LXXI Dylan: IL NOSTRO FILM E' LA VITA
Canada, 22-23 luglio 2010
Non riesco a prendere sonno.
Le parole di Iris di questa mattina mi martellano da una tempia all'altra senza controllo. La mancanza di risposte, la totale incapacità di trovare un perché a un dramma che vive in lei e in chi la circonda, mi annienta. Senza contare il fatto che vederla sul divano, pallida e con la febbre alta, non mi sia piaciuto per niente.
Dopo essermi ruzzolato tra le lenzuola per una buona ora, decido di uscire a prendere un po' d'aria fresca. Credo proprio di averne bisogno.
Mi porto dietro la giacca e il pacchetto di sigarette. Non prendo l'auto. E' molto tardi e non voglio svegliare nessuno in casa Cox, specialmente il rampollo di famiglia. Non sono decisamente in vena di litigi a quest'ora!
Mi incammino per le strade deserte del paese. Fumo e butto fuori un sacco di amarezze.
Se non avessi fatto quell'incidente avrei mai conosciuto Iris?
Sorrido. Il gioco dei se.
E se non l'avessi mai conosciuta sarebbe stato meglio?
Forse sì. Avrei continuato con la mia vita, senza troppi scossoni. O forse no.
Forse mi sarei perso qualcosa.
Poi, nel buio della notte una domanda più grossa di tutte le altre, che non c'entra niente con il gioco dei se, ma che fa lo stesso un grande rumore nella mia testa.
Quando finirò il volontariato cosa succederà?
In realtà una risposta ce l'ho ed è semplice: tornerò a New York. Non vedrò più Iris.
Mi siedo su un muretto di mattoni rossi scorticati dal tempo. Fumo l'ultima sigaretta e butto via il pacchetto. Pensare di non rivedere più Iris mi fa male allo stomaco. Mi sento stringere forte la pancia, come se qualcuno me la stesse spremendo.
Potrei comunque venirla a trovare ogni estate e potrei pagarle un biglietto aereo per raggiungermi negli Stati Uniti quando vuole, quando starà meglio.
Mi prendo la testa tra le mani.
Cosa sto dicendo?
Iris è in attesa di un trapianto. La sua vita non ha niente in comune con la mia. Lei è e deve restare solo la ragazza che ho deciso di aiutare. Solo una compagna di questa avventura canadese. Solo una scommessa.
Ho giurato di diffondere in lei l'amore per il cinema e questo è ciò che farò, niente di più. Con questa amara e lontana convinzione salto giù dal muro e mi rimetto a camminare. Vago senza meta, nella notte e nel tormento.
Non vado a casa Sanders.
Iris deve riposare e io ho davvero bisogno della mia solitudine.
***
Il sole del mattino sfuma i pensieri con i quali ho fatto a botte questa notte. Come un pugile al centro del ring mi sono dato da fare contro le mie più grandi paure. Non ho concluso niente, se non ore di sonno perse e un enorme cerchio intorno alla testa.
I giorni insignificanti e insipidi di New York ormai sono lontani dalla mia vita di adesso.
Il telefonino lampeggia per l'arrivo di alcuni sms. Per l'ennesima volta li ignoro o meglio li cancello. Uno ad uno senza neanche leggere il loro contenuto. I mittenti sono sempre gli stessi: Brian, Tara, mio padre.
Con il messaggio di quest'ultimo impiego qualche secondo in più. Indeciso se aprirlo o meno, ma alla fine lo trascino nel cestino. Ero arrabbiato con lui all'inizio di questa spedizione e lo sono tutt'oggi.
Mi spingo in cucina. Sbatto due uova e bevo un bicchiere di latte. La cameriera ha pensato a rifornirmi il frigo, dovrò ringraziarla quando la vedo.
Come ogni mattina, il signor Cox mi attende sulla sua auto per condurmi al centro di cura. Non appena mi siedo al suo fianco mi informa sulle condizioni di Iris. Mi dice che sta meglio, che Mike Sanders lo ha chiamato presto per informarlo che la figlia ha passato la notte senza una linea di febbre.
Sentire questa notizia è sufficiente per sollevarmi l'umore.
Affronto l'intera mattina con il solo pensiero di fuggire dal centro e recarmi a casa di Iris. Ho un improvviso desiderio di vedere con i miei occhi come sta realmente. E quando, alle due in punto posso firmare la mia uscita, lo faccio senza pensarci due volte.
Recupero la giacca e scappo a casa Sanders.
Iris compare sulla soglia con un grande sorriso. Non c'è modo migliore per essere accolti.
"Dylan!" esclama, tenendomi la porta aperta.
"Sono passato per salutarti" dico, "il signor Cox mi ha detto che non hai più la febbre e così..."
"Sto molto meglio" mi rassicura, "per fortuna anche le analisi del sangue che ho fatto questa mattina vanno bene...."
Entro in casa.
"Sei...sola?" chiedo, guardandomi intorno.
"Mio padre è appena andato a lavoro" dice lei, "è stata dura, sai non voleva lasciarmi da sola, ma alla fine sono riuscita a convincerlo!"
Mi faccio guidare fino in cucina. Iris ha sul fuoco un bollitore.
"Vuoi del the?" mi chiede.
"Del the?" alzo le sopracciglia.
"Ne sto preparando uno alla vaniglia. E' il mio preferito"
"Okay" accetto.
Iris versa l'acqua calda in due tazze abbastanza capienti e vi immerge una bustina. Ci sediamo l'uno di fronte all'altro davanti al tavolo, ciascuno con il suo infuso.
L'odore di vaniglia è stucchevole.
Lo odio letteralmente, ma di fronte a Iris fingo che mi piaccia.
L'orologio scandisce i minuti.
Iris mi guarda in silenzio. Anche io la osservo.
Le sue guance hanno ripreso un po' di colore e anche le sue labbra. Sono rosee adesso.
Sono le labbra che conosco, quelle che è piacevole baciare.
"Iris ascolta..." mi schiarisco la voce. Non so da quale parte cominciare, ma devo buttarmi. Le devo una spiegazione alle mie assurdità del giorno precedente. "Ho pensato a ieri e volevo chiederti scusa...sono stato così invadente e poco sensibile! E' chiaro che tu non hai risposte a tutti quei perché ed è chiaro anche che se ne avessi non dovresti certo stare lì a spiegare a un perfetto sconosciuto quello che ti passa per la testa. Mi farò andare bene la storia del regista. E' un'immagine piacevole, è come se fossimo anche noi attori di un film..."
Iris soffia sulla tazza. Il liquido bollente emette una sottile scia di vapore che si irradia intorno al suo viso.
"Il nostro film è la vita" dice.
"Già, una bella fregatura!" sospiro.
Iris sorride. Poi porta la tazza di the alle labbra con entrambe le mani.
Socchiudo gli occhi ed è come se scattassi una fotografia di lei e di questo momento. Qualsiasi cosa quel maledetto regista abbia in mente per me, per Iris, per la nostra comparsa nel suo film, io voglio ricordarmi adesso. Per sempre.
Iris posa di nuovo la tazza sul tavolo. La sua bocca è leggermente umida. Per quanto detesti la vaniglia, immagino che deve essere buona se assaggiata dalle sue labbra. Scuoto la testa e caccio via questo subdolo pensiero.
"Ti è piaciuto Ghost?" riporto la conversazione su un binario più affine alle mie corde.
Iris si passa una mano tra i capelli. Li ha sciolti. Sono lunghi, le arrivano molto al di sotto delle spalle.
"E' stato commovente" dice, "però non ho pianto. Giuro!" incrocia gli indici davanti alla bocca.
"E se ti dicessi di metterlo in scena?"
Lei sgrana gli occhi. "Qui, adesso?"
"Ah, ah" annuisco.
Iris mi guarda divertita e anche un po' preoccupata. "Cosa hai in mente, Dylan Prince?"
"Qualcosa di molto...stuzzicante!" replico, mascherando un sorriso.
Lei mi osserva scettica mentre mi alzo dalla sedia e raggiungo la radio posta sopra al frigo. Impiego alcuni secondi prima di capire come si accende. Per un attimo penso che sia scarica o non funzionante, poi però il nastro che ho inserito inizia a girare e la cosa mi rincuora decisamente.
"Sarò il tuo Sam oggi e tu sarai la mia Molly, vuoi?" mi volto, alla ricerca degli occhi chiari di Iris.
Lei mi studia curiosa.
E io non vedo l'ora di farla sognare, di nuovo.
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