CXI Dylan: IN EQUILIBRIO CON TE
Canada, 4 agosto 2010
Iris viene allontanata da me così, da un momento all'altro, in una mattina d'estate come tante altre. La sua voce, le sue parole mi rimbombano nella testa, generando nel mio cuore un turbine di paura. Resto in piedi a osservare camici bianchi e azzurri correre via con la mia ragazza e con la sua debole vita.
Non sento niente, se così può essere definito questo freddo immenso che mi mangia le ossa.
Intorno a me ogni suono è ovattato, mentre la speranza pian piano scivola via. Se ne va con Iris, con il suo letto, con l'equipe di medici e infermieri che fuggono veloci.
Una musica suona dentro la mia testa.
Bed of Roses.
E' come un coro di angeli che intona la canzone di una storia d'amore nata solo per sbaglio.
Il mio incidente e la mia vita, messa in pericolo dalla perversione di Brian e Tara, mi sembrano la cosa più stupida del mondo.
Un tempo amavo sfidare il destino, adesso è lui a prendersi gioco di me.
Sento scivolare via la persona che amo, sento il suo respiro allontanarsi, la sua forza venire meno. Sento il mio cuore crettarsi. Di netto.
Le mie ginocchia cedono, lasciando che il mio corpo cada sul pavimento come un pesante sacco di patate. La postazione di Iris è vuota. Adesso sono io ad avere fame d'aria.
La mancanza del suo letto è un varco di dolore dentro al mio cuore. E' deserto.
Una mano si posa sulla mia spalla. "Ehi, Dylan! Dov'è Iris?"
Alzo gli occhi, incrociando quelli del signor Sanders. La mia bocca non riesce a emettere alcun suono. Solo i miei occhi parlano.
Una lacrima scende dietro l'altra, aprendo un solco che si ingrossa attimo dopo attimo.
L'uomo scuote la testa. Non riesce a dire niente. Si inginocchia al mio fianco e mi stringe tra le sue braccia. Anche i suoi occhi parlano, nello stesso identico modo dei miei.
***
Eva e il signor Sanders sono in piedi di fronte alla porta della sala operatoria. Aspettano.
La piccola Rose è seduta su uno dei gradini che portano ai piani superiori. Ha una bambola in mano. Le liscia i capelli in modo meccanico.
Fa lo stesso gesto da ore ormai. Ed io la fisso. Guardo le sue piccole mani con il desiderio di rivedere presto quelle delle sorella.
Poi, quando ogni speranza inizia a vacillare, finalmente la porta della sala operatoria si apre. Un medico esce.
E' il responsabile, l'uomo dalla folta barba bianca e gli occhi buoni. Si sfila la cuffietta, avvicinandosi al signor Sanders e a sua moglie.
La faccia del medico si contrae in una smorfia e la sua testa si piega in un cenno di sconforto.
"Mi dispiace" dice.
Eva si butta tra le braccia del marito.
Mike Sanders resta immobile, lasciandosi travolgere dal dolore della sua dolce metà.
Il suo corpo si trasforma improvvisamente in una pietra, una roccia priva di sentimenti ed emozioni.
Ed io, io non riesco a fare nient'altro che focalizzarmi su quel mi dispiace.
Incredulo. Incapace di ragionare, di razionalizzare mi lascio scivolare a terra con la schiena contro il muro. Non respiro più, non vedo più, non ascolto più. Sono il niente più assoluto.
"Iris non tornerà, vero?"
La voce di Rose mi riporta al presente.
Volgo lo sguardo da lei alla bambola bionda che stringe in mano. Non posso risponderle.
La mia bocca è asciutta e priva di saliva. Le mie mani non si muovono e neanche le mie gambe. In realtà niente del mio corpo è in grado di fare un qualsiasi spostamento.
Gli occhi chiari di Rose si gonfiano. La sofferenza è più grande del piccolo corpo nel quale è trattenuta. La bambola le cade di mano, mentre si getta contro di me, atterrando con la testa sul mio petto vuoto.
"Abbiamo tentato di tutto, ma l'emorragia era troppo estesa..."
La voce del medico è lontana, incomprensibile alle mie orecchie. Qualsiasi cosa, in realtà, è lontana da me, anche la stessa bambina che mi singhiozza addosso.
Poi, quando la forza torna a prendere campo, scatto in piedi. Lo faccio in modo brusco, inaspettato. E' come se i miei arti si lasciassero comandare dalla parte più irrazionale del mio animo. Abbandono Rose a piangere accanto alla sua bambola e fuggo via. Eva e Mike mi guardano scappare, sconvolti come me, se non ancora di più.
Salgo le scale velocemente, risalendo al reparto di terapia intensiva. So che probabilmente mi sto illudendo, che mi sto sbagliando, che sono un disastro, ma so anche che non posso accettare questo tipo di finale. Corro nella stanza di Iris. Voglio vedere con i miei occhi, voglio scoprire che si tratta solo e soltanto di uno scherzo.
Non c'è stata nessuna emorragia.
Nessuna complicazione.
Sì, è davvero così! Tutto questo è solo un brutto sogno. Mi sono addormentato nell'attesa su una delle sedie scomode nel corridoio.
Basta solo che riesca ad aprire gli occhi per vedere di nuovo la luce e riabbracciare Iris, il mio amore più grande.
Entro in reparto come una furia.
Corro alla postazione di Iris, per scoprire che, purtroppo, è vuota proprio come qualche ora fa. Il suo letto non c'è e il monitor è spento. Ogni filo è staccato, in attesa di una persona che, a quanto pare, non tornerà mai.
Non sto dormendo.
No. Non è possibile!
Apro tutti i cassetti, fino a trovare quello contenente i suoi effetti personali.
Spazzola, dentifricio, biancheria pulita.
Il diario.
Con le mani che tremano e la testa che non comanda più alcun muscolo del mio corpo, afferro il quaderno e lo porto al petto.
I miei occhi si ingrossano. Le lacrime pungono per uscire e il mio cuore scoppia di dolore.
Di nuovo fuggo via, scontrandomi con un paio di infermiere che mi chiedono gentilmente di non correre.
Sto vivendo solo un incubo brutto e pazzesco.
Il diario che stringo al petto tra poco tornerà alla sua padrona. Tra non molto Iris potrà scriverci di nuovo sopra i suoi pensieri. Potremo anche farlo insieme, se lei vorrà.
Corro giù per le scale. Non ho una meta.
Non so niente. Non so cosa aspettarmi, cosa fare, come poter tornare indietro.
Se ci fosse solo un modo per tornare a poche ore fa, per evitare di addormentarmi e piombare in questo sogno assurdo!
Mi scaglio contro il corrimano, riprendendo fiato. Inizio a tirarmi pizzichi sulle braccia, piano e poi sempre più forte. Ignoro i passanti, ignoro chiunque si soffermi a osservarmi.
Sto sognando e devo svegliarmi.
Sto impazzendo.
"Dylan, cosa è successo?"
Mi volto.
Anastasia è alle mie spalle e accanto a lei c'è Felicia. Avanzo, barcollando.
Hanno entrambe le guance rosse e il fiatone.
Si vede che sono reduci da una corsa.
"Dovete aiutarmi a uscire dal mondo dei sogni. Sto ancora dormendo, io sto..."
"Dylan!" La mano di Anastasia blocca la mia, che continua a mollare pesanti pizzicotti sulla carne delle braccia.
"Iris è appena tornata nella sua stanza, sta bene. Lei non ha avuto un'emorragia, lei non è...lei non è morta. Non lo è, vero? Voi siete qui per salutarla, non è così?"
Felicia lancia uno sguardo terrorizzato ad Anastasia.
"Ditemi che è così!" La mia voce esce dal petto così forte da farmi sobbalzare.
"Dylan, vieni qui..."
Anastasia tenta di abbracciarmi, ma il mio corpo si rifiuta di essere coinvolto in un contatto. Indietreggio, senza staccare lo sguardo dagli occhi grandi della ragazza che si è dimostrata una amica, una vera e propria amica per me.
"Dylan, per favore, non fuggire via..."
La mano di Anastasia resta tesa, ma le mie gambe si spostano, desiderose di scappare il più lontano possibile dalla crudele realtà.
Faccio un paio di passi indietro, con il cuore che batte a mille e la testa che non cessa di pensare. Le sensazioni sono forti, ingestibili. Mi prendono tutta l'anima, trattenendola in una morsa di sofferenza totale.
"Dylan, aspetta, non te ne andare...Dylan!"
Ancora qualche passo fin quando il mio corpo così scosso, vuoto e incredulo, si scontra con un altro corpo, altrettanto fuori di sè.
"Cosa le hai fatto?"
Steve stringe i suoi occhi verdi contro i miei. Il suo viso è a un palmo dal mio e il suo fiato acre soffia contro la mia faccia.
"E' colpa tua! E' tutta colpa tua!"
Il mio respiro si strozza, spezzandosi.
"Tu l'hai fatta affaticare in questi giorni, tu non le hai dato tregua. Tu, Dylan, sei il diavolo in carne ed ossa! Da quando sei arrivato nessuno di noi ha avuto più pace. Hai rovinato tutto. Tutto!"
Se fino a questo istante il mio corpo era privo di qualsiasi sentimento, adesso il mio animo si rimpingua di tutte le emozioni perdute.
La rabbia, il disprezzo, l'odio più puro si incanalano in ciascuno dei miei nervi tesi, facendoli esplodere.
Il diario di Iris mi cade di mano, finendo a terra. Si apre all'ultima pagina, quella dei nostri Ti amo. Un pugno dritto al cuore.
Senza parlare, senza emettere un singolo fiato, se non un debole e gutturale ringhio soffuso, mi lancio contro il corpo di Steve come una furia. Non ho più niente da perdere, perchè ho già perso tutto.
Non so se sto sognando ancora, ma la forza che metto nello sferrare pugni e calci sembra essere abbastanza conforme al mondo reale.
Steve mugola. Il suo corpo gracile si muove sotto ai miei colpi come un lombrico privo di spina dorsale.
Le mie nocche affondano dritte contro lo stomaco dell'avversario, costringendolo a urlare e ribattere con altrettanta violenza, con altrettanto dolore. Quel dolore che voglio sentire sul mio corpo più di ogni altra cosa. Quel dolore che mi fa capire che non sto sognando. Quel dolore che è realtà. Tragica, funesta. Sconcertante.
"Iris è morta!"
La voce di Steve mi rimbomba nelle orecchie, facendo male ai timpani oltre che al cuore.
"Iris non tornerà più!"
Ancora la sua bocca che parla. Ancora le sue parole che arrivano alla mia anima.
"Iris..."
"Smettila!" grido.
Alle mie spalle accorrono Anastasia e Felicia. Le sento parlare, pregandoci di fermarci.
Le sento sospirare e chiedere aiuto ad alcuni passanti.
Steve è immobile sotto di me. Le nostre gambe sono incastrate in un groviglio di dolore, il mio braccio alzato, pronto a sferrare un pugno contro quel viso che ho odiato e ho cercato allo stesso tempo di voler bene.
"Iris non è morta" sussurro, respirando a fatica.
Steve chiude gli occhi, pronto a ricevere il colpo.
"Iris non è morta" ripeto, cercando un appiglio nella mia voce che mi convinca che tutto questo non sia assolutamente vero.
Poi la rabbia contro Steve, contro quello che ha fatto fino ad oggi, si dissolve magicamente.
Il dolore è più forte di tutto. Il dolore vince sull'odio, portandomi ad abbassare il braccio. Poso il palmo a terra.
Steve apre gli occhi. Nelle sue pupille, tra onde di sofferenza, ci sono anche tutte le sue scuse.
Siamo due ragazzi impotenti di fronte alla vita.
Siamo due ragazzi. E basta.
E mentre un paio di sconosciuti tentano di farci alzare contro il nostro volere, le lacrime ci riempiono gli occhi, gonfiandoli oltre misura.
Pochi istanti e le nostre braccia sono strette le une alle altre, a formare un unico bozzolo di sofferenza.
Steve piange come un bambino sulla mia camicia. Posso sentire tutto il suo male.
Lo posso ispirare a pieni polmoni. E' puro, è un gigante senza controllo. Stringo forte le sue spalle, aggrappandomi ad esse come un naufrago all'unica scialuppa disponibile.
Il dolore di Steve è uguale al mio e, per un istante, non c'è alcuna differenza tra di noi.
Siamo due anime perse.
Perse senza una via d'uscita.
"Coraggio, Dylan, alzati!"
Le mani di Anastasia mi sollevano, afferrandomi sotto le ascelle.
Steve resta a terra, richiudendosi a riccio nel suo pianto.
Non posso fare a meno di guardarlo.
Non posso fare a meno di pensare perchè non sia morto lui invece di Iris. Loro hanno la stessa malattia. Perchè lei è stata così male? Perchè lei ci ha lasciati? Iris e non Steve. Perchè?
Una lama mi trafigge il cuore, fredda e potente. Non dovrei pensare queste cose. Non dovrei neanche permettere al mio cervello di elaborarle.
"Forza, Steve, vieni in piedi pure tu!"
Anastasia prende la mano del ragazzo, aiutandolo a rimettersi in sesto.
"Iris non avrebbe piacere nel vedervi così. So che è difficile in questo momento, so che nessuna parola di conforto vi potrà mai essere utile, ma dovete essere forti perchè questo è ciò che lei vorrebbe..."
Lei vorrebbe stare con me.
Vorrebbe una figlia, una routine noiosa e banale. Vorrebbe vivere. Ecco cosa vorrebbe.
Raccolgo il diario e torno a indietreggiare.
I miei piedi si muovono veloci, portandomi lontano dalle parole di Anastasia, dalla figura addolorata di Felicia e dal volto scarno e sconvolto di Steve. Fuggono repentini, fino a raggiungere il cortile esterno.
Cammino sotto al sole del primo pomeriggio.
Cammino senza un programma.
Cammino con la speranza di trovare un appiglio, una spiegazione, una risposta a un dolore così immenso.
Salgo su uno dei pullman di linea come un fantasma alla ricerca dell'anima che ha perso. Dovrei fermarmi e scendere alla tenuta dei Cox, ma proseguo. Proseguo fino a casa Sanders e poi ancora più in là.
Senza sapere come è perché mi ritrovo a sedere di fronte a uno dei tavoli della baita dove io e Iris abbiamo pranzato la prima volta insieme.
La cameriera mi serve la Tourtiere. Non è buona come quel giorno. Non è buona neanche come la volta che siamo venuti con Steve. Non è più buono niente senza Iris. Niente.
Scorro gli occhi sui segni del tempo incorporati nel tavolo di legno.
Ogni crepa è un ricordo che riaffiora.
Ogni crepa è un dolore insopportabile che viene a galla. Ogni crepa è il male.
Con lentezza mi trascino al prato dove abbiamo stretto il patto. E' passato un mese esatto da allora. A quanto pare la vita e la morte si sono date appuntamento nello stesso giorno.
Il vento mi sposta i capelli ed è come se le montagne alitassero nella mia faccia.
Un alito speciale. Il respiro di Iris.
Apro le braccia e grido.
Urlo a pieni polmoni, così forte che per un attimo ho paura di sputarne uno ai miei piedi. Il mio viso si riempie di lacrime. I singhiozzi si fanno sempre più ravvicinati fino a non lasciarmi tregua.
"Perchè? Perchè te ne sei andata? Perchè mi hai lasciato da solo?"
Mi abbandono. Cado a terra, sull'erba.
Resto in questa posizione per minuti, se non ore. Fingo di essere morto pure io.
In realtà credo che resterò qui sdraiato per l'eternità, così che la morte mi sorprenda veramente, facendomi riunire di nuovo all'unico amore mai provato fino ad oggi.
Il sole mi riscalda il corpo e la faccia.
Poi se ne va, lasciandomi in compagnia di un cielo sereno, con poche stelle ma una luna grande quanto tutta la mia sofferenza.
E in questo quadro, in questo bellissimo quadro di luce e ombre ecco che la vedo.
Il suo volto, dolce, delicato e fragile.
I suoi occhi verdi e speciali.
Il suo sorriso.
Allungo una mano, immaginandomi di tracciarne i contorni.
La luna adesso è il suo mondo.
Il suo Paradiso.
"Iris..."
Il suono della mia voce si confonde con quello dei grilli della notte.
Iris è serena adesso. Può respirare senza una bombola di ossigeno da portare sempre con sè, può mangiare senza prendere delle noiose medicine. Può persino correre.
E' perfetta.
E' tutto quello che ha sempre desiderato essere, anche se non lo è insieme a me.
Le mie palpebre si fanno pesanti, fino a chiudersi. Mi addormento, lasciandomi trascinare nel mare dei ricordi.
Un film dietro l'altro.
Un bacio dietro l'altro.
Un odore, un profumo, una risata e una carezza che si alternano alla speranza di essere in grado di amare ed essere amati.
La schiena sul terreno mi fa sentire vicino a Iris, in equilibrio con la natura, adesso più che mai. Adesso come non lo sono mai stato.
Abbiamo vissuto di promesse e giochi e ancora promesse.
Fino all'ultimo.
Fino alla fine.
Promettimi che destinerai il tuo amore ad una donna che si merita di te.
Te lo prometto.
Una lacrima mi riga il viso, proprio mentre la mia testa e il mio cuore si lasciano andare al mondo dei sogni. Quelli belli. Quelli di noi due. Io e te, principe e guerriera.
NOTE AUTRICE:
Salve lettori,
so che mi odierete, che sarete arrabbiati con me per questo finale (che poi ancora finale non è, mancano circa cinque/sei capitoli), bene vi lascio sfogare! Potete gridare e infamarmi sono prontissima :) ma poi dovrete pur placarvi ed è lì che io potrò farvi vedere le cose dall altro punto di vista. Quello della speranza, nonostante tutto. Iris se ne è andata, se ne sono andati i suoi sogni di una vita migliore, il suo amore immenso per le montagne e per il ragazzo nuovo e diverso, venuto da un paese per lei tanto lontano. Se n'è andato tutto di Iris, ma non il suo ricordo; quello vivrà per sempre in Dylan.
Chi lotta ogni giorno contro una malattia cronica sa quanto ogni momento sia importante, ogni ora e ogni singolo giorno concessogli per aprire gli occhi e innamorarsi. Per fortuna non tutte le persone affette da fibrosi cistica hanno questo triste epilogo, molte di loro vivono una vita serena, se pur curandosi quotidianamente,molte altre affrontano e superano il trapianto, conquistando giorni migliori. E poi c'è chi, pur lottando con tutte le sue forze, perde la sua battaglia. Ho scritto questa storia in ricordo a quei ragazzi che non ci sono più, ma si sono dimostrati dei veri e propri guerrieri, chissà magari staranno vivendo una vita migliore adesso. Una vita su misura per loro.
A presto con il continuo di questa storia, è stato bello condividerla e viverla con voi. grazie
Vi ricordo che se volete potete seguirmi sulla pagina Facebook : Serena Arcangioli-autrice e sulla pagina Instagram seryy_a.
Buona domenica, buon rientro dalle feste natalizie. Baci ...
Serena
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top