LIV Iris: ADRENALINA A MILLE
Canada, 10 luglio 2010
Il sole del mattino mi sveglia. Ho di nuovo lasciato le ante aperte e la luce mi batte proprio sugli occhi. Mi trascino giù dal letto.
Uno stupido sorriso solca le mie labbra al pensiero di questa notte. E' stata bellissima. Magica.
Il respiro di Dylan vicino al mio. Le sue mani che mi stringono in un ballo da sogno. Credo che non sarà tanto facile dimenticarmi di queste sensazioni. Anzi, non lo sarà affatto.
Il ricordo di noi mi resterà per sempre come un tatuaggio sulla pelle. Indelebile.
Mi affaccio alla finestra. Vedo mio padre che annaffia il giardino. Non è da solo, sta parlando con qualcuno. Guardo meglio e capisco che si tratta di Pedro, il padrone della taverna nonchè mio ex datore di lavoro. Rivederlo mi fa uno strano effetto. Per un attimo tornano alla superficie le brutte sensazioni provate dopo il licenziamento, quelle di inferiorità e sconfitta.
Incuriosita mi sporgo a sentire le loro parole.
"Mi è dispiaciuto per tua figlia, la nuova cameriera non è brava quanto lei" dice l'uomo.
"Iris si impegna molto in tutto quello che fa" risponde mio padre, "il lavoro alla taverna per lei era davvero importante!"
Pedro si avvicina allo steccato che circonda il giardino. I suoi occhi piccoli si stringono contro quelli di mio padre e la sua bocca fa uscire una frase che mi lascia letteralmente di stucco.
"Mike, sai quanto tengo a te e alla tua famiglia, ma non ho avuto altra scelta. Iris non stava bene ultimamente, aveva bisogno di riposo. E poi quel ragazzo, ecco, non dovrei dirlo, ma c'è stato un ragazzo che non ho mai visto in giro che mi ha aperto gli occhi sulla situazione..."
Il mio vecchio lascia andare il tubo dell'acqua e raggiunge anche lui la staccionata che li separa.
"So tutto" dice mio padre, "quel ragazzo ha parlato anche con me. E so anche che ti ha chiesto silenzio, non dovresti parlarne in giro come stai facendo adesso!"
Il mio cuore inizia a battere veloce.
E' come se all'improvviso avesse preso a martellare dentro al petto.
Di quale ragazzo stanno parlando? E cosa c'entra con il mio licenziamento? Cosa sa mio padre a riguardo?
Le domande si accavallano l'una sull'altra senza tregua. Mi sento mancare l'aria e faccio l'unica cosa possibile: correre fuori.
Arrivo in giardino completamente trafelata.
Pedro mi guarda sorpreso.
Mio padre si gira e nei suoi occhi leggo uno strano movimento, quasi di paura.
"C'è qualcosa che dovrei sapere?" domando.
Pedro abbassa la testa, colpevole.
Sposto gli occhi da lui a mio padre in modo repentino. Una brutta sensazione di fastidio mi invade tutta.
"Iris, forse è meglio se ne parliamo dentro"
Le parole di mio padre sono serie e aumentano notevolmente la mia agitazione.
Pedro indietreggia di qualche passo, allontanandosi dalla barriera in legno.
"Cosa mi state nascondendo? Cosa devo sapere sul mio licenziamento?" La voce mi esce fioca, quasi strozzata.
Papà mi prende sotto braccio e mi riporta all'interno. Poi chiude la porta.
Mi ritrovo faccia a faccia con il mio vecchio, in uno stato di ansia totale.
"Mettiti seduta" mi ordina.
Lo faccio. Sento le gambe tremare, sento che non deve dirmi niente di buono.
"Pedro ti ha licenziata perchè qualcuno lo ha pagato per farlo. Qualcuno che, credo, ci tiene molto a te! C'è stata una persona che si è accorta delle tue condizioni fisiche nell'ultimo periodo e ha pensato di aiutarti. Ha dato dei soldi a Pedro per licenziarti e trovarsi una nuova cameriera e ha pagato le tue cure per l'intero anno"
Le mie mani iniziano a tremare. Non riesco a fermarle. Mio padre si siede accanto a me e le prende tra le sue.
"Bambina mia, credo che ognuno abbia il suo modo per dimostrare affetto. E questo è il sistema migliore che ha trovato quel ragazzo..."
Il mio respiro si ferma. Il cuore pure.
"Quale ragazzo?"
Lo stomaco si strizza dalla paura della risposta.
Mio padre abbassa la testa e confessa: "Dylan...
Dylan Prince"
Tutti gli oggetti immobili nella stanza cominciano a vorticare intorno a me.
Le sedie, il tavolo, i quadri appesi alle pareti.
L'orologio invece si blocca. Nella mia mente si ferma alle sette e mezza del mattino.
Anche il rumore della ventola del congelatore e del frigo si ammutoliscono.
Chiudo gli occhi e prendo un bel respiro.
Papà mi stringe le mani, ma il mio cuore stringe più forte della sua presa.
Ogni evento, ogni cosa pian piano comincia a combaciare. Anche i particolari più irrilevanti.
Mi sento mordere dentro.
Dylan mi ha presa in giro per tutto questo tempo. Mi ha consolata dalla disperazione per la perdita del lavoro, quando è stato proprio lui la causa effettiva. Mi ha riempita di bugie e di menzogne. Come ho potuto non accorgermene?
Pian piano socchiudo le palpebre.
Mio padre è ancora seduto vicino a me e aspetta una mia reazione.
"Tu lo sapevi" sussurro con la poca voce che mi è rimasta. "Perchè non mi hai detto niente?"
"Dylan mi ha chiesto di stare in silenzio" dice, "quel ragazzo lo ha fatto perché ti vuole bene. Non è da tutti preoccuparsi così per qualcuno. Ho visto come ci teneva a te, pur conoscendoti da poco, e gli ho voluto dare una possibilità..."
"Papà, Dylan mi ha mentito! Mi ha presa in giro!" scatto in piedi, riprendendo il controllo delle mie gambe. "Tu mi conosci, come hai potuto credere che queste bugie alle mie spalle potessero farmi anche solo minimamente piacere? Non ho mai accettato l'aiuto di Steve, che conosco da una vita intera, figuriamoci quello di un ragazzo piombato dal nulla!"
Mio padre mi guarda dal basso, afflitto e avvilito. Forse si è reso conto che tenermi nascosto qualcosa del genere non è stata una buona idea, ma ormai è troppo tardi.
Io sono enormemente delusa.
Da lui, dal proprietario della taverna ma, soprattutto, da Dylan.
Infuriata mi muovo nella stanza, cercando di radunare tutte le idee che mi passano dalla testa. Poi, senza trovare pace, mi dirigo verso l'uscita.
Mio padre non mi segue.
Sa che, in questo momento, non riuscirebbe comunque a fermarmi.
E a me non importa se sono impresentabile, se ho ancora addosso il pigiama, se non ho assunto le mie medicine e nè mi sono lavata la faccia. L'unica cosa che mi interessa è correre da Dylan e sputargli addosso tutta la mia delusione e il mio disappunto.
Mi dirigo verso casa Cox. Impiego molto per arrivare. Quasi mezz'ora.
Cammino veloce e a tratti mi fermo.
Quando giungo in prossimità della tenuta ho i polmoni gonfi e il fiato corto.
E' il percorso più lungo fatto nell'ultimo periodo.
Con l'adrenalina a mille e la rabbia che mi cova in corpo, mi dirigo decisa alla dependance.
So che Dylan alloggia qui e a quest'ora del mattino deve esserci per forza.
Inizio a bussare in modo ripetitivo, sbattendo i pugni come una furia.
"Apri la porta! Apri subito questa porta!" grido.
Dalla casa vedo arrivare il dottor Cox e anche Steve, richiamati dal frastuono.
La signora Lydia rimane sotto l'androne avvolta in una lunga vestaglia.
La porta della dependance si apre.
Dylan fa capolino.
I capelli arruffati e gli occhi appiccicati.
"Iris..." biascica.
La sua voce, la sua figura, le emozioni che mi ha fatto provare questa notte si confondono in un vortice pazzesco di caos. Un caos che mi conduce letteralmente all'Inferno.
Mi avvento con i pugni contro il suo torace, proprio come ho fatto poco fa con la porta.
"Perchè? Perchè lo hai fatto? Perché mi hai mentito?"
Dylan si tira indietro i capelli.
Poi mi prende i polsi, bloccando qualsiasi ulteriore mio cazzotto.
Mi guarda sorpreso, incerto, ma anche colpevole. Mi guarda come qualcuno che sa di non avere la coscienza pulita.
"Perchè hai pagato Pedro? Perchè hai pagato le mie cure?" butto fuori. Non so dove riesca a trovare altro fiato. Dopo il percorso fino a qui e le urla, non ho più alcuna forza.
Dylan mi stringe i polsi e mi attira a sè.
Il suo vorrebbe essere un abbraccio, ma risulta soltanto una mossa goffa e fastidiosa.
"Iris per favore ascoltami..."
La sua voce è impastata e fioca e si perde tra i miei capelli.
"Come hai potuto mentirmi per tutto questo tempo?" cerco di liberarmi del suo calore, "mi sono fidata di te mentre tu hai messo in piedi qualcosa di diabolico alle mie spalle!"
Dei passi si avvicinano a noi. Sono quelli del dottor Cox e di Steve che salgono i gradini della dependance. L'uomo posa una mano sulla mia spalla, mentre Steve resta a guardarci a un passo di distanza.
"Iris, calmati adesso" dice il dottor Cox, "non è una buona cosa che ti agiti così tanto. Potresti avere un'altra crisi respiratoria."
Dylan mi stringe forte i polsi. Sembra non volerli lasciare andare mai più.
I miei occhi sono puntati contro i suoi.
Dentro non vedo cattiveria, non vedo malafede, ma non vedo neanche il fascino che ci vedevo fino a ieri sera.
"Mi hai delusa e non sai quanto..." dico.
Lui abbassa la testa. Alcuni ricci gli finiscono sugli occhi.
"E' vero ti ho mentito" ammette, "ho pagato Pedro perchè tu smettessi di affaticarti in quel bugigattolo e poi ho inviato una busta anonima con i soldi al centro di cura. Volevo semplicemente aiutarti"
"Non si aiutano le persone in questo modo. Non con le menzogne!"
Dylan rialza lo sguardo su di me.
Il mio cuore si ferma.
"Avresti accettato soldi da me? Lo avresti fatto?" mi chiede.
Questa volta sono io ad abbassare la testa.
Non lo avrei fatto, come non l'ho mai fatto con Steve.
"Ho agito d'istinto. Nella mia vita non ho fatto mai niente per gli altri. Questo mi sembrava un buon motivo per iniziare a fare qualcosa di buono"
Con la coda dell'occhio vedo Steve contrarre la mascella. Gli occhi del mio amico sono puntati contro la figura di Dylan e non preannunciano niente di buono. Nell'aria c'è odore di vendetta, guerra e punizione.
Prima che scoppi la terza guerra mondiale, il dottor Cox interviene: "Sono sicuro che risolveremo tutto. Lydia ci preparerà un caffè lungo e ne parleremo con calma di fronte a una buona colazione, coraggio..." mi prende sotto al braccio. Lancia anche uno sguardo al figlio, incoraggiandolo a lasciar perdere e rientrare.
Steve non recepisce il comando. Stringe un cazzotto e si scaglia contro Dylan.
E' un istante.
Il pugno serrato di Steve finisce contro il volto di Dylan, proprio sull'occhio.
Di nuovo tutto si ferma intorno a me.
Tutti noi e tutti i rumori che ci circondano.
Steve si massaggia la mano, mentre Dylan grida e finisce a terra.
Il dottor Cox lascia il mio braccio e si getta a prendere il figlio, prima che la situazione gli sfugga completamente dalle mani.
"Te lo avevo detto io" grida Steve contro suo padre, "ti avevo detto che non c'era da fidarsi di lui! Non mi hai mai creduto e gli hai anche concesso di usare la tua Rolls Royce!"
Il dottor Cox strattona il braccio di Steve, facendolo calmare. "Piantala!" urla, "non risolverai niente utilizzando la violenza!"
Dylan si rialza da terra. Ha l'occhio socchiuso e un ematoma che si sta formando proprio sul sopracciglio.
"Dylan ha sbagliato e deve pagare!" continua Steve.
"Non così!" sbraita suo padre. "Non così!"
Mi sento la testa pesante e il torace compresso. Sono amareggiata e dispiaciuta da questa assurda situazione e da tutto.
Steve respira forte. Dylan si mantiene un palmo contro l'occhio dolorante.
Il dottor Cox prende un respiro: "Sapevo tutto fin dall'inizio" confessa.
I miei occhi scorrono da Steve a Dylan al dottore e di nuovo daccapo.
Mi sembra di essere all'interno di un complotto. Quante persone hanno continuato a mentirmi fino ad oggi? Quante altre ancora?
Steve stringe di nuovo la mano in un pugno e si avventa contro suo padre. "Che cosa?" urla.
Il dottor Cox blocca il braccio del figlio in aria, prima che gli arrivi dritto in faccia.
Poi lo lascia andare con forza.
"Quando ho ricevuto la lettera anonima, ho riconosciuto la busta. Appartiene ad una associazione che ci spedisce gli auguri natalizi tutti gli anni. Ho lasciato alcuni biglietti nella dependance l'anno scorso. Non è stato difficile collegare l'azione a Dylan."
Steve è apparentemente sconvolto, più o meno quanto lo sono io.
Dylan guarda verso l'alto e soffia fuori un bel respiro. Poi volge la testa al dottor Cox e i loro occhi si incontrano.
"Perchè non me lo ha detto, signore?" dice Dylan.
"Perchè ho capito le tue buone intenzioni" risponde l'uomo, "so che lo hai fatto per una persona a cui tieni davvero. Ho una certa età ma non sono cieco e ho avuto anch'io venti anni"
Dylan indietreggia di un passo, mentre il dottor Cox mi riprende sotto al braccio per condurmi verso casa. Vedo Lydia immobile sulla soglia con le mani strette al petto.
Steve mi afferra per l'altro braccio, allontanndomi dal padre.
"La accompagno io!" dice.
Il dottor Cox lo lascia fare.
Mi volto appena.
Dylan è ancora sulla porta.
I capelli arruffati, le guance rosse.
Le labbra semichiuse e l'occhio gonfio.
Non si muove. Non ci raggiunge.
Resta così, come un gladiatore colpito e ferito.
Vorrei mettermi a piangere, ma poi penso al giuramento. Non posso.
Steve mi abbraccia per condurmi dentro casa e io mi chiedo quanto quella promessa abbia ancora senso di esistere.
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