos'è quello?" chiede.
"Ecco, è proprio ciò di cui volevo parlarti" La mia voce è sempre più debole.
"Iris, stai bene?" Dylan si porta di fronte a me. Posa la sua mano sotto al mio mento e lo solleva appena. Le sue pupille si ingrandiscono contro il bianco della mia pelle. "Tu non stai bene..."
"I miei polmoni non stanno lavorando di nuovo come dovrebbero" dico, abbassando mestamente le spalle.
Dylan mi accarezza la guancia. Non riesce a distogliere lo sguardo dal mio volto e io non riesco a smettere di sentirmi inadeguata.
Non dovrei stare sempre così male.
Non con un ragazzo bello e buono come Dylan. Dovrei svegliarmi al suo fianco e confessargli quanto io sia innamorata di lui. Non dovrei soffocare niente dentro al mio cuore, nè lacrime, nè sorrisi. Invece non funziona affatto così. Niente nella mia vita funziona come dovrebbe e il mio corpo, in questo momento, è la mia più grande debolezza.
"Cosa significa quel numerino rosso?" La voce preoccupata di Dylan e la sua mano calda contro la mia guancia fredda, mi stringono ancora di più il cuore.
"Ottanta. E' la mia saturazione" dico, "vai a chiamare mio padre, credo di aver bisogno del dottor Cox"
Dylan guarda il monitor sul mio dito, poi guarda di nuovo me e infine corre verso la porta. Lo sento scendere le scale, gridando il nome di mio padre.
Un impeto di rabbia mi assale, dal basso ventre fino alla punta dei capelli. Perchè è sempre tutto così difficile? Perchè?
Non si può sfuggire alle domande. Se la vita di ognuno di noi è un film, il regista non sta facendo per niente un bel lavoro con il mio cortometraggio. E io sono così arrabbiata con lui che ho solo voglia di spaccare tutto.
Le mie gambe perdono il controllo, iniziano a scalciare contro il letto e i mobili. Non ho fiato, ma ho così tanta rabbia che utilizzo anche le ultime riserve che mi sono rimaste.
Il sensore lampeggia e il numerino sul monitor si abbassa sempre più. Per un attimo spero quasi che arrivi a zero.
Tutta questa tristezza addosso a me e a chi mi circonda, io non la sopporto più.
Poi il momento passa e tutto torna come prima. Il mio corpo smette di agitarsi, solo i muscoli del mio torace e della mia pancia continuano a lavorare. Tutto il resto si ferma. Con il fiatone mi guardo intorno. Ho capovolto la sedia, volato via le coperte e il cuscino. La mia stanza è sotto sopra, esattamente come il mio cuore in questo momento.
***
"Metti questi, ti sentirai meglio"
Il dottor Cox mi posiziona due tubicini di plastica dentro al naso, collegandoli a una bombola di ossigeno, che lui stesso ha portato fino alla mia stanza.
L'aria che arriva alle mie narici mi fa davvero sentire meglio. Anche il numerino sul sensore posizionato al mio indice, risale.
Mio padre mi osserva dalla soglia della porta.
I suoi occhi chiari sono desolati, impotenti. Sposto l'attenzione a Dylan, al suo fianco. Anche il suo sguardo scuro ha la stessa identica espressione.
"Mi procurerò alcune bombole di ossigeno e farò in modo di fartele avere" mi dice il dottor Cox. "In questo momento è l'unica medicina di cui tu hai bisogno"
Annuisco, sforzandomi di sorridere per ringraziarlo. E' stato gentile ad accorrere fin qui di domenica mattina.
Dylan fa un passo avanti. La sua camicia è sgualcita dalle ore di sonno trascorse a terra sul tappeto. "Quanto ci vorrà perché Iris riprenda a respirare normalmente?" chiede, totalmente disorientato.
"Non lo sappiamo" dice il medico, allargando le braccia, "Iris ha una infezione da pseudomonas da molti mesi e, nonostante tutti gli sforzi fatti, non è stato possibile eradicare completamente il batterio. La sua infezione è divenuta cronica, tra alti e bassi, miglioramenti e ricadute. Sicuramente il raffreddamento di ieri sera ha abbassato le sue difese, dobbiamo dare tempo al suo corpo per rimettersi in sesto"
Lo sguardo di Dylan non abbandona per un istante il mio corpo steso sul letto, neanche mentre il medico spiega le mie condizioni.
E' uno sguardo dolce e impaurito.
E' lui ad essere il bambino adesso.
"Dovrà riprendere le cure endovena?" interviene mio padre.
Il dottor Cox si passa una mano sotto al mento e si schiarisce la voce: "Una terapia infusiva sarebbe certamente migliore, ma in questo stato non posso permettere ad Iris di recarsi al centro, farò in modo che siano le infermiere a venire a casa, se siete d'accordo ovviamente...."
"Siamo nelle tue mani, Bill" dice mio padre.
Il medico accenna un sorriso, nel vago tentativo di tranquillizzare il mio vecchio. Poi se ne vanno entrambi, lasciandomi da sola con Dylan.
"Non avrei dovuto farti prendere freddo, sono stato uno stupido ed è tutta colpa mia!" Dylan sbatte un pugno contro l'armadio, facendomi sussultare.
"Non dirlo" schiudo appena le labbra, "sono stata io a pregarti per uscire sotto la pioggia, tu non c'entri niente..."
Dylan viene verso di me, si siede e mi guarda con due occhi sempre più grandi e impauriti.
"Non avrei dovuto ascoltarti. Non avrei dovuto farlo!" Le sue iridi sono lucide e le sue labbra tremano, cercando di trattenere le lacrime.
Lentamente allungo una mano tra i suoi capelli, infilo le dita dentro ai ricci e socchiudo le palpebre.
"Passerà" sussurro con un filo di voce. "Io sono una guerriera, ricordalo sempre..."
La testa di Dylan si abbassa sulla mia pancia e qualcosa di umido mi bagna la maglietta.
Qualcosa che sa di dolore.
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