LXVIX Dylan: QUASI FELICE

Canada, 22 luglio 2010

La mattina mi sveglio quasi felice. E' la prima volta che mi succede da quando sono a Banff.
Mi lavo, mi faccio la barba e cuocio un paio di uova al padellino. Tutto questo fischiettando.

Ignoro il mio cellulare che suona.
Questa volta è Brian a chiamare.

Esco di casa e salgo sull'auto del signor Cox per andare a lavoro. L'uomo guida concentrato sulla strada. Ha una riunione questo pomeriggio e dice che non potrà riaccompagnarmi. Non è importante farò la strada a piedi, del resto come faccio la maggior parte delle volte. Che poi, dopo una mattina di lavoro, è pure piacevole sgranchirsi le gambe.

Quando arrivo al centro di cura individuo la signora Molly tra la calca di gente in fila per entrare.

"Ehi morettino, cosa hai fatto al naso?"

Ignoro la sua domanda e la prendo sotto al braccio per condurla dentro l'edificio.
La donna non sembra soddisfatta.
Punta il suo bastone a terra e torna a fissarmi nel volto.

"E all'occhio? Sembra che hai un livido giallognolo che scende dalla palpebra..."

La trascino dentro controvoglia. Non è cosa facile, peserà quasi ottanta chili!

"Dovresti imparare a stare più attento" dice lei, riprendendo ad avanzare più spedita del solito. A quanto pare la fisioterapia sta facendo miracoli! "E poi dovresti imparare anche a difenderti!" aggiunge.

La guardo accigliato. "Difendermi?"

La donna allarga le braccia e sputa fuori: "Difenderti! Difenderti! Tutti abbiamo qualcuno dal quale difenderci!"

Il fisioterapista di turno ci accoglie in palestra. Lascio Molly su una delle poltrone con l'intento di andarmene, ma la donna reclama un bacio sulle sue guance paffute.

Quando mi avvicino per darglielo, mi trattiene per un braccio e mi sussurra all'orecchio: "So quanto sia irascibile quel ragazzo, ma tu non lasciarti spaventare da lui. Non è cattivo, è solo... geloso!"

Resto decisamente frastornato dalla sua affermazione.

"Quale ragazzo?" biascico, fingendo di non aver capito la palese allusione a Steve.

La donna alza gli occhi al soffitto e poi torna a guardare nei miei.

"A meno che tu non sia un masochista, il che ci potrebbe anche stare dato il tuo abbigliamento, qualcuno ti avrà pur provocato quei brutti segni!"

Mi guardo la camicia. Ma cosa hanno tutti contro il mio modo di vestire?

Mi trascino davanti al mio armadietto con ancora le parole della signora Molly dentro la testa. Steve è geloso. E' chiaro.
Questo lo avevo capito da solo, senza il bisogno che una donna malata di Parkinson me lo facesse notare.

Lo specchietto dentro l'anta mi inquadra perfettamente il volto.
L'ematoma sull'occhio è sceso ormai sulla guancia. Come un flash il ricordo del pugno di Steve, la sua spinta e lo scontro con lo sportello della berlina. La ferita al labbro è risargita, ma non tutte quelle dentro il mio cuore.
Fanno male e sanguinano senza pace.

"Ciao Dylan, arrivato presto stamani!" Anastasia entra nella stanza ancheggiando. Posa a terra alcune borse e la tracolla del portatile sulla scrivania.

Chiudo l'armadietto e indosso il camice.

"Ehi, cosa hai fatto al naso?" mi chiede anche lei, indugiando sulla mia faccia.

"Non è niente..."

Se le dico che mi sono tirato da solo il tappo dello Champagne mi prenderebbe di sicuro per un idiota!

Anastasia maschera un sorriso. Si siede sulla poltrona e mi fa cenno di posizionarmi di fronte a lei.

"Ho una grande notizia!" dice, "nel pomeriggio andrò con Felicia a vedere un appartamento! Sento che sarà quello giusto!"

"Figo" butto là.

"Altrochè!" si dondola sulla sedia, "non vedo l'ora di trovare il nostro nido perfetto!"

Non so che caratteristiche debba avere un nido perfetto. Se lei e Felicia stanno bene insieme, potrebbero anche vivere in una capanna di paglia. Non esiste la perfezione.

"E tu?" mi chiede, "credi che sia giunto il momento di raccontarmi come stanno andando le cose con Iris?"

Allungo le gambe sotto al tavolo, fin quasi a toccare i suoi piedi. "Ho chiarito tutto con lei. Mi ha perdonato e abbiamo ripreso il nostro gioco..."

"Quindi adesso uscire con qualcuno e vedere se può funzionare si chiama così?" chiede la mia interlocutrice, "il nostro gioco?" improvvisa due virgolette con le dita.

Passo la mano tra i ricci, spingendoli via dalla fronte. "Tra me e Iris non c'è niente" le ricordo, "stiamo solo recitando una parte"

"La parte degli innamorati?" mi schernisce.

Scuoto la testa e sbuffo: "Non credo all'amore e non credo che Iris possa farmi cambiare idea!"

Anastasia mi guarda scettica. Ed io, per un attimo, ho come la sensazione che quello che ho appena detto strida più forte dei freni sull'asfalto o delle unghie sulla lavagna.

L'amore non esiste.
L'amore non esiste.
L'amore non esiste.

Lo ripeto dentro la mia testa, fin quando le tempie non iniziano a farmi male.

Improvvisamente la porta dell'ufficio sbatte e
il signor Cox si affaccia concitato alla porta.

"Scusate l'intrusione!"

"Buongiorno Bill, problemi?" domanda Anastasia, spostando l'attenzione da me all'uomo.

Alzo anche io lo sguardo e quando vedo il volto del dottore contratto e la sua fronte esageratamente tirata, mi sento tremare le ginocchia.

"E' successo qualcosa a Iris?"

E' la prima cosa che mi passa per la testa e quella della quale, se pur inconsciamente, sono costantemente preoccupato.

L'uomo si schiarisce la voce prima di parlare: "Mi ha chiamato il signor Sanders. Iris ha avuto la febbre molto alta questa notte. Devo andare a controllare"

Non aspetto che Anastasia risponda e neanche che il medico mi dia il suo consenso, balzo in piedi e mi fiondo fuori dalla porta.

"Vengo con lei!" annuncio.

Il dottor Cox annuisce, senza entrare in polemica. "Anastasia, pensaci tu ad avvisare gli altri soci del mio ritardo alla riunione"

"Certo..."

Quando usciamo il mio camice vola sospinto da un sottile alito di vento.

Avrei dovuto restare con Iris questa notte. Vedere il film con lei e addormentarmi al suo fianco. Le sarei dovuto stare vicino.
Un vago senso di colpa si fa spazio dentro di me. Mi sento le gambe istabili e un grosso macigno sullo stomaco.

Ho un'ansia tremenda.
Ho una paura tremenda.

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