Capitolo 10.
JAMIE.
Mi soffio il naso e affondo il mio viso sotto il piumone. Dio, quando sono diventata così emotiva? Ho visto delle foto di me ed Ethan e non sono riuscita a trattenere le lacrime. Sembravamo più uniti, più sinceri.
Adesso non facciamo altro che litigare e questo ci sta facendo allontanare parecchio. Sento un muro tra me e lui e voglio abbatterlo. Mezzora fa mi ha detto che stava arrivando, ma non è ancora qui. Accendo la tv e cambio canale in continuazione. Perché non arriva? Magari non vuole venire e l'ho soltanto infastidito con il mio sfogo.
Arriccio il naso e deglutisco. No, lui non è il tipo. Ha detto che sarebbe venuto, dunque verrà. Continuo a distrarmi con la TV, poi sento il campanello. Mi passo una mano tra i capelli e corro alla porta. Voglio stritolarlo con un abbraccio.
«Sei arrivato», apro la porta e mi blocco. Lui non è Ethan.
Chris sorride, «Aspettavi qualcuno?».
Beh, sì.
«Io... Cosa ci fai qui?».
Infila le mani in tasca, «Diciamo che ero nei dintorni e avevo voglia di vederti. Posso entrare?».
Sta arrivando Ethan e vorrei evitare uno scontro faccia a faccia. Conoscendolo gli salterebbe addosso solo perché respira. Peró mi faccio da parte e fingo un sorriso, «Certo, entra pure».
Si guarda un po' in giro, «Bella casa»
«Grazie mille»
«Guardavi un film strappalacrime?», ridacchia, facendo un cenno col capo in direzione del divano e della marea di fazzolettini che stanno sul pavimento. Che figura.
«Si», invento, «Moriva il padre, poi la madre e i figli tutti orfani e poi morivano ad uno ad uno e solo la protagonista rimaneva viva», borbotto.
Scoppia a ridere e mi scompiglia i capelli, «Non credevo fossi una ragazza emotiva».
Nemmeno io. Scrollo le spalle e gli chiedo se vuole accomodarsi in cucina, visto che il salotto fa letteralmente schifo. Si siede su uno sgabello ed io davanti a lui.
«Ti ho portato una cosa», dice, tirando fuori dalla tasca della giacca una busta. Me la porge e mi sorride imbarazzato, «Non fraintendere», comincia, «È l'invito al matrimonio di mia sorella. Ci sarà anche tuo fratello ad accompagnare Jake e i miei non mi fanno entrare in sala se vado da solo», si passa una mano tra i capelli, «So che magari ti sembra che io stia correndo un po' troppo, ma non è niente di importante. Se non vuoi accompagnarmi tranquilla, lo capisco. Peró se proprio devo avere qualcuno accanto quella sera vorrei fossi tu».
Ah, bene.
«Chris, io...»
«Stai per dire di no o sbaglio?».
Lo guardo negli occhi e sospiro. In fondo è solo un matrimonio, no?
«Ti accompagno», sospiro, «Ma i tuoi parenti non devono assolutamente scambiarmi per la tua fidanzata o cose del genere».
Scoppia a ridere e scuote la testa, «Allora cercherò di non baciarti in pubblico».
ETHAN.
Hanno sparato a Bob. Cristo, lo hanno sparato davvero. Da dove arrivava quel proiettile? Chi è stato? Mi muovo avanti e indietro nel corridoio dell'ospedale e sospiro. Spero stia bene. Deve stare bene. Quando ho visto il suo viso pervaso dal dolore ho subito capito che lo avevano preso. Se solo potessi avere tra le mani il bastardo che ha sparato. Se solo potessi...
«È fuori pericolo», una dottoressa si avvicina a me e sospira. Grazie al cielo.
«Posso vederlo?»
«Un attimo». Sparisce dietro una porta e sbuffo sedendomi su una vecchia panchina.
Qualche minuto dopo viene a chiamarmi e la seguo fino ad arrivare alla stanza di Bob che è attaccato ad un macchinario che segna i battiti del suo cuore. Una flebo piena di sangue accanto al suo letto.
«Poco fa era sveglio», la dottoressa inarca un sopracciglio.
«Va bene lo stesso», sussurro, dunque mi avvicino a lui. Ha lo stomaco fasciato e capisco che è ancora vivo per miracolo.
«Sono sveglio», borbotta, facendomi sorridere.
«È un parente?», mi chiede poi la dottoressa, «Ho delle informazioni da dare»
«Io sono... Uhm, il suo...»
«È mio figlio», dice Bob con voce stanca, «Può dirgli tutto quello che c'è da sapere».
Cosa? Cerco di non avere nessuna espressione e annuisco. Perché ha mentito? Io non sono suo figlio. Seguo la dottoressa fuori dalla stanza e mi appoggio al muro.
Ha un'espressione seria, dunque comincia a parlare: «Di certo sa che a suo padre rimane poco tempo per vivere».
Deglutisco, la gola improvvisamente secca. Bob sta morendo?
«Non ha detto poco fa che era fuori pericolo?»
«Non mi riferisco a quello», risponde.
«E a cosa?», la mia voce si riduce ad un sussurro. Perché mi sto agitando in questo modo?
«Suo padre ha il cancro, non lo sapeva?»
«Io...», mi passo nervosamente una mano tra i capelli, «Sì, ma...». Bob, perché non me lo hai detto?
«Allora sa benissimo che suo padre non può continuare a fare la vita che ha condotto fino ad ora. Dovrebbe rimanere a riposo e invece continua a lavorare e gli hanno anche sparato», dice amaramente, «Sì occupi di lui una volta fuori di qui. Non deve fare nessuno sforzo».
Annuisco.
«Gli stia vicino», mi accarezza il braccio e si allontana. Io rimango immobile per qualche minuto. Bob sta morendo. Asciugo in fretta una lacrima e con gli occhi che pizzicano torno in camera da lui. Si volta a guardarmi e sorride. Come fa a sorridere?
«Adesso non fare quella faccia», dice, «Non mi sono fatto ammazzare da una pallottola, hai visto?».
Mi siedo accanto al letto, «Perché non me lo hai detto?»
«Non vado di certo in giro a dire che sto morendo»
«Ma-»
«Niente ma», mi interrompe, «E cambia espressione. Sembri una femmimuccia».
Inarco un sopracciglio e rido, «Bastardo pure su un letto d'ospedale»
«Porta rispetto», borbotta, «Sono tuo padre».
Mi fa l'occhiolino e scoppia a ridere, poi tossisce. Gli porgo un bicchiere d'acqua e lo beve lentamente.
«Perché hai detto che sono tuo figlio?»
«Così», risponde in fretta.
Nella stanza cala il silenzio, ma Bob interrompe la quiete, «In realtà», tossisce, «Ho detto che sei mio figlio perché io ho sempre voluto avere un figlio come te, Ethan. Ho una figlia da qualche parte nel mondo che mi odia e una ex moglie in Messico che se la spassa con un ventenne». Non so che dire.
«Perché tua figlia ti odia?»
«Non ne ho idea», ridacchia, «So solo che un giorno ha deciso di andarsene e non chiamarmi più»
«Mi dispiace»
«È andata così», sospira. Torna il silenzio e stavolta sono io a spezzarlo, «Perché un figlio come me?»
«Perché questa sera non hai intenzione di stare zitto?».
Scoppio a ridere, «Se vuoi vado via».
Sbuffa, so che vuole che io resti. È triste, ma in questa stanza ci sono solo io e questo uomo non ha nessun altro. Merita più di questo.
«Dunque qual'era la domanda?»
«Perché un figlio come me?»
«Perché sei in gamba, l'ho capito subito. Riesci bene in tutto quello che fai»
«Ti sbagli»
«No, Ethan. Hai tante belle qualità che tu ignori»
«Convinto tu», sbuffo e lui sorride.
«Inoltre», aggiunge, «So che non ci penseresti nemmeno un attimo a sacrificarti per le persone a cui vuoi bene. Ti si legge negli occhi. Ti faresti sparare anche per uno come me»
«Mai», lo prendo in giro.
Sorride. La verità è che forse, per lui, una pallottola nel petto la prenderei volentieri.
Sento il mio cellulare squillare e lo afferro sotto lo sguardo attento di Bob. È Jamie.
«Se non avevi intenzione di venire potevi dirlo subito», dice in fretta.
«No, Jamie, ho avuto un imprevisto»
«Del tipo?», è arrabbiata, «Adesso dove sei?»
«All'ospedale»
«Che è successo?», percepisco la sua preoccupazione.
«Poi ti spie-»
«Sto arrivando», mi interrompe, «Dieci minuti e sono lì».
JAMIE.
Attraverso in fretta un corridoio e mi guardo intorno. Ethan dovrebbe essere qui, o almeno così diceva il messaggio che mi aveva inviato. Primo piano, corridoio A. Ed eccomi qua, ma lui dov'è? Sistemo nervosamente i capelli dietro un orecchio e cammino ancora. Poi lo vedo. Sta parlando con due agenti della polizia, sembra tranquillo. Ha le maniche della camicia arrotolate e adesso che mi avvicino noto due profonde occhiaie. Finisce di parlare con gli agenti e si volta verso di me. Ha del sangue sulla camicia.
Gli corro incontro e lo abbraccio. Trattengo le lacrime. Perché non faccio altro che piangere ultimamente?
«Ehi», sussurra, «Sto bene». Appoggia il suo mento sulla mia testa e mi lascia un bacio tra i capelli.
Senza staccarmi da lui gli chiedo di spiegarmi cos'è successo e mi dice che hanno sparato a Bob. Non hanno sparato anche a lui e ringrazio il cielo.
«Non c'era bisogno di piombarti qui a quest'ora»
«Sì invece».
Mi stringe con più forza, poi mi afferra la mano, lasciando intrecciare le nostre dita.
«Voglio presentarti una persona», mi dice, dunque mi trascina in una stanza. Un signore sdraiato sul letto mi fa "ciao" con la mano. Deve essere Bob.
«Lei è Jamie», dice Ethan. Lui sorride.
«Potevi dirmi che una ragazza così bella stava per arrivare», borbotta, «Mi sarei almeno cambiato d'abito».
Sorrido, «Grazie»
«Sedetevi», mugugna. Mi guardo intorno e noto che c'è una sola sedia. Dunque Ethan la indica e lascia che io mi sieda. Lui si sistema ai piedi del letto.
«Allora ho l'onore di conoscere finalmente la ragazza di Ethan»
«Bob, non cominciare», Ethan ruota gli occhi al cielo.
«Sta zitto», gli risponde, «Sto parlando con lei».
Sento le guance andare a fuoco e mi stringo nelle spalle. Lo sguardo di questo uomo mette in soggezione. Un po' come quello di Ethan.
«Mi parla molto di te, sai?»
«Davvero?», chiedo, lancio un'occhiata divertita ad Ethan che muove la testa, negando.
«Sì. Sareste davvero una bella coppia»
«Bob, potrei avere anch'io una pistola da qualche parte», borbotta Ethan. Bob ride.
«Va bene, la smetto, ma apri gli occhi», mi fa l'occhiolino e sorrido imbarazzata. Apri gli occhi? Rimaniamo a parlare del più e del meno ancora per un po', poi un'infermiera ci ordina di uscire e di lasciarlo riposare. Ci dirigiamo verso l'uscita dell'ospedale e inarco un sopracciglio quando Ethan si ferma e mi afferra la mano.
«Io rimango qui», spiega, «Non mi va di lasciarlo da solo questa notte».
Annuisco, lanciando una veloce occhiata alle nostre dita intrecciate. Una strana sensazione di calore mi invade il corpo.
«Va bene», annuisco.
Mi avvicina a lui e mette una mano sul mio fianco.
«Sta attenta», sussurra, «Guida piano».
Fa sfiorare i nostri nasi e sorrido, lo guardo dritto negli occhi, come incantata.
«Starò attenta»
«Inviami un messaggio appena arrivi, okay?»
«Sì, Ethan, sta tranquillo».
Si inumidisce le labbra e sorride, «Buonanotte», bisbiglia, i nostri nasi ancora uniti, le nostre bocche così vicine.
«Buonanotte», dico, dunque mi allontano di un passo. Lascia la mia mano e mi osserva mentre vado via.
«Jamie», mi chiama, dunque mi volto a guardarlo, corre verso di me. Mi afferra il viso tra le mani e mi stampa un bacio sulle labbra.
«Buonanotte», soffia ad un millimetro dalla mia bocca, poi va via, lasciandomi con lo sguardo perso nel vuoto e con due dita sulle labbra. Mi ha baciata.
Salveeeeee.
Come state? Io muoio di caldo. La mia vicina mi ha acceso il wifi e ne approfitto per aggiornare. Amatemi :')
Avete visto?? Abbiamo avuto un piccolo bacio. Che ne pensate? Lasciate un commento o una stellina :) un bacio.
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