II Iris: DUE BALORDI

New York, 15/16 Giugno 2010

"Queste due birre al tavolo dieci!" Pedro mi porge i bicchieri colmi fino all'orlo.

I due tizi mi aspettano, rossi in volto e con sguardo fin troppo sagace.

Non mi piacciono. Non mi sono piaciuti fin dal primo momento che hanno messo piede nella taverna. Uso tutto il mio autocontrollo per servirli, senza sostare oltre il dovuto vicino a loro.

" Bambola! Hai dimenticato una cosa!" mi richiama uno dei due con voce rauca.

Il blocchetto l'ho nella tasca dei jeans e la penna incastrata dietro l'orecchio, non vedo cosa possa aver scordato. Mi avvicino cauta.

" Ecco! Hai dimenticato questo!" L'uomo allunga una mano, facendola scontrare perfettamente nel mio sedere.

Mi sento morire.
Mi sento umiliata e ferita.

Rispondo d'istinto. Sollevo il braccio, pronta a scagliare uno schiaffo contro la sua faccia ignobile. Il mio arto però rimane bloccato in alto, sorretto dalla mano dell'altro individuo.

" Tu ci tieni al tuo posto di lavoro, non è vero?" sibila, stringendo lo sguardo contro il mio.

E' così vicino che posso vedere a uno a uno i suoi denti marci.
Annuisco, rilassando le spalle e reprimendo la rabbia. 
Lascio che il tizio mi liberi dalla sua presa e fuggo lontano dal loro tavolo.

Ignoro i due tipi per tutta la sera, nonostante le occhiate e le risate che mi lanciano costantemente. Non dico niente a Pedro.
Non voglio creare polemiche o confusione.

Questo lavoro mi serve e devo mantenermelo il più stretto possibile.
Lo stipendio di mio padre è sufficiente per i beni di prima necessità, non posso sobbarcargli pure la mia assicurazione sanitaria e il costo dei farmaci. Sarebbe troppo per lui!
***

Alle due finalmente la taverna si svuota.
Aiuto Pedro a lavare gli ultimi bicchieri e riordinare la sala. Pulisco i tavoli e vi sistemo le sedie intorno. Sono davvero stanca.
Nell'ultimo mese la spossatezza si è fatta sentire con più prepotenza. Un tempo non avvertivo il lavoro, potevo farlo anche fino alle tre di notte. Adesso invece non vedo l'ora di tornare a casa e infilarmi a letto.

Forse Steve ha ragione quando dice che noi siamo diversi, che noi non possiamo avere una vita normale, ma io non voglio pensarci.
Ho diciannove anni!
Normale o non normale, ho comunque una vita davanti. Basta solo stringere i denti!

"Ecco a te, Iris! " Pedro mi porge le banconote che mi sono guadagnata.

"Ci vediamo domani sera!" lo saluto, infilando i soldi in tasca.

Fuori tira un vento fresco. Sembra provenire da nord. Infilo il giacchetto e avvolgo il collo nello scialle. E' il regalo di Natale della mia matrigna. Mia sorella Rose ne era così gelosa, che Eva è dovuta tornare al negozio, affrontando una bufera di neve, per comprarne uno uguale anche a lei!

Mi incammino verso casa.
La strada è deserta, forse più delle altre sere.
I rami degli alberi si piegano, sospinti dal vento. Il silenzio domina tra le abitazioni. L'unico rumore è quello dei miei scarponcini contro i sassi e di qualche gatto randagio che si rincorre.

Banff è semplice. Le sue case lo sono, la sua gente. Io la amo proprio per questo motivo.
Adoro il mio paese.
Il fiume, la montagna, i suoi boschi.
I piccoli negozi.
Qui ho tutto quello che mi serve.

Svolto l'angolo, quasi giunta a destinazione, quando una mano grande e ruvida, mi tappa la bocca. Caccio un urlo, che però mi resta piantato in gola.

Inizio a scalciare, ma sento le gambe solo tremare insieme al respiro.

" Ehi, ehi, bambola! Stai calma!"

La voce rauca è la stessa del tipo alla taverna.

Un senso di nausea si impossessa del mio corpo, che aumenta esponenzialmente non appena mi accorgo che c'è anche l'altro tizio, quello dai denti cariati. E' fermo alla mia destra e stringe tra le mani un attrezzo che ha tutto l'aspetto di un coltellino svizzero.

" Dacci i soldi e ti lasceremo andare!"

Il fiato dell'uomo che mi tiene ancora la bocca chiusa sa di birra e aglio.

" Altrimenti..." fa eco il tipo con il coltello in mano, " ci accontenteremo del tuo corpicino..."

" Che non è niente male!"

Ridono.

Riprendo a scalciare. Sono impaurita e frastornata. I soldi, il mio corpo. Due balordi.

Con il cuore in gola caccio fuori dalla tasca le banconote e gliele porgo, sperando che mi lascino andare.

Per fortuna lo fanno.

L'uomo puzzolente mi libera dalla sua presa e insieme al complice scappano via correndo.

Mi lascio andare a terra, con i palmi a coprire la faccia e i singhiozzi che si liberano uno dopo l'altro.

Due sconosciuti si sono accaparrati il mio bottino. Si sono presi una sera della mia vita, un giorno delle mie cure.

Il mio viso viene invaso dalle lacrime. E insieme al pianto arriva anche lei, la tosse. Infima, subdola e potente.

Tossisco fin quasi a sputare un polmone.
Tossisco fino a svuotarmi l'anima.

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