LXIV Iris: COSÍ PER SEMPRE

Canada, 20-21 luglio 2016

Le evoluzioni dell'uomo macherato in rosso tra i sobborghi e i grattaceli di New York mi hanno rapita per l'intera giornata. Adesso è quasi notte, ma non riesco a spegnere il televisore e dire basta alla vena eroica di Peter Parker.
Lui, di giorno ragazzo liceale un po' sfortunato e di notte eroe salvatore di vite umane, mi ha rapita completamente.
Amo questa storia. Amo anche la sua rappresentazione cinematografica.

Ero con Spiderman su quei tetti, ero con lui giù dalle funi che pendono dai bracci delle gru ed ero con lui nell'amore segreto con la graziosa amica Mary Jane Watson.
Ero con lui sempre.

Vorrei che esistesse anche nella realtà un simile supereroe. Qualcuno in grado di proteggermi dai cattivi e di lottare per il bene del mondo. Qualcuno che vegli su di me, anche quando ogni speranza è persa.

Sono immersa in questi assurdi pensieri, con gli occhi fissi sulla lotta finale di Spiderman contro il cattivo Gobin, quando i vetri della mia finestra iniziano a tremare pesantemente.

Scatto seduta sul letto con il cuore in gola.
All'inizio penso che sia il terremoto, poi penso a degli spari e poi al vento o la pioggia.

Con il fiato corto raggiungo la finestra e mi fermo. Rimango impietrita come una statua di marmo perché a penzoloni c'è un uomo.
Sento la mascella cedere e spalanco la bocca.

Non è proprio un uomo. E' un uomo mascherato. E non è proprio una maschera comune. E' la maschera di Spiderman!

La gola mi brucia mentre le mie corde vocali emottono l'urlo più grande mai sentito.

"Ahhhhh!!!"

Sto per fuggire quando un particolare attira la mia attenzione. L'uomo mascherato che penzola dalla mia finestra ha una camicia bianca e dei jeans che non mi sono nuovi e anche una giacca che riconosco, è quella che ho indossato io stessa, la notte che ho passato sul dondolo del mio giardino. E' identica, quindi quell'uomo non è uno sconosciuto.
Quell'uomo è Dylan!

Pian piano riprendo l'uso di ogni parte del mio corpo. Chiudo la bocca e torno a respirare normale.

I vetri sono leggermente appannati dalla pioggia che vi sbatte contro pesantemente.

Ma cosa ci fa Dylan appeso a testa in giù mascherato da Spiderman?

Alla tv la lotta tra supereroi prosegue. Spiderman è in difficoltà più o meno come quello che è appeso alla mia finestra.

Vado ad aprire i vetri e libero il mio corpo da tutte le parole intrappolate dentro per un'intera settimana.

"Perchè? Perchè lo hai fatto? Perchè hai pagato Pedro e il dottor Cox a mia insaputa? Mi hai umiliata e offesa. Mi hai fatta sentire una nullità! Non è così che si aiuta la gente, non con le menzogne. Sai, dalle bugie non nasce mai niente di buono! E adesso? Adesso perchè sei qui?"

Le domande e le parole si intrecciano e si liberano come un fiume in piena.
La pioggia mi entra in camera, bagnando il pavimento.

Dylan resta in silenzio.

Posso vedere solo i suoi occhi, ma poco pure quelli perchè sono esageratamente scuri e anche leggermente coperti dalla maschera rossa.

Sollevo appena lo sguardo e scorgo la corda attorno alla sua caviglia. Non voglio sapere a cosa sia legato per mantenersi sospeso in aria. Siamo al secondo piano e l'idea che la fune possa allentarsi mi fa venire i brividi alla schiena.

"E poi ti rendi conto che tu sei un pazzo?" riprendo a vociare. "Cosa ti dice la testa? E' pericoloso! E' dannatamente pericoloso! Se la corda si spezza? E se precipiti? Vuoi ucciderti, è questo che vuoi?"

Dylan continua a stare in silenzio. Immobile. Mi guarda e non dice niente.

Mi passo una mano tra i capelli e provo a calmarmi. Faccio un paio di respiri più lunghi e mi avvicino ancora di un passo.
Ho esaurito le proteste, le offese, le paure.
Ho esaurito letteralmente tutto.

Guardo il ragazzo immobile e sotto sopra.

Ha la camicia completamente bagnata che lascia trasparire la pelle chiara sottostante.
I suoi jeans sono pesanti e la maschera tale e quale a quella del supereroe.
Spiderman.

Improvvisamente capisco tutto.
Dylan è tornato con i suoi personaggi. Dopo una settimana di silenzio è ripartito all'attacco.
Mi ha lasciato il film da vedere e adesso è qui, di fronte a me, in attesa di quella che è la scena più romantica e dolce del film. Quindi è questo che vuole? Emulare quel momento?

Quello dove Spiderman salva la ragazza dai cattivi, poi si cala dal tetto a testa in giù e lei lo ringrazia con un bacio?

Un bacio.

Le mie gambe iniziano a tremare e anche le labbra. Ho quasi paura.

Mi sento lo stomaco stringere forte, ma allo stesso tempo aprirsi al desiderio.

Mi avvicino cauta e posa le mani sul volto di Dylan. Lentamente gli sollevo la maschera, lasciando scoperta solo la sua bocca.
Questo è quello che fa Mary Jane, questo è quello che sto facendo io.

In sottofondo si sente la musica con i titoli di coda. Il film è finito, ma inizia il nostro.

Dylan increspa appena le labbra e sorride.

"Dovrei odiarti per ciò che hai fatto" protesto, " dovrei tagliare questa corda e lasciarti precipitare, dovrei..."

"Dovresti solo perdonarmi" dice lui.

La rabbia che mi cova in corpo pian piano evapora e lascia il posto alla voglia di ricominciare.

Se Dylan è qui, legato con una corda a metri e metri dal suolo. Se Dylan ha avuto tutto questo coraggio, allora forse, merita di essere premiato.

Mi avvicino ancora di un passo, annullando totalmente le distanze. Piego appena la testa e allungo le labbra su quelle del ragazzo che mi sta facendo diventare pazza.

Dylan le schiude appena, quello che basta per accogliere il mio bacio.

Le nostre bocche si toccano e il mio corpo freme.

Non ho mai baciato un ragazzo vestito da Spiderman e, soprattutto, non ho mai baciato qualcuno al contrario. La pioggia continua a scendere senza tregua, ma non impedisce alle nostre lingue di intrecciarsi e scambiarsi un milione di emozioni e sapori.

Il mio cuore è in completo subbuglio, scosso dal bacio più dolce, strano, bramato e imprevedibile che potessi mai immaginare.

Lentamente mi scosto e torno a respirare. Neanche mi ero accorta di essere rimasta in apnea.

"Tu hai un talento per sorprendermi" Questa volta sono io a citare le parole del film ed è Dylan a rispondermi: "E tu hai un talento a farmi andare il sangue al cervello!"

Faccio un passo indietro e guardo di nuovo la corda. Dylan è appeso a testa in giù da molto tempo, forse è meglio che lo aiuti a tornare in posizione eretta!

Gli do una mano a slacciare la fune attorno alla caviglia e poi gli sto vicina mentre lui si cala dolcemente sul davanzale e infine a terra, sul pavimento della mia stanza.

"Wow! Finalmente!" dice Dylan, rimettendosi in piedi.

Con una mossa veloce si sfila la maschera e scuote la testa. Il suo corpo gronda acqua da tutti i pori. I vestiti, i capelli, le scarpe.

"Sei molto bagnato" gli faccio notare.

Dylan allarga le braccia. "Un pochino" ridacchia.

Chiudo i vetri e anche la tenda, vado in bagno e prendo delle spugne asciutte.

Quando torno in camera di Spiderman non è rimasto neanche il minimo accenno.
Dylan è a petto nudo. Si è sfilato la giacca e si sta sganciando gli ultimi bottoni della camicia.

Resto sulla soglia della porta e lo guardo frastornata. Improvvisamente ho il cuore a mille.

Dylan alza gli occhi sui miei. Alcuni ciuffi gli coprono lo sguardo scuro.

"Ti...ti ho portato degli asciugamani" dico.

Lui fa un passo nella mia direzione. La sua camicia svolazza. Noto che ha anche i pantaloni sganciati, tanto che posso intravedere la stoffa scura delle mutande sottostanti.

Non riesco a fermare il mio cuore.
Non riesco proprio a farlo.
E' totalmente indomabile.

"Grazie" dice.

La mia mano trema mentre la sua si avvicina per prendere una spugna.

Dylan si passa l'asciugamano intorno al collo. Si sfila completamente la camicia e la lascia cadere a terra. Poi si abbassa i jeans, si siede sul mio letto e se li sfila dalle caviglie.

Resto immobile sulla porta, letteralmente sgomenta. Sento la mascella cedere e faccio un'enorme fatica per tenere la bocca chiusa.

Ma cosa mi succede? Non ho mai visto un uomo in mutande?
No! Non l'ho mai visto. Ad eccezione di Steve in costume e mio padre ovviamente.

"Hai una asciugatrice?" chiede Dylan lanciandomi uno sguardo.

Scrollo la testa e balbetto: " No, non...sì..."

Lui alza le sopracciglia. " Sì o no?" domanda.

"Sì"

Dylan raccoglie i suoi vestiti e mi viene vicino. "Puoi farmi vedere dove si trova?"

Fisso i suoi ricci bagnati, l'asciugamano che ha posato intorno al collo e il suo petto nudo.
Rialzo lo sguardo giusto un attimo prima di arrivare ai suoi slip.

Mi sento avvampare. Ho le guance rosse.
Le sento prendere quasi fuoco.

"Seguimi" dico con voce rauca.

Porto Dylan al piano di sotto, nello stanzino della lavanderia. Accendo la luce e apro l'oblò dell'asciugatrrice.

"Puoi, puoi mettere tutto qua dentro..." balbetto.

Dylan getta i panni nella buca. Poi prende la spugna che ha intorno al collo e se la lega in vita.

Sfila le mutande e getta anch'esse insieme agli altri panni. Chiude l'oblò e fa partire l'elettrodomestico.

Quando sposta di nuovo l'attenzione su di me, mi trova letteralmente imbalsamata. Guardo nel vuoto e cerco di convincermi che sia tutto regolare.

"Ti senti bene?" Dylan mi guarda preoccupato.

Annuisco.

Lui fa un passo verso di me e io ne faccio uno indietro. L'asciugatrice emette un rumore sordo, iniziando a girare.

"Scusa per quello che ho fatto. Scusa se non sono stato capace di capire che avrei potuto offenderti e umiliarti. Non sono abituato a pensare agli altri, a volte non penso abbastanza neanche a me stesso, però devi sapere che pagarti le cure è stato l'unico gesto buono della mia vita. E anche chiedere a Pedro di licenziarti non l'ho programmato. E' stato un gesto impulsivo. Mi sono sentito di farlo e basta! Non potevo vedere come ti trattava. Non potevo vederti lavorare in quel modo. Tu, Iris, hai bisogno di serenità. Hai bisogno di stare tranquilla e di qualcuno che ti faccia trascorrere momenti belli, momenti che non si dimenticano facilmente..."

Compio un ultimo passo indietro, fino a toccare la schiena contro il muro.
Sento il respiro corto, più di quando faccio una corsa. Le mie guance ormai sono fuoco acceso e il cuore un martello impazzito dentro al petto.

Cosa dovrei rispondere a un ragazzo che mi dice queste cose. Un ragazzo che mi guarda con due occhi scuri e profondi. Un ragazzo vestito di un solo asciugamano. Un ragazzo il cui respiro è a un filo dal mio!

"Ti ho già perdonato" riesco a pronunciare con un soffio.

Dylan sorride. Il mio cuore precipita a fondo più di quanto non lo sia già.

Poi pian piano Dylan avvicina le sue labbra alle mie e mi bacia. Di nuovo.

Mi sento morire.

Adesso non stiamo recitando nessun film.
Non siamo attori. Non siamo niente.
Solo un ragazzo e una ragazza che si stanno baciando.

Per quanto desideri sentire il sapore di Dylan, la sua bocca sulla mia, il suo respiro contro il mio e il suo corpo esageratamente vicino al mio, d'istinto poso una mano sul suo petto e lo allontano.

"Dylan...la promessa" gli ricordo.

"La promessa, certo..." annuisce lui e torna con le labbra protese verso le mie.

Lo fermo di nuovo. Non voglio che la situazione tra noi si complichi.
Non adesso che ci siamo chiariti.

Per un attimo penso alle parole di Steve. All'amore per quelli come noi. Siamo malati. Siamo in bilico tra la vita e la morte.
Siamo sul precipizio.
Se andiamo a fondo, non possiamo rischiare di trascinare con noi anche chi ci ha donato il suo cuore.

"Non devi innamorarti di me" gli ricordo fermamente.

Dentro di me muoio nel dire questa frase. Muoio perchè è la cosa che vorrei di più al mondo. Io che di questo ragazzo innamorata lo sono, e anche parecchio.

Dylan fa un passo indietro.
Finalmente l'odore della sua pelle bagnata e dei suoi capelli e del suo respiro si allontanano da me, permettendomi di riprendere fiato.

Il silenzio prende campo nella stanza.
Solo il rumore dell'asciugatrice e quello dei nostri cuori che battono. C'è attesa.
Attesa che Dylan dica qualcosa.
E che lo faccia il prima possibile.

Vedo le sue labbra aprirsi e poi richiudersi, poi aprirsi di nuovo e infine lasciar andare uno sbuffo.

I miei occhi non riescono a tenere il suo sguardo. Li abbasso appena e cerco di riprendere controllo sul mio respiro.

Dylan finalmente si schiarisce la voce: "E tu? L'hai mantenuta la promessa? Hai pianto? Lo hai fatto?"

Alzo di nuovo lo sguardo.
Il ragazzo mezzo nudo di fronte a me si porta indietro i capelli bagnati e lascia cadere le braccia lungo i fianchi.

"Non ho pianto" dico. " Non ho pianto mai!"

"Quindi è tutto ancora valido?" chiede, "il nostro gioco, il nostro patto?"

Mi limito ad annuire.
Dylan si morde le labbra, facendomi perdere un paio di battiti cardiaci.

"E come sta andando?" chiede ancora, "il cinema...voglio dire. Ti sta piacendo? Stai pensando che sia abbastanza meraviglioso come le tue montagne?"

Sollevo gli occhi al soffitto e arriccio il naso. " Umm...devo ancora decidere..." affermo.

Lui si trattiene dal ridere. Le sue labbra si piegano in un sorriso appena celato.
Fa un passo verso di me, un altro ancora e alla fine annulla ogni distanza.

Respiro a fatica. Le mie gambe tremano nel vedere Dylan, il suo petto nudo, l'asciugamano che ha legato in vita e i suoi occhi neri sempre più vicini.

Poi è un istante. Le sue mani si muovono svelte e arrivano alla mia vita. Mi afferrano agili e iniziano a farmi il solletico.

Mi lascio uscire un gemito e anche un piccolo urlo. Dylan mi punzecchia, mi stringe e mi solletica senza freno.
Rido e grido e rido.
Lui ride e basta. E' divertito e decisamente accanito contro il mio corpo.

Improvvisamente una voce proveniente dalla cucina ci ferma.

"Iris! Sei in casa? Sono tornato!"

Ci guardiamo. Io e Dylan.
Smetto di ridere e sbarro gli occhi contro quelli del ragazzo di fronte a me.

"Mio padre!"

In un secondo mi allontano, mi sposto verso la porta e lascio Dylan nello stanzino con i suoi panni e l'asciugatrice in movimento.

"Papà, sei già tornato?" entro in cucina.

Il mio vecchio appende l'impermeabile all'attaccapanni e annuisce. "Sono le undici" mi fa notare, "torno sempre a quest'ora dopo il turno di pomeriggio!"

Lo seguo versarsi un bicchiere di acqua e berla a lunghi sorsi.

"Tutto a posto?" domanda, "hai preso le tue medicine? Hai mangiato? Hai passato una buona giornata?"

Lancio uno sguardo verso lo stanzino, assicurandomi che la porta sia ben chiusa.

"Tutto perfetto!" sorrido.

Mio padre annuisce, posa il bicchiere nella vasca del lavabo e prende la direzione della sua stanza.

"Sono molto stanco. Credo che andrò a letto. Ci vediamo domani mattina. Buonanotte, bambina mia!" La sua voce è fiacca più o meno quanto le sue gambe.

Attendo che il mio vecchio si chiuda nella sua stanza e torno in fretta nella lavanderia.

Mi aspetto di ritrovare Dylan con l'asciugamano legato in vita ad aspettarmi, invece quando apro la porta rimango basita.
La stanza è vuota e l'asciugatrice non gira più.
Dylan sembra sparito.

Mi guardo intorno, negli scaffali e negli armadietti. Frugo anche dentro l'oblò dell'asciugatrice. Dylan non c'è e non ci sono più nemmeno i suoi vestiti.

Sospiro tristemente. Se n'è andato?

Sto per spengere la luce e uscire dalla stanza quando un paio di mani grandi e lisce mi afferrano saldamente la vita, sollevandomi appena e facendomi girare.

Senza che possa controllarmi mi lascio uscire un grido. Un urlo a dir poco sovrannaturale!

Dylan ride divertito.

"Iris, che succede? Tutto okay?" La voce di mio padre arriva ovattata dai muri della casa.

"Sì, papà!" grido di rimando, "solo un ragno!"

Dylan affonda la testa nel mio collo e mi stringe più saldamente la vita. "Specifica che si tratta di un ragno gigante: l'uomo ragno!"

Non posso non lasciarmi sfuggire un sorriso.
Dylan mi solleva da terra. Le sue braccia mi cingono sotto le ginocchia e dietro la schiena.

Poso la testa contro il suo petto, di nuovo coperto dalla camicia adesso asciutta.
Mi lascio condurre su per le scale, fino alla mia stanza e mi lascio deporre sopra al mio letto.

"Resto?" chiede lui.

"Resta..." sorrido io.

Dylan si distende al mio fianco e allunga un braccio per farmi posare la testa contro il suo torace. Gli faccio posto e permetto al suo respiro di muoversi tra i miei capelli.

Essere tra le braccia di Dylan è una sensazione bellissima. Piacevole.
Mi sento felice e ho quasi paura.
Paura di svegliarmi e scoprire che è tutto un sogno, che non c'è nessuno al mio fianco. Nessun uomo. Nessuno disposto a farmi sorridere, ancora e ancora.

Allungo la mano al comodino e apro il cassetto.
Dylan mi guarda accigliato.

"Devo farmi l'insulina" gli spiego.

Estraggo la penna e imposto la giusta dose. Premo l'ago sulla coscia e rilascio il medicinale.
Quando ho finito metto tutto dentro l'astuccio.

"Fa male?" mi chiede Dylan.

"Non fa niente" dico. "Ci sono abituata ormai!"

Dylan sorride. Questa volta però non lo fa in modo sexy e neanche in modo solare.
Lo fa con uno strano senso di disagio.
Poi allaccia con più vigore il braccio intorno al mio collo e mi stringe forte.

Chiudo gli occhi.
Quanto vorrei restare così per sempre...
Io e Dylan abbracciati. Il temporale fuori.
La notte tutta intorno.
***

Quando al mattino mi sveglio sono sola nel letto. Cerco Dylan con la mano e non lo trovo.
Deve essere passato dalla finestra e poi giù dall'albero perchè i vetri sono aperti.

Il cielo è chiaro.
La tenda è mossa da un leggero vento, che a quanto pare ha portato via le nubi di ieri notte.

Scendo a fare colazione.
Mio padre è già in piedi. Ha preparato le uova e anche il bacon. C'è un profumo piacevole nella stanza, che mi apre decisamente lo stomaco.

"Buongiorno, bambina mia" mi accoglie il mio vecchio. "Fame?"

"Da morire!"

Mi siedo, assumo i miei enzimi e inizio a sbocconcellare una fetta di pane bianco.

"Ho trovato questo, sai di cosa si tratta?" papà mi mette sotto al naso un pacchetto fasciato da carta con i cuori rossi.

Il mio cuore si ferma. Non batte più. Improvvisamente.

"Dove...dove lo hai preso?" rigiro il pacchetto tra le mani.

"Qui sul tavolo, è roba tua?"

Mi risveglio dallo stordimento e biascico un: "Sì, sì è roba mia"

Il mio vecchio posa la padella sul tavolo e mi incoraggia a prendere una delle uova cucinate.

"Chi ti fa tutti questi regali?" chiede.

Apro e chiudo la bocca, cercando disperatamente aria per parlare.

"L'altro giorno c'era un pacchetto simile sul divano e oggi sul tavolo..." indaga.

"Dylan" blocco la sua curiosità. "E' stato gentile, è venuto a trovarmi nel pomeriggio..."

"Quindi è sua l'auto che ieri sera era parcheggiata fuori? La vecchia berlina di Bill Cox..."

Annuisco e mi precipito ad aggiungere: "Già. Ha dovuto lasciarla lì perchè ha finito la benzina, ha detto che sarebbe tornato a riprenderla questa mattina!"

Mi sento una perfetta attrice.
Sembra che stare con Dylan abbia stimolato questa vena artistica del mio carattere.

"Dunque non sei più arrabbiata con lui?" chiede mio padre, fermando le mie bugie.

Abbasso lo sguardo sul piano del tavolo e fisso il mio piatto pieno di cibo.

"L'ho perdonato" affermo.

"Hai fatto la cosa migliore!" mio padre si lascia sfuggire un sorriso.

Termino la mia colazione in fretta e mi precipito di nuovo nella mia stanza.
Quando entro sento ancora l'odore di Dylan.
Accidenti! Vorrei non andasse più via.

Mi siedo sul letto e scarto il pacchetto che mi ha lasciato.
Sulla custodia c'è l'immagine di un aereo militare e tre volti.
Due uomini di bell'aspetto e una ragazza altrettanto seducente.
In evidenza una scritta in bianco.
Un nome che mi ricorda le Hawaii, la marina e la seconda guerra mondiale. La sconfitta americana nel Pacifico.
Pearl Harbor.

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