Fine.

C'è una distanza fine tra la vita e la morte. E questo lei lo sa bene.
Conosce ogni sfaccettatura di quella linea invisibile che divide l'esistenza dalla più completa oscurità; non certo per sua volontà, si intende, ma per mano di un orco il cui cuore si è tramutato in pietra inscalfibile, o magari lo era sempre stato.

Ma allora ancora non lo sapeva, credeva che lui l'amasse, la proteggesse. Dopotutto l'aveva corteggiata a lungo e con grande perseveranza.
Col senno di poi capì che quello dell'orco non era istinto di protezione, ma un'ossessione nei suoi confronti, un voler possedere il suo corpo e la sua anima, come se gli appartenessero di diritto, come se la giovane fanciulla fosse nata per essere sua e non del mondo.
Non le concedeva di avere amici o famiglia al di fuori di lui, non le permetteva di passeggiare in solitaria, ma solo al suo fianco. E lei?
Semplicemente sopportava, sottostava al suo volere, si adeguava ai suoi atteggiamenti.
Ora si domanda il perché lo facesse. E la risposta giunge quasi immediatamente.

Aveva paura. Paura di ribellarsi, paura di sognare una felicità che probabilmente pensava di non meritare. Lei aveva sempre conosciuto solo il dolore e la tristezza a causa di quell'uomo, e aveva sempre creduto che la pace e la luce fossero concetti talmente lontani che spesso si sentiva in colpa anche solo nel desiderarli.

In conclusione però ha compreso che il reale problema non è la paura del buio in sé, ma imparare a mimetizzarsi con essa, fraternizzarci ed entrarci in simbiosi. Perché chi lo fa non vorrà più lasciarla andare, e una briciola di quell' oscurità rimarrà sempre impiantata nel cuore. Anche quando si avrà il coraggio di dire "Basta", di segnare una fine a tutta quella sofferenza.

Coraggio che sì, aveva trovato dopo tanto, ma solo grazie a quel piccolo fascio di speranza, tenerezza e mugolii, che adesso si nutre del latte della vita direttamente dal suo seno.
Guarda la sua bambina, frutto di tutt'altro che amore, ma prepotenza, avida possessione e crudeltà.
Osserva mentre muove ripetutamente le labbra socchiuse sul capezzolo e le gote che si gonfiano con la suzione, e per la prima volta sente il cuore palpitare non di terrore, ma di una gioia incontenibile, sconosciuta.
È solo per lei che è riuscita a lasciar andare, a fuggire e a raccontare quello che l'orco le aveva fatto. Ora si sente frastornata ma libera di ricominciare una vita degna di essere esplorata.

Ha decretato la sua fine come dipartita di quella ragazza impaurita, senza futuro, assoggettata a qualcuno, e ha scritto invece un nuovo inizio come rinascita di una donna sicura, una mamma pronta a donare amore e compassione.

Una fitta di dolore le percorre l'occhio cerchiato da un livido violaceo costringendola a stringere le palpebre per trovare sollievo, ma così facendo sente ancor più dolore.
Eppure nemmeno una lacrima scende sul suo volto, non più ormai.

«Ti prometto che ti darò tutto l'amore che mi è stato sempre negato. Non dovrai mai scusarti per sentirti inadeguata, non dovrai mai piangere per paura di essere te stessa» sussurra dolcemente, come una cantilena.

Occhi grandi e di un profondo blu la fissano intensamente, mentre un sorriso furbo fa capolino oltre il suo seno scoperto. Sembra quasi che riesca a capire ciò che le sta dicendo, e non può fare altro se non sorridere a sua volta.

C'è una minima distanza tra la vita e la morte. Ma in questo momento è vicina alla vita più di quanto lo sia mai stata.

***
Vent'anni dopo...

Sarah si prepara per recarsi in Università come ogni mattina. Si veste, scende a far colazione e saluta dolcemente sua madre con un bacio sulla guancia.
E come ogni mattina percorre un tratto di strada insieme alla sua migliore amica dai tempi delle elementari.

«Buongiorno, hai visto che tempo oggi?» domanda l'amica stringendosi nel cappotto color sabbia.
«Già. Mi sa proprio che sta arrivando l'inverno» risponde Sarah, aprendo l'ombrello per ripararsi dalla pioggia imminente.
«Che lezione hai oggi?»
«Economia aziendale, che palle. Tu?»
«Sociologia, ma quasi quasi me ne torno a casa a dormire. Questo clima mi concilia il sonno»
«Mari in questo trimestre hai più assenze che presenze»
La ragazza sbuffa sonoramente, sa che l'amica ha ragione ma è sempre più convinta che la vita universitaria non faccia proprio per lei.
«Lo so. Io non volevo nemmeno frequentare questa maledetta Università, mia madre mi ha costretta. "O studi o vieni a lavorare con me in negozio"» esordisce lei con voce in falsetto, provocando il sorrisino divertito di Sarah.
«É così difficile da capire che non voglio fare un bel niente ed essere mantenuta da un riccone a vita?»
«Dovresti prima trovarlo»

Ha sempre apprezzato la spiccata ironia della sua amica e il modo in cui prende tutto con filosofia. Piacerebbe anche a lei, purtroppo il suo passato non le permette di essere così ottimista. Una madre fin troppo apprensiva e un padre totalmente inesistente, non hanno certo contribuito a instillare in lei l'immagine della tradizionale concezione di "famiglia". Avrebbe voluto almeno un fratello o una sorella per poter confidarsi, ma sua madre ha misteriosamente deciso di non legarsi più a nessuno.
Non le ha mai raccontato cosa fosse accaduto tra lei e suo padre, limitandosi a raccontarle la storiella del genitore menefreghista che ha abbandonato entrambe, senza mai spiegare il perché lo abbia fatto.

Davanti a lei, a pochi metri dalla sua Università, un uomo alto e muscoloso fa la sua comparsa con le mani infilate nelle tasche e lo sguardo beffardo.

Sarah è talmente spaventata dall'improvvisa e inaspettata presenza che è tentata di fuggire via a gambe levate. Arretra di un passo con il cuore che le batte furioso nel petto, ma viene presto raggiunta dall'uomo che, afferrandola per un braccio e, senza dire una parola, la trascina con sé.
La ragazza tenta di divincolarsi e cerca di urlare a squarciagola ormai sicura che quella persona voglia farle del male, o magari abusare di lei. Perché deve capitarle una cosa simile in pieno giorno e proprio adesso che non c'è nessuno nei paraggi?

L'omone repentinamente le tappa la bocca con un palmo premendo forte per soffocare l'urlo, appena in tempo prima che qualcuno possa sentirla.
Sarah continua a dimenarsi sotto le grinfie del molestatore e copiose lacrime cominciano a scenderle sulle guance.
Viene legata ai polsi con fascette da cablaggio in una mossa esperta che non le permette di evitarlo.
Trascinata presso una Renault Captur, il tizio la spinge dentro sui sedili posteriori, ma Sarah non vuole arrendersi così facilmente e gli sferra un calcio in pieno stomaco.
L'uomo si piega in avanti dal dolore e questa è l'occasione per la ragazza di liberarsi dalla sua prigionia.
Tuttavia lui è molto più forte e grosso di lei e non può niente di fronte a tanta violenza.
Prima che possa scappare o chiedere aiuto, la colpisce in pieno volto e la stordisce con un fazzoletto intriso di narcotizzante.

Si risveglia con un gran mal di testa, ancora legata e imbavagliata, seduta nell'angolo di una stanza completamente spoglia e asettica, a contatto con il pavimento freddo e i muri scrostati. Spalanca le palpebre per mettere meglio a fuoco l'ambiente, dal momento che è illuminato solo dalla fioca luce di una plafoniera sul soffitto.
La prima cosa che nota è l'assenza di vie di uscita. Una camera del tutto priva di finestre, rinfrescata esclusivamente da bocchettoni d'aria collegati a chissà quale condotto e una porta in ferro simile a quella di un carcere ma senza sbarre. Ora che ci riflette sembra quasi un seminterrato o una cantina buia.

Le viene da piangere e vomitare contemporaneamente. Cosa ne sarà di lei? Preferisce morire seduta stante piuttosto che essere torturata o violentata.
Si fa forza per alzarsi sulle gambe ma queste tremano e cedono per la paura, per le troppe emozioni sgradevoli che l'hanno investita come un treno ad alta velocità.
Non può urlare, non può fuggire, e le pare persino di non riuscire a respirare.

Cosa vorrà quel Bruto da lei? Quale sarà il suo obiettivo?
Non riesce più a ragionare lucidamente, sente che il panico si appropria del suo cuore mentre il tempo passa e il silenzio regna sovrano.

Ma ecco che lo scattare di una serratura la risveglia dal suo stato di trance apparente, facendola guizzare in piedi in un attimo.

«Ciao Sarah. Non mi riconosci?» esordisce con voce dura e mascolina.
La ragazza prova a mettere a fuoco la sua immagine nella penombra della stanza, ma tutto ciò che vede è una folta barba  e un sorriso beffardo sulle labbra.
Scuote la testa in segno di diniego, dal momento che il bavaglio che le sta letteralmente tagliando i lati della bocca non le permette di proferire parola.

«Sono io, papà» afferma con superbia. Come se avesse diritto ad arrogarsi quel titolo.
Si avvicina a lei e le scioglie il nodo del fazzoletto che scivola lungo il collo liberando le labbra dalla sua stretta.

«Cosa vuoi da me? Ti prego, lasciami andare» singhiozza Sarah sporca e infreddolita.
«Tranquilla. Se farai esattamente come ti dico sarai libera di tornare a casa»

L'uomo accende una videocamera intimando la ragazza di mandare un chiaro messaggio alla madre.
"Ciao mamma, sto bene. Non chiamare la polizia, sono con papà. Ci vediamo presto"

Sarah ripete le stesse parole ma con meno enfasi e con occhi lucidi di un pianto che esplode solo dopo che il rapitore spegne la videocamera.
«Brava. Ottimo lavoro» si congratula il padre, per poi lasciarla nuovamente sola in balìa della più completa disperazione.

I giorni passano e il misero cibo che lui le consegna ad ogni pasto rimane intatto sul vassoio. Sarah ha lo stomaco chiuso e solo la vista di quella poltiglia le provoca conati di vomito continui, in più è costretta a fare pipì sul pavimento, come fosse un animale abbandonato al proprio destino.
Quella mattina però è diversa, avverte più movimento e frastuono del solito al piano superiore.

In un colpo secco la porta si spalanca e l'uomo si dirige a passo svelto verso la figlia, agguantandole un braccio e tirandosela dietro come un sacco, uscendo da quella stanza lugubre, salendo le scale fino al salotto di una casa piuttosto ordinata e pulita per essere quella di un criminale.

Sarah spalanca gli occhi non appena vede apparire davanti a sé l'immagine ciondolante della madre che corre verso di lei
«Amore mio» esclama abbracciandola e sincerandosi che stia bene, nonostante l'aspetto stanco e deperito.
«Mamma!» esclama stringendola a sua volta tra le braccia e inalando il profumo della donna, che sa di casa, di amore.

Per anni ha recriminato l'atteggiamento troppo protettivo della donna, ma adesso vorrebbe rimanere con la testa appoggiata al suo caldo petto per tutta la vita.
Purtroppo a separarle dal contatto ci pensa lui, rivolgendosi direttamente alla madre di Sarah.

«Adesso mantieni la tua parola, o tua figlia farà una brutta fine»
«É anche tua figlia! Come puoi farle questo?» chiede affranta.
«Non le torcerò un capello. Ma devi rimanere con me, come pattuito»

Sarah assiste all'assurda diatriba tra i due, rendendosi conto solo ora che è la madre che lui voleva sin dall'inizio e lei è stata solo un mezzo, un fine per raggiungere il suo scopo.
«NO! Lasciala stare!» grida la ragazza scagliandosi contro al padre, che prontamente blocca i suoi esili polsi stringendoli più del dovuto.

«Calmati tigre, è una volontà di tua madre»
«Non puoi dire davvero...» sussurra Sarah voltandosi verso la madre che si avvicina per accarezzarle dolcemente il volto con i polpastrelli.
«Starò bene tesoro. Devi andare adesso»
«Non esiste, io non ti lascio con questo pazzo omicida»
«Ho detto di andare. Per favore»
Il tono perentorio della madre non ammette repliche.
Si sta sacrificando per lei e, se Sarah continuerà a opporsi, quel maledetto potrebbe fare del male a entrambe.

«Non ti abbandonerò mamma, ricordatelo. Tornerò a prenderti» le bisbiglia in un orecchio, mentre viene strattonata e sbattuta fuori dalla porta di casa.

La luce del sole la riscalda e gli occhi tornano ad ammirare i colori.
Finalmente è libera, eppure sente di essere più in prigione che mai.

«Te lo giuro mamma, in un modo o nell'altro, noi avremo il nostro lieto fine»

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