LXXXI Dylan: NIENTE PIÚ COME PRIMA
Canada, 25 luglio 2010
Apro la porta del locale con una grande spallata. Tara si fa trascinare all'esterno.
"Che ci fai qui, Tara? Sei forse impazzita?" le urlo addosso, schiacciandola contro la parete.
Alcuni ragazzi ci lanciano una occhiata storta e si allontanano, lasciandoci da soli nel buio della notte.
"Mi hai mentito, Dylan!" La voce di Tara mi entra dentro i timpani, potente e fastidiosa.
"Dovevo venire in questo posto fuori dal mondo e seguirti in questo locale deprimente per capire che c'era una ragazza di mezzo? E io e Brian a chiederci perché tu fossi cambiato tanto, non era poi così difficile! Fanculo!"
Con estrema fatica cerco di mantenere Tara ferma contro il muro. I miei palmi premono sulle sue spalle così forte che ho quasi paura di farle del male. Non so se difendermi vale anche in questo caso. Forse sì o forse non serve proprio a niente. Tara non capirà mai quello che sto vivendo, lei non è assolutamente in grado di farlo.
"Fanculo a te!" replico, avvicinando il mio viso pericolosamente al suo.
Tara mi sfida con lo sguardo. I suoi occhi stretti e truccati e il suo naso arricciato mi fanno perdere del tutto le staffe.
"Cos'è che ti brucia di più?" sputo fuori, "il fatto di non avere più due uomini tutti per te, di non essere al centro dell'attenzione o cos'altro? Il fatto che io stia vivendo qualcosa di bello per la prima volta nella mia vita? Qualcosa che non riguarda te, Brian, l'alcol, la droga e tutte le altre stronzate?"
"L'amore fa schifo, caro Dylan, lo capirai presto. Ci sbatterai la faccia e tornerai a cercarmi. Ecco, sappi che io non sarò lì ad aspettarti! Né io e né Brian!"
Il respiro di Tara è pesante, tanto quanto le sue parole. Il suo petto sale e scende e le sue pupille non hanno fermezza. Sono dilatate, proprio come questa mattina.
Non so cosa rispondere. Sono a corto di pensieri e di emozioni. Sono così scombussolato e frastornato che qualsiasi cosa mi passi per la testa è insensata o inopportuna. So che Tara ha ragione, anche io la penso così sull'argomento amore, ma con Iris è diverso.
Quelle teorie, quei paradigmi che mi sono imposto per così tanto tempo sembrano iniziare a crettarsi, esattamente come il mio cuore.
"Tu non hai idea di quello che sto passando" allento la pressione contro di lei, lasciandola di nuovo respirare. "Non ti sforzi neanche di capirlo. Sei piombata qui e pretendi che tutto sia come a New York. Non può esserlo! Non dopo l'incidente. Abbiamo rischiato di morire e con i nostri comportamenti lo rischiamo ogni singolo giorno. Ti rendi conto che non c'è momento nel quale tu non sia fatta? Anche adesso lo sei! Stai sparando stupidaggini sull'amore, ma non sai niente di me ed Iris...non sai proprio niente!"
Tara ride. Il suono della sua voce è talmente irritante, da farmi vedere rosso come il fuoco.
"Non credo che ci sia molto da sapere. Un ragazzo, una ragazza, un ballo lento e appassionato in una pista dove tutti si scatenano a ritmo di musica caraibica. Cos'era? Il tempo delle mele? Che scena dolce...."
Non riesco a fermarmi. Improvvisamente la rabbia che covo in corpo si impadronisce completamente di me. Alzo il braccio e sferro il palmo contro la guancia di Tara.
Lei porta la mano al volto, nel punto preciso dove ha appena ricevuto lo schiaffo. Mi guarda come se non mi conoscesse affatto. E forse è proprio così. Il Dylan Prince di New York a quanto pare sta cambiando. E non so se sia qualcosa di positivo o meno.
Mi guardo le dita peccatrici di ira e poi guardo dritto negli occhi la donna che ho appena colpito.
"Scusa, non volevo" soffio fuori.
Tara si scosta dal muro. Indietreggia lungo la strada, continuando a fissarmi. "Hai commesso l'errore più grande della tua vita, caro Dylan, te ne pentirai!" dice. Poi si volta e a passi svelti e sicuri sui tacchi alti fugge a rincorrere uno dei taxi fermo a pochi metri da noi.
Guardo l'auto gialla andare via nella notte. Gli occhi scuri di Tara mi scrutano dal finestrino posteriore.
La mia mano brucia ancora, esattamente come le sue parole. Sono fuoco dentro il mio petto. Lo squartano, lo aprono e lo divorano brutalmente.
Con l'animo pieno di smania, furia e grinta, rientro dentro il locale. Torno alla pista, ma Iris non c'è più. Raggiungo il banco e chiedo a Felicia o Anastasia se l'hanno vista. Loro mi guardano con fare di rimprovero. Credo che abbiano visto tutta la scena e non devo aver fatto esattamente una buona impressione.
"Sentite, io posso spiegarvi..." inizio a farfugliare.
Felicia punta un indice verso il fondo della sala. "Credo che prima di noi ci sia un'altra persona che ha bisogno di spiegazioni..."
Iris è seduta composta a uno dei tavolini all'angolo. Il mio cuore si stringe nel vederla lì, triste e sola.
Mi fermo a pochi passi da lei. Non so cosa dirle, avrei così tante cose, ma non riesco a tirarne fuori neanche una.
"E' la tua ragazza?" parla per prima, con voce fioca e sottile.
"No, non lo è" rispondo.
Iris mi lancia uno sguardo strano, evidentemente confusa dalla mia risposta.
"Credevo che.."
"Non lo è!" faccio un ulteriore passo avanti.
"Dylan, ecco io...tu ed io non stiamo insieme, se tu avessi una fidanzata non ci sarebbe niente di male..."
"Iris, quella non è la mia fidanzata, è solo un'amica di New York. Solo un'amica..." mi sento in dovere di giustificarmi.
Lei non sembra molto convinta e, in fondo, chi non lo sarebbe? Quella di poco fa sembrava essere una scenata di gelosia in piena regola!
"Sono stanca, potresti accompagnarmi a casa?"
Annuisco. Senza rivolgerci un'ulteriore parola raggiungiamo l'uscita del locale. Felicia e Anastasia accennano un saluto dal bancone. Ricambio, scuotendo la testa. Mi sembra di essere stato arrotato da un tir. Un camion o un treno. Mi sembra di avere ogni singolo organo sottosopra. Nel tragitto verso casa Sanders né io, né Iris abbiamo la forza o il coraggio di parlare.
Quando Iris scende dall'auto la seguo con lo sguardo dal finestrino, fino a vederla entrare in casa. Metto in moto e mi allontano, ma non di molto. Sono frustrato e completamente fuori controllo. Non doveva andare così questa sera. Non erano questi i miei programmi.
Accosto a un lato della strada. Improvvisamente, tutta la forza mai usata fino ad oggi, si accumula nelle mie mani in attesa di esplodere. Sbatto un pugno contro il cruscotto, facendo crocchiare tutte e cinque le dita.
Nel sedile vicino al mio ci sono ancora le due bottiglie di whisky prese al negozio. Le guardo per molto tempo, poi alla fine cedo al loro richiamo. Reclino il sedile e bevo.
L'alcol questa volta è necessario.
Mi deve aiutare ad allontanare tutta questa voglia di prendere a pugni qualcuno. Mi deve aiutare a scordare le parole di Tara e il mio gesto violento e impulsivo. Mi deve servire per placare il fuoco incompreso che arde dentro al mio cuore. Io non sono così, io non sono questo.
***
La mattina mi sveglio all'alba. Sono sul sedile della vecchia berlina. Ho passato qui la notte, a pochi isolati dalla tenuta Sanders.
Scendo dalla macchina.
Mi sgancio i jeans e, a gambe divaricate, sul ciglio della strada, libero la vescica.
La nausea è padrona del mio corpo insieme al senso di vertigine persistente.
Mi ero ripromesso di non ubriacarmi, ma a quanto pare non è poi così facile per il mio corpo stare lontano dal vietato richiamo.
Mi scoppia la testa. Ho fatto incubi insensati. Uno dietro l'altro, senza tregua. Donne, bottiglie, scene di film ripescate in chissà quale cassetto della memoria.
Salgo in auto e guido fino al centro di Banff. Quando arrivo all'hotel dove alloggiano i miei amici barcollo fino alla hall e mi faccio annunciare. La receptionist mi studia in maniera scettica e quasi disgustata, non devo avere proprio una bella cera.
Attendo Tara e Brian sulle poltrone rosse della grande sala, fingendo interesse nello sfogliare un giornale.
"Cosa ci fai qui, Dylan?" La voce di Brian mi sorprende alle spalle.
Mi metto in piedi e butto fuori un lungo respiro. "Dov'è Tara?" chiedo.
"Non vuole vederti" dice lui. I suoi occhi sono vitrei. "Ho saputo quello che è successo questa notte!"
Faccio qualche passo avanti, cercando di non perdere l'equilibrio. Ho ancora un vago senso di precarietà che mi perseguita.
"Cosa ti ha detto?" indago. La mia bocca è impastata dall'alcol.
"Tutto" Brian allarga le braccia, sconsolato e anche un po' innervosito. "Mi ha detto di te e della ragazza con la quale ti stai divertendo. Mi ha detto che non credi più in noi e mi ha detto che le hai dato uno schiaffo. Io e Tara non abbiamo preso un aereo dalla Florida per venire qui a sentire e vedere tutto questo. Non siamo graditi, lo abbiamo capito e ce ne andiamo, ma sappi che non ci sarà un ritorno ai vecchi tempi. La nostra specie di amicizia, come l'hai chiamata tu, finisce qui. In bocca al lupo, Dylan. Stammi bene e salutami la tua fidanzatina. Ah! ricorda, per me e per Tara tu non esisti più!"
Non faccio in tempo a dire niente che Brian si volta, dandomi le spalle. Raggiunge gli ascensori e preme il piano desiderato.
Prima che le porte si chiudano torna a guardarmi. Tira fuori dalle tasche qualcosa e me la lancia.
"Ti servirà! Hai il fiato che puzza di alcol!"
Afferro al volo quella che ha tutta l'aria di essere una mentina, mentre la porta dell'ascensore si chiude con un tonfo sordo, inghiottendo il mio amico per sempre.
Resto nella hall con lo sguardo perso e la caramella in mano.
Cosa ho combinato? Tutto quello che fino a poco fa era il baricentro del mio mondo, improvvisamente ha smesso di esistere.
Non ho più Brian, non ho più Tara.
Sono in una città che a malapena conosco e, soprattutto, non so più chi sono.
Lancio la caramella dentro al cesto dell'immondizia e corro verso l'indicazione del gabinetto. La tazza del cesso accoglie ancora una volta il mio vomito. Tutto, fino all'ultimo residuo. Questa volta non c'è né Felicia, né Anastasia a sostenermi. Questa volta sono solo. Io e la lussuosa toilette di questo hotel.
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