LV Dylan: ROCKY BALBOA

Canada, 10 luglio 2010

Resto sulla soglia della dependance. Guardo Iris e Steve che, abbracciati, seguono il dottor Cox dentro casa.

Un fuoco mi brucia dentro.
Sale dallo stomaco fino alla gola.
Chi è stato a parlare? Mike Sanders? E' stato lui a dire la verità?
Forse ho sbagliato a giudicare quell'uomo. Avrei dovuto immaginare che non avrebbe tenuto il segreto con la figlia.

La porta di casa Cox si chiude, inghiottendo Steve, Iris e tutti gli altri componenti della famiglia.

Incapace di stare fermo torno dentro la mia stanza. Vado in bagno e mi lavo la faccia con l'acqua fresca. Mi guardo allo specchio.
Faccio pena.
Ho il labbro ancora gonfio e adesso anche l'occhio malconcio.
Getto contro il viso più acqua possibile, sperando che possa ripulire i miei peccati e i miei dolori.
Fisso il nero delle mie pupille e penso a cosa mi sta succedendo. A New York ero capace di lasciarmi scorrere addosso qualsiasi cosa, mentre qui, in questo fottuto posto, non riesco a tenere le fila delle mie azioni. Non riesco a pensare obiettivamente e neanche a placare la rabbia che mi sale dentro. Non è da me.
Non è decisamente da me!

Fumo qualche sigaretta, scolo le ultime bottiglie che mi sono rimaste e salto la colazione.

Dovrei uscire. Dovrei andare al centro, ma non ne sono capace. Mi sento uno straccio e ho pure voglia di vomitare.

Sento l'auto del dottor Cox percorrere il sentiero. Sta andando al lavoro come se nulla fosse successo. Come è possibile riuscire a farlo? Chiudere la porta di casa con tutti i suoi problemi e lasciarli lì, ad aspettarti fino alla sera? Io non ci riesco!

Ho coinvolto troppe persone in questo piano. Mi sono comportato da ragazzino inesperto.
Pure il dottor Cox si era accorto della mia condotta. Sono stato proprio un ingenuo!

Mi getto sul divano e poi vado sul letto.
Alla fine esco fuori e corro verso l'entrata della casa principale. Devo parlare con Iris.
Questa storia infondo riguarda noi e io devo a quella ragazza le opportune spiegazioni.
E' estremamente duro e faticoso, ma sono obbligato a farlo.
Per lei e anche per me stesso, credo.

Quando la domestica apre il portone si accorge subito delle mie condizioni. Non devo essere un bello spettacolo; ancora in maglietta da notte, boxer e faccia gonfia.

La donna farnetica qualcosa in una lingua che non riesco a capire. Nel frattempo cerca di bloccarmi il passaggio, ma la mia irruenza vince. Mi ritrovo dentro al salone dove abbiamo festeggiato l'anniversario dei coniugi Cox. Mi guardo intorno e decido di avventurarmi su per le scale.

Mi sento Sylvester Stallone nei panni di Rocky Balboa. Ferito, umiliato, ma pronto a combattere.

Corro i gradini velocemente, ignorando la voce acuta della cameriera che chiama la sua padrona.

Al piano di sopra apro tutte le porte, fino a quando non trovo quella che cerco: la camera di Steve.

Quando l'anta sbatte contro il muro, Steve e Iris si riscuotono e si voltano verso il frastuono.
Sono seduti di fronte alla scrivania e mi guardano con occhi stralunati.

Sapevo che li avrei trovati qui. Ne ero certo.

Non faccio in tempo a fare un passo dentro la stanza, che Steve si mette in piedi e mi raggiunge.

"Cosa sei venuto a fare? Chi ti ha fatto entrare? Devi andartene!" mi spinge indietro.

Faccio resistenza e cerco disperatamente lo sguardo di Iris. Lei però tiene la testa bassa. Non mi guarda più. Si vede benissimo che si impone di non farlo.

"Per favore, devo spiegarti..." La mia voce esce come una supplica, cercando di arrivare alle orecchie e al cuore della ragazza china di fronte. "Per favore.." ripeto.

"Dylan, non c'è molto da spiegare. Mi hai mentito"

Il volto di Iris è triste. I suoi lineamenti sono contratti e hanno perso tutta la loro luminosità.
Anche le sue parole sono fredde e mi arrivano al cuore, facendolo diventare duro come la pietra.

Steve preme contro le mie spalle, mi fa indietreggiare oltre la soglia e mi chiude la porta in faccia.

L'ultima cosa che vedo è la figura di Iris, seduta, afflitta, nel suo pigiama con i pantaloncini bianchi.

La rabbia che ho dentro mi incendia completamente. Ribolle, fino a esplodere.

"L'ho fatto per il tuo bene!" grido con tutto il fiato che ho in corpo. "Per il tuo bene, per il tuo bene, per il tuo bene..." lo ripeto all'infinito, come un mantra, come una preghiera.

Sbatto i pugni contro il legno della porta e mi lascio cadere a terra esausto.
Nessuno dall'altra parte si degna di aprirmi.
***

Lydia mi fa alzare e mi accompagna a sedere di fronte al tavolo della cucina.

La domestica mi serve del caffè lungo.
Ogni tanto mi lancia un brutto sguardo.
Deve essersi offesa per la mia irruenza di poco prima.

"Quello che hai fatto è stata un'opera molto generosa, Dylan" dice la signora Cox, sedendosi nella sedia vicina alla mia.

Fisso il tavolo e non mi sforzo di muovere un muscolo. Questa volta il combattente che è in me è davvero incapace di rialzarsi.

Lydia allunga una mano sopra la mia.
Alzo lentamente lo sguardo e incontro gli occhi castani della donna.

"Mio marito non mi aveva detto niente a riguardo. Pur avendo scoperto i tuoi intenti è stato molto discreto e ha deciso di tenersi la cosa per sé. Se ha fatto così vuol dire che ha visto in te qualcosa di buono. Ti ha voluto dare fiducia, capisci?"

Capisco, ma non me ne faccio assolutamente niente della fiducia di Bill Cox.
Non adesso che ho perso quella di Iris.

"Quella ragazza ha solo bisogno di tempo. Lasciala pensare, lasciala assorbire i fatti" continua, "Iris ne ha passate tante. È sempre stata una bimba più grande della sua età e oggi è a tutti gli effetti una donna dura e orgogliosa, più di quanto tu possa pensare. Non lasciarti ingannare dal suo fisico minuto, dai suoi occhi da bambina, Iris ha una forza che neanche tu immagini. Pensa che non ha mai accettato un aiuto economico dalla nostra famiglia. So che Steve le ha proposto più volte una mano con l'assicurazione, ma ha sempre rifiutato. Credo che, per come è fatta, le ci vorrà un pò di tempo per metabolizzare la cosa, ma poi capirà che tu l'hai fatto solo per il suo bene!"

Mi sento il cuore stringere in una morsa.
Vorrei che sia così. Lo vorrei davvero tanto.

So quanto Iris sia forte. L'ho capito fin dal primo giorno che l'ho vista.
Lei era sul lettino, respirava con la maschera dell'ossigeno, ma la sua personalità aleggiava nell'intero edificio. E' una vincente.

Lydia lascia andare la mia mano e mi fa un piccolo cenno con la testa. "Adesso bevi questo caffè! Per annullare gli effetti dell'alcol è la cosa migliore, specialmente di prima mattina!"

La sua affermazione mi lascia di stucco.
Come sa dell'alcol? Da cosa lo ha capito?

Le rivolgo un'occhiata storta.

Lei si strofina il naso e si posiziona seduta con le braccia conserte. "Non negare, Dylan" mi bacchetta, "non con me!"

I suoi occhi si fanno più scuri, quasi liquidi.
E in quel mare di foglie secche e buio riesco a vedere il volto di una donna che ha sofferto.
C'è qualcosa di strano nelle sue pupille, qualcosa che mi fa sentire partecipe dei suoi mali, che ci accomuna o che, forse, lei è riuscita momentaneamente a sconfiggere mentre io sono ancora in balia della tempesta.

Bevo il caffè prima che si raffreddi e mi metto in piedi. La cameriera mi osserva dall'altra parte del tavolo. Lancia uno sguardo ai miei boxer e arrossisce.

Fingo di non vederla.

"Per oggi puoi pure rimanere a casa. Parlerò io con mio marito, non ci sono problemi! Andrai domani al centro di cura. Meglio che torni a riposare..."

Mi lascio accompagnare fino alla porta, lanciando uno sguardo di avvertimento alla cameriera, che ci sta seguendo e che, con tutta probabilità, è passata a ispezionare la parte posteriore delle mie mutande.

"Stai tranquillo, le cose si metteranno apposto" Lydia mi abbraccia. "Nel frattempo Iris è in mani buone. Steve le è molto amico!"

Il solo sentir pronunciare questo nome mi fa salire il mal di stomaco e non solo, anche l'occhio riprende a pulsare.

Lydia ci lancia uno sguardo e sospira: "Mio figlio è un bravo ragazzo. Si lascia solo prendere troppo dall'istinto. Dovrebbe imparare a essere più riflessivo alle volte. Fin da bambino la rabbia è stata il suo unico modo di sfogarsi!"

Non rispondo.
Cosa dovrei dire? Che io sono il suo bersaglio preferito?

Mi limito ad annuire e ringraziare la donna per avermi offerto la colazione e il suo tempo.
In silenzio e a testa china torno alla dependance.

Lascio una parte di me stesso dentro la casa.
Una parte dai capelli biondi e gli occhi come il prato. La parte che mi sta facendo più male.

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