Capitolo 6.
JAMIE.
Faccio una foto ai resti della casa che io ed Ethan abbiamo appena distrutto e la mando a Brandon.
Siamo in vantaggio di un punto.
Ethan sale in macchina e l'accende senza aspettarmi. Non ha praticamente parlato per tutta la sera e si comporta come se mi odiasse.
«Hai parlato con Sammie?».
Non mi guarda, irrigisisce la mascella e annuisce «Sì»
«Che ti ha detto?»
«Che le devo dei soldi. Hai buttato seicento euro nel cesso». Mi lancia un'occhiataccia e stringe il manubrio.
«Oh, te li do io...»
«Non ne ho bisogno»
«Senti, se ce l'hai con me per qualcosa basta dirlo».
Frena di scatto e il mio corpo viene sbalzato in avanti.
«Ma sei pazzo?!»
«Che c'è? Non ti piacciono le sorprese?»
«Vuoi dirmi che succede?»
«Niente. Non succede niente», torna a guardare la strada e riparte.
Rimaniamo in silenzio per un bel po' di tempo, poi torno a parlare «É per Sammie? Ti ha detto qualcos'altro?»
Ride, una risata finta «Ma chi cazzo ci pensa a Sammie?»
«E allora che c'è?»
«Ti ho detto che non c'è niente» ferma la macchina e mi guarda «Siamo arrivati»
«L'ho notato»
«Dovresti scendere dalla macchina, adesso»
«Voglio sapere che succede». Incrocio le braccia al petto e mi preparo ad ascoltarlo. Lui peró non parla, deglutisce e guarda la frase scritta sul muro.
«Nessuno ti abbraccia mai» sussurra, lo sguardo perso nel vuoto. Scuote la testa e finge un sorriso «Mi sa che ti abbracciano in troppi»
«Che vuoi dire?»
«Niente, scendi. Ho da fare».
Apro lo sportello, ma rimango immobile sul sedile «Ethan...»
«Te ne vuoi andare o no?»
Esco dalla macchina e sbatto lo sportello, quindi attraverso il giardino a passo svelto.
So che mi sta guardando e ne approfitto per girarmi verso di lui.
«Che c'è?» urla, vedendo che non entro in casa.
«C'è che sei un coglione!» e adesso posso entrare.
Sto per chiudere la porta ma il rumore di uno sportello che sbatte seguito da dei passi mi fa cambiare idea.
Apro la porta per vedere cosa sta succedendo fuori ed Ethan mi travolge. Mi spinge verso casa e chiude la porta con un calcio.
Sono schiacciata contro il muro e i suoi occhi sembrano due pozzi di vernice nera.
«No, te lo dico io che c'è» sussurra a denti stretti «C'è che il coglione qui non sono io. C'è che tu cammini con due bistecche sugli occhi e non ti accorgi mai di niente. E vivi a Favolandia, e vivi per i cazzi tuoi, e vivi sotto una campana. Niente ti sfiora e niente ti fa capire come stanno le cose per davvero».
Non respiro e me ne sono accorta solo adesso. Prendo fiato e cerco di formulare una frase che abbia un senso.
«E come stanno le cose? Dimmelo tu»
Indietreggia e scuote la testa «Lascia stare».
La mia mano si muove veloce, gli afferro il polso e lo fermo.
M'impongo di guardarlo negli occhi e ci riesco «Quello che vive a Favolandia, qui, sei solo tu».
E allora annuisce, si libera della mia presa e apre la porta «Mi sa che hai ragione».
ETHAN.
Ogni tanto mi chiedo come fanno gli altri ragazzi a stare dietro alle loro migliori amiche. Se le aiutano con gli ex o se le spingono verso nuove relazioni. Se le baciano mai o se solo il pensiero li disgusta.
In questo momento, peró, seduto in un bar quasi vuoto davanti ad una birra, mi chiedo se mi sono innamorato.
Ho voglia di ridere di me stesso, ma sono troppo giú di morale per farlo.
Negli ultimi giorni ho una brutta sensazione che mi stringe la gola da quando mi alzo a quando vado a letto. É la brutta sensazione che si prova quando capisci che stai perdendo qualcosa, qualcuno.
Nel mio caso, si tratta di qualcuno: sto perdendo Jamie. Lo vedo, lo capisco.
Mi sembra impossibile, ma è la veritá. L'ho capito da come mi guardava questa sera mentre discutevamo. Mi guardava quasi con disgusto, come se mi odiasse. Voleva uccidermi, si leggeva nei suoi occhi. E lí ho notato che qualcosa non andava. Lei voleva ammazzarmi ed io volevo baciarla. Sono due cose diverse.
Do un sorso alla mia birra e noto con la coda dell'occhio un anziano che si siede accanto a me. Sembra allegro, lui. Indossa un vestito elegante e ordina del wisky. Poi si gira verso di me e sorride.
Lo ignoro, fingo di non vederlo mentre mi guarda.
Sento i suoi occhi addosso e mi impedisce di pensare.
Quindi lo guardo anch'io, poso la mia birra e lo fisso.
Lui guarda me, io guardo lui.
Non ha senso, peró continuiamo. Ha gli occhi azzurri e un sorriso malefico sulle labbra. Non m'intimorisce, se è questo ció che vuole.
«Che hai da guardare?», gli dico.
«Guardo te», ride.
«Lo vedo. Ma perché?»
Scuote la testa e avvicina il suo sgabello al mio.
Io rimango fermo, non mi sposto di un millimetro.
«Qual'è il tuo problema?».
Inarco un sopracciglio «Come?»
«Qual'è il tuo problema?», ripete.
«E il tuo qual'è?».
Scoppia a ridere e beve un po' del suo wisky «Nessuno ti ha insegnato che si porta rispetto verso gli anziani?»
«E nessuno ti ha insegnato che non si parla con gli sconosciuti?».
Io sono serio, lui ride.
«Mi piaci»
«Non sei il mio tipo, ad essere sincero» gioco con il mio pearcing e continuo «Sei pure vecchio per me. Provaci con la nonna della barista»
«Hai una schiettezza incredibile».
Scoppio a ridere e sputo un po' della mia birra. Mi pulisco in fretta con un fazzolettino, quindi rispondo «Ci stai davvero provando con me?»
«No, idiota» punta i suoi occhi azzurri nei miei e porta la testa da un lato «Sto solo dicendo che mi piaci. Solitamente nessuno si rivolge a me come tu hai appena fatto»
«Solitamente nessun uomo di mezza etá mi fissa insistentemente»
«Hai un diploma?»
«Sì»
«Una laurea?»
Scoppio a ridere «Adesso esageri»
«Ti voglio nella mia azienda», mi dice. É serio ed io non so se ho capito bene.
Quindi gli chiedo di ripetere.
Sì, ho sentito bene.
«Mi prendi per il culo?».
«Per niente» infila le mani in tasca e per un attimo temo possa prendere una pistola e farmi fuori. Invece mi porge un biglietto da visita.
Il suo nome, Bob William, è scritto in corsivo. Leggo che è l'amministratore delegato di un'agenzia pubblicitaria. Io non ci capisco niente, peró sembra un pezzo grosso.
«Non capisco», ammetto «Io non c'entro niente con quel mondo»
«Mi serve un bravo assistente. Sincero, schietto. Tu hai queste qualitá. O almeno sembra. Fai una settimana di prova, la paga è buona»
Gioco con il pearcing e mi alzo «Dove sta la fregatura?»
«Nessuna fregatura. Il mio ultimo assistente mi derubava, l'ho licenziato oggi»
«E cosa ti fa pensare che io non possa fare lo stesso?».
I suoi occhi si illuminano di una strana luce. Penso che è pazzo, peró rimango ad ascoltare quello che ha da dire «Chiamalo intuito»
«Tu sei pazzo» e finalmente lo dico ad alta voce. Mi avvicino alla porta e lo saluto con un cenno della mano prima di uscire. Non mi volto indietro, non ho tempo da perdere dietro ad un folle amministratore.
«Io lo so qual'è il tuo problema!».
Mi fermo di scatto. Mi mordo il labbro e mi volto a guardarlo «E qual'è?», lo sfido. Tanto non ho niente da perdere. Si avvicina a passo svelto e si copre il collo con una sciarpa.
«Lo stesso che avevo io alla tua etá. Pensi... Pensi di non essere abbastanza per le persone che ami. Pensi che qualcuno migliore di te possa strapparti quelle persone e che rimarrai a guardare. Hai paura, ragazzo. Muori dalla paura di non essere abbastanza».
Rimango in silenzio, riformulo le sue parole e fingo un sorriso «Tu sei pazzo»
«Io ho ragione», ribatte.
So che ha ragione, ma non lo ammetto. Mi metto le mani in tasca e scrollo le spalle «Non vedo come fare l'assistente di un vecchio folle possa risolvere il mio problema»
«Hai un lavoro?»
«No»
«Apparirai giá una persona migliore davanti agli occhi di quella ragazza che ti ha ridotto a bere in un bar solo come un cane»
«Non c'è nessuna ragazza», ringhio infastidito. Chi è lui per venire a sputarmi in faccia la mia vita?
Non sa un cazzo di me.
«Volevo solo offrirti un lavoro», si mette il cappello e sorride. Mi fa un cenno col capo e mi da le spalle, quindi comincia a camminare.
Lo guardo in silenzio mentre si allontana e le sue parole non escono piú dalla mia testa. Le sento in continuazione, poi i miei piedi cominciano a correre da soli.
Lo raggiungo e prendo fiato prima di parlare «Quando comincio?».
JAMIE.
Sono seduta sul divano di Ethan da un'ora e mezza.
Sono le dodici e lui non è a casa. Mi chiedo dove possa essere e perché si è alzato prima del solito. Solitamente si alza presto solo se dobbiamo prendere dell'esplosivo fuori cittá. Ma oggi non ne vedo proprio il motivo.
Mi muovo nervosa sul divano e deglutisco.
Voglio chiedergli scusa per ieri sera, anche se non ho capito il centro della discussione. So solo che sento di averlo ferito, in qualche modo.
Mi mordo il labbro e provo a richiamarlo per l'ennesima volta. Niente, il cellulare è spento.
Per un attimo mi assale la paura che possa essergli successo qualcosa, poi scaccio il pensiero. Sono troppo paranoica.
Rimango lí ferma sul divano per un altro quarto d'ora prima di vederlo entrare nell'appartamento.
Tiene in mano due sacchetti e chiude la porta con un calcio. Non si è accorto di me, quindi va in cucina.
Mi alzo senza fare rumore e mi poggio allo stipite della porta con la spalla.
Indossa una giacca blu su dei pantaloni grigi e i capelli sono sparati in aria in modo ordinato. Non lo vedo cosí elegante dal matrimonio di mio cugino Benny.
Ordina la spesa canticchiando una canzone che non conosco. Ha una bella voce e sorrido mentre lo guardo.
Quando si accorge della mia presenza, sobbalza e fa cadere a terra una mela. La prende velocemente e torna a guardarmi «Che ci fai qui?»
«Sono passata a svegliarti, ma da quello che vedo ti sei alzato presto. Dove sei stato?».
Gioca con il pearcing e scrolla le spalle «A fare la spesa»
«In giacca e cravatta?»
«Ti fermi a pranzo?» ignora la mia domanda e apparecchia la tavola.
Nasconde qualcosa. Lo vedo da come sorride soddisfatto.
«Hai ripreso a spacciare?», mi viene spontaneo chiederlo.
Stupido com'è, ne sarebbe capace.
Si ferma a guardarmi, in mano le posate e in faccia un'espressione ferita.
«No» è serio, quindi gli credo.
«Hai fatto a pugni con qualcuno in particolare?».
Lascia cadere le forchette sul tavolo con un tonfo sordo e sussulto «Ho trovato un lavoro. E prima che tu possa aprire quella bocca e chiedermi se sono diventato un killer professionista, ti dico che sono l'assistente di un amministratore delegato. É un po' esaurito ma lo stipendio è buono».
Ethan con un lavoro.
É talmente surreale che scoppio a ridere nel momento stesso in cui lo dice. Continuo a ridere e smetto solo quando mi accorgo che lui è ancora serio. Non sta scherzando.
«Parli sul serio?»
«Non posso avere un lavoro anch'io?», grugnisce. Apre il frigorifero e mette due birre sul tavolo.
«Sí, ma...»
«Ma cosa? Non ti sembro in grado di tenermi un lavoro?»
«Non ho detto questo»
«La tua risata è stata molto chiara». É offeso, e forse ha pure ragione.
Mi avvicino a lui e gli metto una mano sulla spalla. É piú alto di me, quindi devo alzare la testa per guardarlo dritto negli occhi.
Fa scorrere veloce le sue mani sui miei fianchi e mi attira a se.
«Non volevo ridere. Solo... É strano, pensarti dentro ad un ufficio».
Il suo viso si addolcisce e sorride «Lo so»
«Ti dona il blu»
«Ammettilo, sono sexy con la giacca».
Scoppio a ridere e abbasso lo sguardo. Sí, sei sexy anche senza.
Fa scorrere un dito lungo il mio collo e lo ferma sotto il mio mento, quindi mi alza il viso costringendomi a guardarlo. «Tu lo sai che ho bisogno di te, vero?» sussurra, e all'improvviso sento mancare il pavimento sotto ai piedi.
«Cosa... Che...»
«Davvero ti sei fatta baciare da quel coglione?», mi interrompe. Non c'è rabbia nel suo tono di voce, mi fissa le labbra e sorride. Un sorriso triste.
«Solo una volta, ma...»
«Sh, fammi finire» mi spinge verso il tavolo e m'incastra con il suo corpo.
Non distoglie gli occhi dai miei e questo mi sta uccidendo.
«Non...» prende fiato e si allontana, poi mi da le spalle «Non permettergli piú di baciarti»
«Perché?»
«Perché se lo fa un'altra volta, io lo ammazzo. Sono stato chiaro?».
*******
Salve :) Ecco a voi il nuovo capitolo. Ad essere sincera non sapevo se postarlo o meno perché a seguire questa storia siete in pochi e magari non piace. (Sì, sono complessata). Ma comunque, ho deciso per ora di continuare. Spero vi piaccia, fatemi sapere o lasciate un voto. Un bacio.
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