Capitolo 3 Di prelibate dolcezze e di un "amore mio"


Passato

«Non credevo fossi davvero così» il padawan lo tirò fuori dai denti, fra un boccone e l'altro. Masticava imperterrito la carne succulenta dalla propria scodella, la fine della terza porzione del piatto principale della cena, un tiingilar meno speziato e piccante della norma, ugualmente delizioso. La luce del caldo tramonto di Mandalore filtrava dalle ampie vetrate delle finestre della sala di rappresentanza che lo ospitava, drappi di tende dall'avvolgente nuance amaranto posizionate ai lati di esse ravvivavano il chiaro delle pareti dell'appartamento privato della duchessa. Un seggio cerimoniale collocato su un piedistallo di marmo bianco levigato di forma circolare alle spalle del tavolo era contornato da cuscini di seta e velluto di pregiata qualità, su cui spiccava un'immagine gialla stilizzata, simbolo del clan Kryze (*). Nella mente di Obi-Wan rappresentava una farfalla. Nessuno lo avrebbe mai convinto del contrario. 

«Così come?» domandò Satine, certa di dove Obi volesse andare a parare. Dopo i pochi screzi iniziali e un periodo di studio vicendevole, era seguito il patto d'amicizia scambiatosi all'oasi e si erano ritrovati, inseparabili, a trascorrere insieme la maggior parte della giornata.

L'apprendista accompagnava la duchessa negli impegni istituzionali, negli incontri politici, spesso con il maestro Qui-Gon, a volte da solo, ed era divenuto una perfetta guardia del corpo della giovane nobile. Passavano in reciproca compagnia anche il tempo libero, passeggiando, leggendo, recandosi allo specchio d'acqua per qualche bagno nelle giornate più calde, e, soprattutto, chiacchierando.

«Sognatrice, pura. Le tue intenzioni sono sempre moralmente compiute» ogni azione della ragazza era comandata dal desiderio pacificatore di un mondo cresciuto e alimentato da conflitti sanguinari.

«La guerra è intollerabile. Siamo stati portati a credere di doverne essere parte a tutti i costi. Io dico, al contrario, che, nel momento in cui decidiamo di combattere, abbiamo già perso» Satine ribadì la propria filosofia esistenziale, in apparenza opposta al credo altrui «Tu vivi brandendo una spada, amico mio; il pacifismo è lontano dall'ideologia di un jedi, è la tua natura e non puoi cambiarla, fa parte di te» trastullandosi con una ciocca di capelli che spostò dietro l'orecchio sinistro, guidò alla bocca un pezzettino di carne stufata con la forchetta d'argento, usando la mano destra. La capigliatura era acconciata con un solo pettinino. Aveva perduto il gemello; l'ultimo ricordo tangibile dell'oggetto risaliva alla passeggiata all'oasi con Obi.

Zara, seduta silenziosamente dal lato della duchessa - a cui era stata affiancata dalla duchessa madre, poco prima che la donna, malata, venisse a mancare - osservò con interesse lo scambio di battute fra gli altri due commensali.

«Non sono bravo come te nell'arte della diplomazia per raggiungere i miei scopi né a utilizzare posate cesellate» Kenobi divise con le mani una sottile fetta di pane haarshun, e ne intinse una metà nel sughetto con un'espressione golosa.

Mai i suoi occhi, cerulei come il cielo di Mandalore, avevano lasciato quelli altrettanto splendenti della nuova amica. Le emozioni che percepiva in sé erano giunte a un livello tale da avere difficoltà a comprenderle appieno «Conosco bene l'arte della spada, ma usarla è l'ultima via o almeno dovrebbe esserlo» ammise, sollecitando al servitore posizionato alle proprie terga  di versargli un altro bicchiere di champagne garwilliano. A cena poteva concedersi un ulteriore peccato. Il vino frizzante, seppur diffuso in tutta la galassia, era riservato ai cittadini abbienti a causa dell'elevato prezzo e lì a corte risultava piuttosto apprezzato.

«Già» pensierosa, la bionda giocherellò col cibo non terminato nel piatto. L'abito di un intenso blu reale e verde foresta accresceva il pallore del bel volto.

«Potete lasciarci?» all'invito inaspettato del padawan, i camerieri della sala si allontanarono, di gran lena. Aveva letto una palpabile angoscia sul volto teso della sua amica ed era ansioso di conoscerne il motivo.

«Ho diverse impegni anch'io, spero non vi spiaccia se vi abbandono» la giovane mulatta si accomiatò, sentendosi anch'ella di troppo alla presenza della coppia. Al loro cospetto, avvertiva una strana elettricità nell'aria, il genere di tensione inesprimibile a parole, un'alchimia misteriosa e al tempo stesso di elementare comprensione. Almeno per lei, che, nata in una famiglia di bassa estrazione sociale, aveva da tempo colto che la spiegazione più semplice tendesse a essere quella giusta. Per nulla offesa che le attenzioni di Satine si fossero incentrate su Obi-Wan, e che la stesse trascurando un pochino, si allontanò con discrezione.

«Spiegami questa mossa che ha fatto scappare anche Zara. Volevi stare da solo con me e tormentarmi ancora? Rubarmi un altro pettinino per capelli e nasconderlo per farmi impazzire?».

«Sono maestro di dispetti, sì, ma non ladro, non offendermi, duchessa. Cosa ti preoccupa? A me puoi dirlo, lo sai, puoi dirmi tutto» Kenobi si alzò da tavola per inginocchiarsi ai suoi piedi e prenderle la mano, schivando la domanda sul pettinino d'oro. La promessa di vicinanza e solidarietà era importante, più che concreta: volle rafforzarla con un gesto significativo per una giovane donna che portava sulle proprie spalle un peso troppo grande per i suoi sedici anni. Nata nel Clan Kryze, aveva lasciato il suo pianeta natale del Kalevala per sottoporsi a un addestramento diplomatico e di arte di governo su Coruscant. Tuttavia, dopo che suo padre, il duca Adonai, era stato vittima della guerra civile mandaloriana ancora in corso, lei si era prefissata un unico scopo da perseguire: salvare i Mandaloriani dalla rovina.

«Sciocco... sono nervosa, ho sentito alcuni dei servitori che commentavano, spaventati, gli ultimi attentati compiuti dagli elementi della Ronda della Morte; temono che possano avvicinarsi maggiormente al palazzo e anch'io» gli strinse la mano destra, con un sospiro «Mia sorella è con loro, sono in apprensione per la sua incolumità, nonostante le nostre divergenze».

Bo-Katan Kryze era membro fedele del gruppo integralista mandaloriano della Ronda della Morte, e in perenne opposizione agli ideali pacifisti di Satine; mai sorelle sarebbero potuto essere tanto diverse, caratterialmente e fisicamente. Questo sapeva il padawan dai racconti della duchessa, spesso incentrati sull'unica parente stretta ancora in vita e lontana da lei non soltanto in distanze stellari: Bo-Katan era una terrorista della peggior specie. «Non è detto che accada ciò che prevedi, rassicurati: abbiamo aumentato i turni di sorveglianza, il numero delle guardie. Mangia, in caso contrario diventerai brutta e senza forze» brutta gli parve impossibile: soprassedette dal dirlo, osservandola, compiaciuto, sforzarsi di assaporare lo stufato, uno dei manicaretti dell'eccellente cucina che lo ospitava.

«Ci proverò. Grazie, Obi-Wan, alzati adesso, e fai portare il dolce, ti vedo impaziente e lo sarai di più fra poco. Ho chiesto che preparassero la uj'alayi» l'allievo era sempre famelico, di un appetito importante a dispetto della forma fisica curata. Probabilmente gli allenamenti con la spada, ammirati quotidianamente dalla finestra della propria stanza da letto, e in cui si esibiva con il maestro Qui-Gon, gli mettevano addosso una fame poco morigerata. Gli carezzò la cresta dei capelli castani, trattenendo la treccina fra le dita «Sei insaziabile; al temine della permanenza qui ti presenterò un conto che non potrai pagare.»

«Spiritosa! Non è colpa mia se le tue cuoche mi viziano. Come farò quando andrò via da Mandalore?» biascicò, fintamente offeso, rimettendosi seduto «ti aspetto, finisci con comodo». Avrebbe temporeggiato nell'attesa che terminasse, per convincerla a mangiare anche il dessert. La mano destra corse alla propria vita, dal lato sinistro. Afferrò nel pugno il manico della spada, senza farsene accorgere. Non perché dubitasse di riuscire a combattere prontamente un nemico presentatosi all'improvviso. L'oggetto rappresentava da sempre la sua ancora di salvezza, idolo di forza interiore, di disciplina, di equilibrio.

Tuttavia il contatto con il cilindro metallico dell'impugnatura non gli bastò. Le parole di Satine lo avevano turbato, gli avevano lasciato nel petto un senso di insolito timore che non avrebbe potuto scacciare nemmeno la prelibata dolcezza di una fetta di torta di frutta secca e noci. Di cui mangiò ugualmente due porzioni. Mentre la sua mano afferrava il nuovo talismano all'interno della tasca dei pantaloni di lino color castagna, custodi del più prezioso dei tesori.

Presente

Non avrei dovuto ascoltarti, Obi! Quando le aveva chiesto di tenere occupato Pre Vizsla, governatore di Concordia, durante la cena, Satine avrebbe dovuto rifiutarsi. Seduta alla sua tavola nella sala da pranzo decorata sulle pareti da pannelli della storia di Mandalore, gli occhi infidi dell'uomo puntati sulla scollatura a cuore gialloverde brillante - creata da due pezzi di petali uniti da una cucitura al centro, non troppo coperta dalla lunga giacca di broccato a trama fine rosa che indossava - capì di aver avuto ragione. Incrociò nervosamente le lunghe gambe sotto il tavolo, passando le mani guantate sulle cosce modellate dai pantaloni elasticizzati di tessuto stretch di un caratteristico violetto melanzana polverosa. Cercò di fermare l'ondeggiare delle punte dei piedi negli stivali grigi, segno inequivocabile del proprio nervosismo.

Darei un'occhiata in giro piuttosto che brindare in compagnia, aveva detto Kenobi al loro arrivo sulla Luna di Mandalore, racconta al governatore che sto meditando. Si trattava di curiosare, piuttosto, per capire se le miniere di Concordia - ex insediamento agricolo divenuto zona mineraria - fossero state abbandonate sul serio dai pochi sfruttatori.

Fingendo di bere il pulkay speziato versatole da Pre Vizsla in un calice di liscio cristallo, Satine gli sorrise, sfiorando l'orecchio destro, dal padiglione al monile appeso al suo lobo. La goccia di giada contornata da cinque elementi lanceolati di rubini copriva a sufficienza l'auricolare con cui avrebbe potuto mettersi in contatto col jedi, se avesse avuto dei problemi. Le chiacchiere sui separatisti e sull'attentato ai suoi danni riempivano i vuoti di una conversazione dai toni indistintamente ostili. Rimase in attesa di una parola di Obi-Wan, che, però, non arrivava. Più il tempo passava, più era preoccupata per la sua sorte. L'atteggiamento in apparenza pacato del governatore, uomo elegante e curato, comunque cortese, la stava ulteriormente innervosendo.

A ben donde.

Kenobi aveva visto giusto: le miniere di metallo prezioso erano perfettamente in funzione. All'atterraggio con uno speeder preso in prestito, mentre girovagava per la struttura, era stato attaccato da due mandaloriani dal viso coperto dal lungo elmo. Di certo componenti della Ronda della Morte come evidenziato dal simbolo di quest'ultima sull'armatura, all'altezza delle spalle, e abilissimi, lo avevano preso alla sprovvista e disarmato, ammettendo apertamente di non riconoscere l'autorità della duchessa Satine. A nulla era valsa l'affermazione del jedi di essere su Concordia per una missione diplomatica.

Posizionato a testa in giù in una capsula gravitazionale gialla, in prossimità di una piastra per piallare metalli che scorreva troppo velocemente per i suoi gusti, era almeno riuscito a premere il bottone sopra il comlink estraibile portato al polso, per mettersi in comunicazione con la duchessa «Satine, sono stato catturato della Ronda della Morte: devi aiutarmi, hai il tracciamento della mia posizione nel tuo comlink. Muoviti».

Lei simulò un malore che apparve reale. Il volto bianco cadaverico colpì il suo ospite «Duchessa, non vi sentite bene?».

«In effetti no, credo sia meglio prenda un po' d'aria; andrò da sola, non vi scomodate, torno subito» una mano a reggere la fronte sudata, si allontanò lentamente fino alla porta; poi corse fino allo spazioporto a cielo aperto dove saltò su uno speeder analogo a quello utilizzato da Obi-Wan. Impostata la moto volante alla massima velocità, seguì gli impulsi lampeggianti del proprio comlink fino alla miniera incriminata, poco distante. I palmi delle mani umidi nei guanti aderenti realizzati in pelle scamosciata grigia avevano stretto concitatamente le manopole della moto, le maniche a sbuffo sulla parte superiore del braccio, arricciate a metà del gomito, si erano sollevate a causa dell'aria attraverso cui era passata.

«Dove sei esattamente, Obi?» all'imboccatura dell'antro, complice l'oscurità della notte concordiana, restò disorientata. Fra carrelli in disuso su rotaie arrugginite e l'assenza di chicchessia, la miniera sembrava davvero abbandonata da tempo. Eccezion fatta per un trambusto lontano e confuso, lei avrebbe giurato non vi fosse anima viva.

«Segui il rumore assordante, è la macchina che sta per ridurmi in briciole» la pressa azionata da uno dei due componenti della Ronda era in movimento. Kenobi, imprigionato nell'involucro giallo, osservava gli altri detriti che venivano disintegrati, piallati e triturati prima di lui, finendo in una profondità dove ulteriori ingranaggi li frantumavano in pezzi più piccoli.

La donna, azionato furbescamente l'allarme generale su un quadro con pochi pulsanti, ascoltò con attenzione lo strepitio del metallo e si mosse verso quella direzione, come suggeritole. Intraprese il percorso accidentato all'interno dell'unica galleria più in fretta possibile. Si abbassò sotto i vagoni di un convoglio fermo, nascondendosi dai due soldati che percorrevano il tratto nel verso opposto, riuscendo a non incrociarli e a immettersi nella zona della piastra.

«Ce ne hai impiegato di tempo! Peggio di una lumaca, povero me!» Obi la schernì; un sorriso di sollievo gli era comparso sul volto, sotto la barba. Quanto era bella, la sua Satine! Essere stato separato da lei rappresentava una ferita fresca e mai rimarginata, inguaribile. 

«Generale Kenobi, non esagerare, non ti ho ancora salvato e potrei desistere, viste le tue sciocche spiritosaggini» Satine si arrampicò sulla scaletta verso il piano superiore, dove una piattaforma con tre computer assomigliava al centro dei comandi del macchinario. Con il cuore in gola, dubbiosa su quale dei bottoni dovesse premere per fermare la progressione della macchina, dovette decidere: li spinse a caso, sperando di azzeccare la scelta giusta, che uno dei pulsanti arrestasse il dispositivo. Il lampeggiare dei colori fluorescenti sui tasti, tuttavia, non si era interrotto «Mi dispiace, Obi-Wan, non ci riesco». Colta da un fremito di disperazione, lo osservò, dall'alto, attraversare la pialla, i cui bracci laterali connessi a due rettangoli di metallo - alti almeno una persona e larghi altrettanto - si chiudevano con violenza ritmata sul rivestimento magnetico del corpo del jedi. Fu la stessa capsula a proteggerlo, riparandolo fino al momento successivo all'urto, in cui, apertasi, lo fece precipitare verso gli enormi denti dell'ingranaggio frantumatore.

«Obi!» scesa dalla scala, evitando i due soldati tornati indietro, la duchessa dette un energico calcio a un bidone di metallo bianco, mentre la pigliavano per le braccia; il barile volò a posarsi sulla parte superiore della ruota dentellata, permettendo al cavaliere di salvaguardare le carni dei piedi e puntellarsi con le gambe sulla sua superficie.

Un colpo di reni e Kenobi saltò fuori dal cilindro della pressa, preoccupato per la sua amica piuttosto che per sé «Lasciatela stare». Le mani di uno degli avversari, strette sul corpo di Satine, gli istigarono una reazione dura e istintiva, più coriacea del necessario.

Le armature indossate dai soldati erano le classiche mandaloriane sviluppate ai tempi della grande guerra contro i jedi: il casco allungato, le intramontabili protezioni per braccia, gambe e torso, gli stivali magnetizzati e sulle spalle il jetpack dotato anche di lanciamissile a corta gittata. Si trattava certamente di elementi della Ronda della Morte, del medesimo gruppo che aveva attentato alla vita della duchessa poche ore prima.

Pur non avendo la spada a disposizione, il cavaliere si gettò fisicamente contro il nemico, senza un minimo di timore. Un doloroso colpo al petto all'uno e uno spintone ben assestato all'altro, riuscì a liberare Satine, che galoppò nell'ascensore dalle porte già aperte, incitandolo a pieni polmoni «Vieni, Obi-Wan». La mano pronta sulla pulsantiera, premette il tasto del piano superiore.

Col respiro mozzato, la schiena appoggiata sulla parete dell'ascensore, lo fissò dandogli una battuta caustica «Per un uomo devoto alla pace sembri trarre un grande piacere nel pestare il prossimo». Avrebbe voluto dirgli ben altro, l'orgoglio glielo impedì. Trasformò la burrasca dell'anima in pungente ironia, sicura di ingenerare l'ennesimo battibecco.

Il jedi ridacchiò, ovviamente contraccambiandola con la stessa moneta «Per una consacrata alla non violenza, non sembri turbata dal fatto che potevo restare ucciso». Non era affatto vero; le gote arrossate dall'agitazione, la bocca schiusa col labbro superiore tremante, le dita della mano destra a raccogliere le ciocche bionde sfuggite alla capigliatura, segnalavano il suo grande scompiglio interiore: che fosse tanto agitata per la propria sorte insuperbì e commosse al tempo stesso il cavaliere.

«Perché sei uno sciocco, ecco cosa sei, jedi».

«Adoro quando mi chiami jedi» e i nostri scontri, amore mio, sapessi quanto mi sono mancati. Assaporando l'amata armonia delle due sillabe uscite dalla sua bocca, calmò il tamburo martellante all'interno del torace, e si preparò alla battaglia del livello superiore.

«Non dovrei farlo, però, Obi: non hai più la tua spada» sospirò «Dobbiamo recuperarla! Se ti vedesse Qui-Gon, ti rimprovererebbe aspramente. Ho saputo della sua dipartita, mi ha spezzato il cuore; ho pregato a lungo per la sua anima. Ti manca molto?».

Il concetto di mancanza imperversava, Kenobi lo rincorse «Profondamente, come ogni persona che è stata importante, fondamentale nella mia vita». Rispose, scrutando le iridi di lapislazzulo, in cerca di qualcosa che non seppe definire, nell'assenza infinita, il buco nero nel suo petto, che riguardava lei, soltanto lei.

«Manca pure un grazie, dalla tua voce, cavaliere superbo» all'apertura delle porte dell'ascensore, il confronto dovette attendere.

«Maledizione, speravo di trovare i nostri speeder». A differenza del previsto, si erano ritrovati in un posto differente dall'entrata della miniera. Un manipolo di soldati, su un declivio roccioso distante una cinquantina di metri, riconosciutili, aveva iniziato a sparare colpi contro di loro; uno, vicino alla porta scorrevole dell'ascensore, era stato subito contrastato dal generale con un pugno diretto in pieno viso.

«Vieni e resta qui» presa Satine per mano, Obi la nascose dietro un grosso masso, prima di dedicarsi al combattimento. Afferrò con l'abilità della mente il fucile laser dell'avversario, caduto a terra privo di sensi a seguito delle percosse. Disintegrato in una nuvola di fumo scuro uno dei tre manigoldi che gli volava addosso, e il secondo - cui aveva lanciato lo zaino recuperato dal collega, divenuto ordigno incendiario - fu preso alla sprovvista da un altro che gli si fece incontro direttamente.

Con un sasso lanciato con forza sull'elmo dalla forma allungata, la duchessa - uscita dal suo nascondiglio per dare manforte al jedi, a discapito dell'ammonimento ricevuto a rimanere nascosta - riuscì a distrarlo. Kenobi lo atterrò con un colpo di gambe, nello stesso istante in cui quello sparava all'impazzata su Satine «Fai attenzione, scappa!». Andò da lei, riparatasi miracolosamente in una rientranza nella roccia accanto all'ascensore, con uno scatto fulmineo. «Satine, amore mio» inconscio e affettuoso, gli scappò dalle labbra, tanto era spaventato per la sua sorte. L'amore scorreva nelle sue vene e nella sua anima più potente di qualsiasi Forza. 

La duchessa seduta sul lastricato sconnesso, con gli occhi sgranati per lo stupore di ciò che le orecchie avevano appena udito, gli confermò di non essere stata ferita «Sto bene, Obi-Wan, non preoccuparti. Guarda...». La confessione inaspettata passò, subito, in secondo piano: dovevano fronteggiare un pericolo altrettanto imminente e serio.

Tre grandi aerei si erano alzati in volo, defilati con i propri equipaggi, la miniera era stata evacuata in pochi minuti. Restavano solo tre uomini in uniforme, guidati da un leader che li precedeva, unico fra loro a indossare un mantello grigio ghiaccio con stampato al centro in turchese l'emblema della Ronda della Morte, il Falco Urlatore. Si stavano avvicinando, minacciosi, con la chiara e unica intenzione di terminarli.

Il capo non esitò a sollevare dalla testa l'elmo con la tipica visiera a forma di T stemmato anch'esso, rivelando audacemente la propria identità. Essere un vero mandaloriano significava sempre rispettare il Credo, e la più importante delle regole, a dimostrazione dell'attaccamento verso la tradizione, consisteva proprio nel divieto di togliersi l'elmo dinanzi a un altro essere vivente. Ma i seguaci della Via erano divenuti una setta e in pochi erano fedeli alle antiche tradizioni. 

«È il governatore!» bisbigliò la duchessa: era lo stesso uomo che, con falso garbo, l'aveva accolta e le aveva offerto un bicchiere di pulkay speziato per intrattenerla. Alla cintura, lei notò la spada laser rubata a Kenobi!

«Quella donna sta macchiando l'onore di tutti i mandaloriani, compresi i miei antenati che per anni hanno valorosamente combattuto contro i jedi. Difendila, se vuoi» senza degnare la nobile nemmeno di un'occhiata, il governatore si rivolse a Obi-Wan e gli tirò la spada, che lui afferrò prontamente nel palmo della mano.

La propria, estratta, si rivelò di un particolarissimo colore nero cangiante.

«La Darksaber» Satine trasecolò: era una leggenda ed era stato un lontano parente del governatore a forgiarla, molti anni prima.

Le armi di entrambi i combattenti rilucevano nell'oscurità della notte di Concordia in funesti incroci. La luna inospitale assisteva a un duello in cui, con evidenza, le abilità del jedi apparivano nettamente superiori, nonostante la contrapposizione alla spada nera.

Disarmato dall'ennesimo colpo, Pre Vizsla indietreggiò, tornando nelle retrovie e lasciando codardamente il campo ai suoi tre attendenti. «Finitelo» ordinò loro, recuperando da terra la Darksaber e invitandoli a usare le armi micidiali contenute negli zaini da combattimento tenuti sulle loro spalle. Un missile ciascuno, sparato dai jetpack in una traiettoria indirizzata al generale, fluttuarono nell'aria.

Meteore di luce telecomandate seguirono il corpo e i movimenti di Kenobi, riconoscendone il calore, e puntandolo inesorabilmente.

«Satine, Satine» il jedi la chiamò a gran voce, e lei, intuito cosa volesse fare, lo raggiunse correndo. Obi-Wan l'abbracciò, sollevandola sui bicipiti e saltando assieme nella vuota tromba dell'ascensore, già richiamato ai piani inferiori.

I missili terminarono il proprio tragitto schiantandosi contro la parete interna della cabina metallica, intanto che la coppia precipitava per diversi metri.

«Ti tengo io, Satine» la tenne stretta fino a toccare il suolo, attutendo la caduta col proprio corpo e poi rivoltandola sotto di sé, premurosamente, affinché i frammenti precipitatile addosso non la ferissero. Non sentiva, Obi-Wan, nemmeno il dolore dell'urto, del contraccolpo sulla muscolatura, distingueva solo lei. Si rialzò, cercando di aiutarla a mettersi in piedi quando era lui stesso ad aver bisogno di un supporto per camminare, a causa di una fitta al fianco e di un brutto indolenzimento dovuto alla durezza del terreno.

«Obi... no, non sforzarti, aggrappati a me» la duchessa gli cinse la vita con un braccio, carinamente, agevolandolo nei pochi passi fino alle due moto speeder affiancate, consapevole del suo affaticamento e che fossero sopravvissuti per un soffio. Si concentrò, trovando l'energia di continuare la loro disputa perenne «Siamo pari, jedi, io ti ho salvato e tu lo hai fatto con me».

«Il mio salvataggio è stato più impegnativo del tuo» Kenobi giocò e la prese in giro, aspettando la risposta, il rimbrotto. Che stavolta, stupendolo, non arrivò.

Satine, infatti, si era distratta; sotto la luce delle stelle della luna di Mandalore, un pensiero le era sovvenuto nella testa confusa. Due scarne parole - a cui prima, coinvolta nella battaglia per le loro vite, aveva dato scarso peso - le rimbombavano nelle orecchie: amore mio.

(*) Segnalo di aver cercato lungamente di capire se il clan Kryze avesse un fregio o un emblema della casata nobiliare di appartenenza, senza trovarlo. La farfalla stilizzata e vettoriale è, pertanto, una mia invenzione di fantasia che richiama i pettinini dei capelli di Satine, e la cui sagoma è di colore giallo.

Glossario

Tiingilar: stufato mandaloriano a base di carne e verdure, caratterizzato da una spiccata piccantezza.

Haarshun: il pane mandaloriano, preparato stendendo l'impasto fino a essere praticamente trasparente se messo controluce, poi arrotolato e cotto. Per essere consumato viene normalmente prima bagnato, poiché è duro e durevole nel tempo.

Uj'alayi: la torta uj è un dessert mandaloriano basso, quasi piatto, denso, appiccicoso e molto dolce, preparato con frutta secca e noci tritati amalgamati e affogati in uno sciroppo zuccherino e speziato detto uj'ayl.

Bo-Katan Kryze: sorella della Duchessa Satine Kryze e membro della Ronda della Morte, un gruppo di mandaloriani che osteggiava le vie pacifiste della sovrana di Mandalore. Ferma sostenitrice dei valori della tradizionale, anche violenta, mandaloriana, Bo-Katan voleva riportare Mandalore alla sua gloria originale. Nella serie The Mandalorian è stata interpretata dall'attrice Katee Sackhoff; tuttavia nel mio cast ha come prestavolto Alicia Vikander.

Pre Vizsla: Mandaloriano del Clan Vizsla che guidò la Ronda della Morte mandaloriana durante le Guerre dei Cloni. Cercando di rovesciare il governo pacifista dei Nuovi Mandaloriani creato dalla Duchessa Satine Kryze, nell'ordine di riportare i Mandaloriani al loro passato di guerrieri, Vizsla si alleò segretamente col Conte Dooku e la Confederazione dei Sistemi Indipendenti. Per un breve periodo fu detentore della spada Darksaber.

Comlink: è un piccolo dispositivo di ricetrasmissione portatile. Consiste fondamentalmente in un trasmettitore, una ricevente e una fonte energetica; ne esistono differenti modelli, che variano da piatti modelli palmari a minuti cilindretti, fino alle sottili unità da polso e ai comlink integrati negli elmetti delle armature.

Speeder bike: con le swoop bike sono mezzi di trasporto piccoli e veloci.

Darksaber: nella mitologia, la spada venne creata dal primo mandaloriano che è diventato un jedi e, da quel momento in avanti, è stata oggetto di culto. Per il suo valore simbolico, detenere la spada è considerato un privilegio più unico che raro. Il creatore della spada è Tarre Vizsla, personaggio anch'esso mitologico, al quale su Mandalore è dedicata una statua. Fu l'unico mandaloriano a essere accettato nell'ordine dei Jedi, e scelse di costruirsi una spada dal colore decisamente particolare, ovvero il nero. Anche la forma della Darksaber è leggermente diversa, assomiglia di più a una katana. Dopo la sua morte, la spada fu conservata per svariati anni all'interno del tempio Jedi su Coruscant.

Beskar: ferro mandaloriano, è un minerale spesso utilizzato nelle armature e noto per la sua tolleranza a forme estreme di danneggiamento. È un metallo resistente da sopportare colpi blaster diretti e può potenzialmente resistere a colpi di taglio da parte di una spada laser, anche se può essere penetrato da un affondo diretto. Il beskar è molto raro e si rinviene solamente nelle miniere di Mandalore e della sua luna Concordia.

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