LXX Iris: PERCHÉ
Canada, 22 luglio 2010
Il campanello suona. E' un rumore lontano, quasi ovattato dalla confusione che ho dentro la testa. Mio padre va ad aprire la porta.
"Buongiorno dottor Cox, prego..."
L'uomo entra, accolto dalle calde parole del mio vecchio.
Mi sporgo appena con la testa oltre il bracciolo del divano sul quale sono distesa e noto che il medico non è da solo, insieme a lui c'è pure Dylan.
Colta di sorpresa, lo saluto con un debole sorriso, che il ragazzo ricambia incerto.
Non sono il massimo della forma. Sono pallida, avvilita e ho le tempie che non vogliono smettere di martellare. Odio avere la febbre e odio anche essere sempre in balia degli eventi. Fino a ieri mi trovavo con Dylan a un passo dal tramonto, adesso sono a terra che più a terra non si può.
"E' svenuta questa notte" spiega mio padre al dottore. "L'ho toccata sulla fronte, scottava da fare paura"
Il dottor Cox si china per mettermi un termometro sotto al braccio. Poi torna in posizione eretta, in attesa del responso. Sposto lo sguardo verso Dylan, che è rimasto sulla soglia della porta, quasi avesse paura di entrare.
"Ehi" lo chiamo, "puoi venire qui vicino, non credo di essere troppo contagiosa..."
Dylan si fa avanti, passa di fronte a mio padre e si affianca al dottore. Noto che indossa il camice bianco dei volontari. Deve essersi scordato di toglierlo.
"Come stai?" mi chiede, mettendosi in ginocchio di fronte a me.
Il mio torace si alza e si abbassa pesantemente. "Ho passato momenti migliori" ammetto.
Lui si porta una mano al volto, comprime forte i pollici contro la fronte e il naso, poi sospira: "E' tutta colpa mia, ieri non avrei dovuto farti trascorrere una giornata troppo intensa..."
Allungo una mano verso la sua e la stringo quel tanto che posso. Ogni movimento che faccio mi costa un'enorme fatica.
"Smettila!" lo rimprovero. "Non pensarlo neanche. La febbre non dipende da te, ma dalla mia maledetta condizione."
Dylan scuote la testa. Non sembra molto convinto.
Il dottor Cox sfila il termometro da sotto al mio braccio. "Trentanove" legge. Poi toglie dalla valigetta tutto il necessario per la sua visita. Mi ascolta i polmoni, facendomi respirare forte per quanto possibile. Mi illumina la gola e le orecchie. Alla fine annuncia: "Le tue condizioni, Iris, non sono mutate dall'ultima volta che ti ho visitata. Credo che rinforzando un poco la cura antibiotica e con un buon antipiretico ce la potremo fare, ma se la febbre dovesse perdurare per più di due giorni dovrai riprendere le cure endovena al centro. Non voglio rischiare, sei in lista per un trapianto e arrivarci nelle miglior condizioni è quello che, immagino, ci auguriamo tutti quanti!"
"Ovviamente" muovo appena la testa in un accenno.
Dylan mi guarda in modo dispiaciuto. Mi guarda senza staccare gli occhi dai miei e dal mio volto. Mi guarda come nessuno lo ha mai fatto prima di questo momento. Ed io, sarà per la febbre alta o per la sua vicinanza, ma sento il mio corpo andare letteralmente a fuoco.
"Domani mattina farò venire una delle infermiere per un controllo ematico"
Distolgo lo sguardo da Dylan per incontrare di nuovo quello del dottor Cox.
"Va bene" annuisco.
"Ecco, questa è una bustina per farti abbassare la febbre" dice il dottore, depositandomi una polverina amara sotto la lingua. "Adesso riposati. E tu, Dylan..." si rivolge al ragazzo ancora in ginocchio al mio cospetto, "se vuoi puoi restare a farle compagnia..."
"Oh sì! Dylan!" interviene il mio vecchio, "se rimani tu qui con lei, io posso andare in farmacia a prenderle le medicine"
Dylan accetta senza alcuna esitazione.
Mio padre e il dottor Cox se ne vanno, lasciandoci soli.
Quando la porta di casa si chiude, il silenzio invade le quattro mura. Un silenzio strano, quasi fitto di mille parole. Rannicchio le gambe al petto e faccio spazio a Dylan, così che possa sedersi al mio fianco.
"Perchè?" dice lui, fissando un punto lontano della stanza.
"Perché cosa?" socchiudo gli occhi per far diminuire il dolore alla testa.
"Perché devi passare tutte queste cose?" mi chiede, "chi lo ha deciso? Lo hai deciso tu? Lo ha deciso tuo padre o non so, qualcuno che non conosciamo? Chi è il responsabile di tutto questo? E non venirmi a fare discorsi da catechismo o roba simile perché non fanno per me!"
Le mie labbra si piegano in un minuscolo sorriso. "Dylan..." sospiro, "le tue domande sono legittime, sai, me le sono fatte per così tanto tempo che sono arrivata al punto di smettere di perderci la testa! Mi sono detta: Iris nessuno è in grado di darti una risposta, dunque dacci un taglio. Poi però è successo qualcosa...sei arrivato tu. E con te sono arrivati i tuoi bellissimi occhi scuri e la tua passione per il cinema. E da quel giorno tutto è cambiato. Ho ricominciato anch'io con quelle assurde domande che avevo accantonato. Perché proprio io? Perché nonostante le cure e gli sforzi non vedo alcun miglioramento? Perché non posso vivere e arrabbiarmi per una acconciatura venuta male o un vestito che non riesco a farmi entrare più? Semplicemente perché non posso. Ed è proprio per questo motivo che ti ho chiesto quella cosa quando abbiamo fatto il nostro patto. Ti ho chiesto di non innamorarti, io non voglio che qualcuno si affezioni troppo a me. Non ho risposte, capisci? Nemmeno una!"
Dylan non dice niente. E' fermo. Immobile.
Ed io vorrei tanto poter entrare nella sua testa e sapere quello che ci sta passando dentro in questo momento.
Emetto un paio di colpi di tosse. Sento il mio torace crepitare mentre i polmoni cercando di compiere al meglio il loro mestiere.
"Forse una risposta ce l'ho!" riprendo a parlare, "È stupido lo so, ma dai tuoi film ho imparato una cosa. La vita di ciascuno di noi è in armonia con quella delle persone che abbiamo intorno, sia che incontriamo per caso sia con le quali scegliamo di stare. Hai presente la pellicola di uno dei tuoi film? C'è un regista che decide. Un regista che conosce ogni minuto di noi e del nostro destino."
Dylan trattiene il respiro mentre mi ascolta. Non sposta la testa e non gira lo sguardo. Mi fa quasi paura vederlo così assente.
"Hai mai fatto il gioco dei se?" provo a coinvolgerlo, "E' facile! Credi che se Vivian non fosse stata una prostituta avrebbe mai incontrato il milionario che le ha cambiato la vita? Ed Evelin? Pensi che avrebbe capito quanto grande fosse il suo amore per Rafe se non ci fosse stata la guerra? E se non avesse creduto di averlo perso per sempre?"
Le mie domande vorticano sopra le nostre teste come mosche o zanzare fastidiose, accolte dal soffitto basso e le tende socchiuse.
Poi, finalmente, la voce di Dylan fa cessare quel brutto ronzio. "No, Iris" dice, "non ho mai fatto questo gioco, semplicemente perché non credo. Non credo esista un regista sopra di noi. Non può esisterne uno tanto crudele!"
"Invece non è crudele" sorrido di nuovo, per incoraggiarlo. "Pensaci, quel regista ci ha fatto conoscere. Questo lo chiami crudele?"
Dylan butta fuori un respiro più lungo del solito. Il suo volto non si rasserena, rimane contratto, pensieroso.
Cosa sta pensando?
Cosa frulla dentro di lui?
Il silenzio si fa spazio tra i mobili e tra noi.
Chiudo gli occhi.
Forse anche conoscersi è crudele. Forse per Dylan sarebbe stato meglio non avermi incontrata mai.
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