Capitolo 5 - Parte I - Di primi baci e di fiduciose mani
Passato
Satine si destò. Aveva la bocca asciutta, impastata, avvertiva una debolezza nelle membra e un prurito fastidioso - sul torace in particolar modo - unito a un freddo strano che le provocò un'ondata di brividi. Impiegò più di qualche secondo per mettere a fuoco e capire dove si trovasse.
La costruzione di pietra grigia aveva due aperture rettangolari per finestre - il cui lato lungo era parallelo al soffitto - posizionate in alto, una opposta all'altra. Un'intensa luce proveniva dall'esterno, segno del giorno già inoltrato. La ospitava un letto matrimoniale anch'esso realizzato in pietra calcarea. Uno stuoino di canapa intrecciata ne rendeva la durezza più confortevole, come il guanciale di fibra naturale. Le giunse alle narici un fresco odore di menta, effluvio di medicamento vegetale prodotto in casa. Girò il viso alla propria sinistra, realizzando di essere seminuda, eccezion fatta per un telino posato sul pube e bende inzuppate di forma quadrata poste su diverse parti del suo corpo.
I fanali azzurri che la scrutavano appartenevano a un amico maschio che non avrebbe dovuto condividere con lei alcun talamo.
«Satine, come ti senti? Ero angustiato per la tua sorte» un Kenobi accorato, a torace altrettanto scoperto, la interrogò.
«Nuda» rispose d'istinto, celando il disagio dietro un sorriso nervoso e un rossore diffuso a imporporarle le guance.
«Non mi sarei mai permesso di guardarti in modo sconveniente se non fosse stato necessario. Ho dovuto. Ne andava della tua vita e pure della mia» il maestro Qui-Gon gli aveva affidato la duchessa col compito di trarla in salvo e nasconderla, e Obi-Wan aveva dovuto affrontare un paio di imprevisti non calcolati.
«Ricordo del guasto al motore, siamo atterrati con difficoltà» la bionda aveva abbassato lo sguardo sul seno sinistro. Il capezzolo roseo, tumido per il freddo, era coperto da una delle bende nella parte esterna dell'areola fino all'incrocio dei seni. In rilievo, un bozzo corrispondeva al punto in cui avvertiva un prurito insopportabile. Si tenne con le mani allo stuoino, facendo una smorfia, nel tentativo di non sfregare la zona con le unghie.
«Atterrati è un eufemismo, almeno sono riuscito a non ucciderci mentre precipitavamo. Lo dico sempre. Se fossimo nati per volare, avremmo avuto le ali, no? Comunque... lo Shuttle 634 è fuori uso, in completa avaria, localizzatore di posizione compreso, e, come sai, non dovevamo fermarci esattamente qui» se l'erano vista davvero brutta, nel frangente; scendendo dal velivolo in piena zona disabitata per capire se e in quale direzione incamminarsi, erano stati attaccati da uno sciame di acari velenosi, piuttosto diffusi su Draboon.
Il pianeta, più ospitale dei fratelli, era situato nei Territori dell'Orlo Esterno, noti semplicemente come Orlo Esterno, fuori dall'Orlo Mediano. L'Orlo Esterno era l'ultima area della Galassia a essere ampiamente abitata, prima dello Spazio Selvaggio e delle Regioni Ignote, costellato di mondi oscuri e di aspri e primitivi luoghi di frontiera.
«Ho un flashback del dolore delle punture e di una forte nausea. Poi nella mia testa c'è il buio. Raccontami cos'altro è successo e dove siamo». Piuttosto perché non mi hai coperto!
«Certo. Ti sei difesa, portando le mani sul volto, intanto che cercavo di allontanare gli acari con la spada laser. Avevi l'abito del ballo, aperto sul collo, e gli insetti ti hanno punto sulla pelle libera dalla scollatura. Il loro pungiglione è lungo, trapassa pure la stoffa. Sei stata punta all'addome e sui fianchi. E hai iniziato a dare di stomaco, con un'importante reazione allergica. Ti ho portato in braccio fino al primo luogo abitato di Draboon più vicino allo Shuttle. È la casa di una certa Kateryna» Kenobi sospirò, con una pausa strategica in cui cercò un ardimento che gli era venuto a mancare; non sapeva come confessarglielo, lo fece e basta «Ho nascosto la spada e coperto la treccina, e le ho detto che eravamo sposati per poter rimanere al tuo capezzale».
Satine trasalì «Perché?».
«Era terribilmente diffidente, avevamo bisogno del suo aiuto e che mi permettesse di starti vicino. Non potevo lasciarti da sola con lei. Te l'ho detto, è strana» la donna che li aveva accolti era burbera e schiva, per nulla empatica. Li aveva ospitati senza troppa cortesia, esclusivamente per la preoccupazione destata dalle condizioni della ragazza. Nel momento in cui l'aveva scrutata in volto, si era ammorbidita, dimostrando un briciolo di umana pietà.
«Ci ha creduto?» la manina incerta raggiunse il petto del padawan che annuì.
«Sono stato molto convincente, nessuno può resistermi. Ti ha spogliato del vestito e mi ha fornito indicazioni sulla cura delle punture degli acari».
Fra la folta peluria castana chiara di Obi spiccavano un paio di bolle, più piccole delle sue. La cute era lucida di balsamo recentemente spalmato, anch'esso odoroso di menta; Satine si preoccupò immediatamente, perché nemmeno lui era immune da malattie e reazioni allergiche «Ti fanno male?».
«Non quanto le tue. La nostra ospite aveva un estratto di perilla, ne ha messo una dose abbondante sui pomfi, e sopra di essi ha posto bende di lino imbevute di acqua fresca. Sembra sia l'unico rimedio per le punture degli acari. Sto cambiando spesso le pezze, per darti sollievo, le bolle sono pruriginose». Una ciotola di lapislazzulo colma d'acqua era su tavolino basso in legno, accanto i pettinini e i gioielli della duchessa, allineati con ordine.
Kenobi usò le dita della mano sinistra per inanellare una ciocca di capelli biondi sciolti sul cuscino. Erano morbidi al tatto, setosi. Incrociò gli intristiti grani di cobaltite «Ce la caveremo, te lo prometto, non aver paura. Eri spavalda al ballo, mi hai persino detto che ti avrei ucciso prima io, pestandoti i piedi, che gli ordigni dei tuoi nemici. Sei stata quasi profetica, ma hai sbagliato, il finale è andato in modo diverso. Non ti ho pestato i piedi, sei viva e vegeta. Duchessa di Mandalore, sei la ragazza più forte e testarda che abbia mai incontrato. Sai che è vero. Ti fidi di me?».
Satine deglutì, comunque, un amaro boccone «Obi, ho fiducia in te, sì» chiuse le palpebre percependo le lacrime scendere sul proprio viso. La tensione della fuga e il malessere fisico avevano provato le sue difese, la barriera di indifferenza e rigidità che le imponeva il ruolo ricoperto si stava sgretolando «Non riesco a smettere di pensare alle persone decedute, ai feriti. A Zara, al maestro Qui-Gon. E... uno dei componenti della Ronda della Morte che ci ha attaccato era mia sorella, Bo-Katan».
Kenobi strizzò gli occhi, inquieto. In effetti lui stesso aveva osservato con attenzione le sagome dei corpi degli avversari vestiti delle medesime uniformi scure e certamente uno di loro - quello che aveva preso di mira proprio Zara - possedeva fianchi e cosce modellate tipiche di uno snello corpo femminile. L'armatura, inoltre, era leggermente differente dalle altre più ordinarie: la lega metallica era stata realizzata anche in beskar, metallo raro e costoso, fregi celesti abbellivano il casco e le spalle «Non puoi esserne sicura, l'elmo avrebbe potuto celare chiunque». Negò l'evidenza con una bugia bianca e a fin di bene, per provare a calmarla, non riuscendo. Aveva ipotizzato che i terroristi, giunti fino alla sala del ballo con troppa facilità, conoscessero piuttosto bene la planimetria del palazzo dei Kryze. Avevano beffato la guardia della duchessa con troppa facilità. Ebbe la conferma del perché e della correttezza delle sue supposizioni, Satine aveva visto giusto.
Con un singhiozzo, lo smentì categoricamente «No, Obi-Wan, non consolarmi. Era lei, ne sono certa, voleva far del male a Zara, duellava con Qui-Gon». E non sapevano quale fosse stata la loro sorte! Chi fosse vivo, ferito o morto!
Obi la sentì gemere e un singulto succedette l'altro; diventavano sempre più forti, più intensi. La ragazza si coprì il viso con le mani, per nascondersi. Si vergognava più di farsi vedere in lacrime che nuda!
Kenobi non sapeva assolutamente cosa fare, mai avrebbe ipotizzato di trovarsi in quella situazione. Si sarebbe messo a piangere come un bambino anche lui, la disperazione di Satine era la propria; si domandò se fosse un buon motivo per un conforto e non ne trovò uno migliore.
Le si avvicinò e la strinse a sé; non gli era venuto in mente altro e la sua amica gli si avvinghiò, continuando a piangere, disinteressandosi della nudità di entrambi.
«Ci sono sempre io per un abbraccio» le giurò, lasciando indietro le maniere di corte «fin quando potrò, ti abbraccerò e forse ti sentirai meno sola, e pure io» le mani carezzarono la schiena curvilinea sotto il manto dei capelli soffici e spettinati. Le donò piccoli e affettuosi bacini sulla nuca, in attesa che il momento malinconico passasse.
Non resistendo alla loro contingenza, indugiò con la punta delle dita fra le spalle e i lombi, fino ai glutei, con dolcezza, sperando di rincuorarla, piano piano e senza alcuna malizia. Il corpo di lei era appiccicato al suo, la pelle era morbida, umida e profumata di menta e... di lei stessa. Inspiegabilmente, si sentiva molto angustiato, l'eccitazione e il sesso erano l'ultima cosa a cui stava pensando. Quasi!
«Obi-Wan» Satine recitò una preghiera col suo nome, accoratamente, angosciosamente, con la voce assottigliatisi per il dolore e l'assenza di speranza.
Lui si staccò leggermente. La guardò, in viso. Era tumefatto e rosso, aveva il naso bagnato che colava. Gli si strinse il cuore ma rifletté che era, comunque, la donna più avvenente che avesse incontrato, soprattutto in quel momento di debolezza. La pulì, tamponandole il volto con le dita «Meglio?».
La duchessa assentì, fissando gli occhi azzurri del futuro cavaliere jedi gentile che aveva di fronte «Obi-Wan» sussurrò, di nuovo.
Va bene, rimuginò il padawan, che succederà per un solo e semplice bacio? Sono preparato, deciso, volitivo, ho imparato cosa sia la pazienza; posseggo una forza interiore che non mi farà vacillare. Potrò fermarmi in qualsiasi momento. Si decise. Conquistò fra le mani l'ovale perfetto e lo inclinò di lato, con delicatezza, fino a che il suo divenne speculare nel verso opposto. In quella armoniosa posizione, appoggiò dolcemente la bocca sulla sua, senza smettere mai di guardarla nei cristalli di cianite di un pianeta sconosciuto, su cui metteva piede da neofita.
Le labbra carnicine di Satine ricordavano la gustosità di un frutto esotico maturo e polposo misto alla sapidità delle lacrime, avevano la consistenza di un velluto liscio e prezioso, rappresentavano il buono che mancava da sempre nella sua vita. I boccioli dei seni, ricoperti parzialmente dalle bende, vagheggiavano pensieri di peccati carnali da commettere e da assolvere.
Timoroso e ingenuamente incerto del fugace contatto iniziale, ne cercò un secondo più intimo. Introdusse la punta della lingua fra le sue labbra schiuse, intrise di miele, solamente un pochino, in attesa della reazione della giovane, le palpebre alla fine abbassate, lasciandosi andare, allontanando i pensieri oscuri e le innate resistenze. L'incastro unico fra le loro labbra era il perfetto movimento di una chiave antica che apriva un lucchetto inespugnabile, la breccia su un muro di volontà costruito a fatica negli anni, mattone dopo mattone.
«Felicità: ognuno ha la sua e ora io sono la tua, jedi» mormorò Satine, presa dal loro soave scambio «magari un po' di bello è rimasto pure in questa vita, per noi due» sostené, arguta, sbuffando la propria fantasia al cielo.
Le labbra di Obi erano caramellate di lui, d'essenza zuccherina e di mascolinità, un connubio che adorava, particolare come il proprietario. Il bacio casto, divenuto via via meno innocente, l'aveva fatta rabbrividire di piacere; istintivamente, lasciato indietro il fastidio delle punture di insetto, si era stretta ancora di più con il corpo contro il suo, assaggiando il virile vigore attraverso il panno di lino fra i loro fianchi. Quell'unico bacio, il primo della sua esistenza, nondimeno, era stato ben più di un semplice e innocuo approccio. Appena aveva riconosciuto nel proprio arco gioioso la rosea falda altrui, aveva serrato gli occhi, proseguendo nell'unione delle arrendevoli carni, commistione sempre più intensa di una danza incalzante in cui la lentezza iniziale era sfociata in un picco di passione. Investita da una burrasca di emozioni di straordinarie sfaccettature, realizzò che il bacio appena scambiato non le sarebbe bastato. Consapevole di quanto sarebbe stato bello e coinvolgente, non lo aveva chiesto. Tuttavia, il fato aveva deciso in senso contrario e lo aveva ricevuto ugualmente.
Accarezzò il petto muscolo e le braccia tese del compagno dai polsi alle scapole, osservandolo. La fossetta sul mento lo caratterizzava, lo rendeva ancora più speciale, aggiungeva energia e mistero al ragazzo forte, tenace, ambizioso e coraggioso che lei ammirava. Passò il dito indice sulle bramate labbra e, subito dopo, sulle proprie, calde di desio. Le loro bocche assieme erano studiate apposta per volersi, nell'osculo che aveva cambiato tutto: tutto ciò che erano stati fino a quel momento, tutto ciò che sarebbero stati da quello successivo in avanti.
«Satine» il contatto bollente di fiduciose mani e di imprudenti lingue aveva fatto delirare Kenobi; pativa un rimescolamento nelle viscere, non riusciva a scuotersi dal formicolio delle membra, incentrato unicamente sul proprio piacere, sulla seduzione del loro bacio non affrettato.
Non sarebbero bastati secoli di meditazioni e usi incondizionati di forza mistica interiore per indirizzare la sua volontà in modo differente, la sua proverbiale saggezza era assai distante. Si era sopravvalutato: l'assenza di esperienza nel campo inesplorato dell'amore lo aveva fatto ragionare nel modo sbagliato. Ed era stato l'errore più bello in cui era mai incappato. Non c'era nulla di negativo nell'unione fisica di due anime che si volevano bene. Che si appartenevano, a tutto voler concedere.
Con gentilezza spinse la duchessa sullo stuoino, portandosi sopra di lei. Pacatamente, evitando di premere troppo per lasciarle i suoi spazi e non forzarla, per non schiacciare le parti doloranti coperte dalle bende. I pochi secondi in cui le loro labbra si erano separate lo avevano dilaniato nel cuore, spezzato in due. «Mi sei già mancata» ammise con una romanticheria che non gli era mai appartenuta, baloccandosi di nuovo con una bionda ciocca di seta dorata, inanellata fra l'indice e il pollice.
«Anche tu» contraccambiò la duchessa, avvampando di una gaiezza trepidante, una lacrima, stavolta di gioia, a bagnarle gli occhi emozionati. La mano destra sfiorò la guancia sbarbata del padawan, l'altra strinse la treccina, nell'istante in cui si perse completamente in lui. I loro corpi si sfioravano di continuo, frementi al punto di smarrire un controllo che avrebbero dovuto mantenere ad ogni costo; la brama adolescenziale, il primo amore, il primo batticuore avevano vinto sul raziocinio. Affinità fisica, chimica, connessione emotiva. Non mancava nulla. Indugiarono così, per minuti indecifrabili, labbra posate su labbra, petto accanto a petto, con i loro ritmi cardiaci ansanti che via via tornarono regolari.
«Ho affrontato tutta la mia vita solo per incontrarti, Obi; non importa come, fammi restare ancora fra le tue braccia, adesso» Satine lo reclamò, supplica accorata al futuro jedi.
Resteremo così, per tutto il tempo. Obi-Wan Kenobi, smarrita ogni goccia di lucidità, stava per dichiararlo alla sua duchessa. Non poté, glielo impedì una vigorosa bussata alla porta.
Nota dell'autrice
Ho ritenuto di dividere il capitolo 5 in due parti, passato e presente, poiché insieme mi sono sembrati eccessivamente lunghi.
Spero sia stata una buona lettura.
Draboon: è il pianeta dell'Orlo Esterno dove sono atterrati Satine e Obi-Wan. Esistono pochissime notizie su di esso; quelle che troverete nascono dalla mia fantasia, e da un confronto fra i nostri due protagonisti che, in "The Clone Wars", ricordano l'episodio degli acari velenosi.
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