Viaggio nei gherigli della mente.
L'avvocato Ciliberti si preoccupò di cercare un bravo "dottore della mente", e la scelta ricadde su Fabrizio Demichele. Uomo sulla quarantina, aveva da poco aperto uno studio e gestiva una clinica per infermi di mente alla periferia della vicina Bari.
"Fabrizio, amico mio, devi assolutamente aiutarmi!"- esordì Ciliberti, piombando nello studio senza neanche farsi annunciare.
"Che succede, Rocco? Non ti sarai infilato ancora in qualche ginepraio senza via d'uscita, vero?"- domandò il medico in tono scherzoso. "Oh, figurati, sciocco io ad averlo anche solo domandato! Ma certo che è così. Avanti, fuori il rospo!"
Ciliberti si passò una mano sui capelli, indugiando coperta la fronte, poi, appropriatosi della calma e della capacità di sintesi necessarie, spiegò: "Ho per cliente una ragazza che ha consapevolmente contagiato di sifilide un buon numero di giovani e devo giocarmi la carta dell'infermità mentale. Mi basta che tu la dichiari pazza nero su bianco, non ti chiedo poi chissà cosa!"
"Non mi chiedi chissà cosa? Rocco, io ti voglio bene, ti stimo come professionista e come amico ma... no, questa cortesia non posso fartela!"- replicò secco Demichele.
"Andiamo, Fabrizio! Ne andrebbe della mia credibilità professionale. Se vincessi questa causa, farei il botto!"- provò ad insistere Ciliberti.
"E io invece potrei giocarmela la professione, lo capisci? Innanzitutto, senza visitare di persona questa ragazza, io non metto nero su bianco nulla. In secondo luogo, non ti è venuto in mente che il giudice potrebbe anche predisporre un'ulteriore visita con un altro specialista? Di fronte a due diagnosi diverse come la metteremmo?"- s'impuntò Fabrizio Demichele, difendendo le sue sacrosante ragioni.
"Ma no! Se fosse stata una questione di diffidenza, avrebbero già selezionato loro il medico a cui rivolgersi. Invece mi hanno lasciato campo libero. La verità, come sempre accade per tali questioni, è che non vedono l'ora di togliersi questo fardello dalle spalle. Devono emettere una sentenza e passare al prossimo caso. Conta solo quello! Suvvia, Fabrizio, fammi questa cortesia e ti saprò ricompensare!".
"Rocco, tutto quello che posso fare per te è venire a visitare questa ragazza, presumo entro le mura della casa circondariale. Sappi però che non scriverò alcuna diagnosi che non corrisponda al vero. Se la ragazza non è pazza, io non la dichiarerò tale!"- ribatté categorico Demichele.
"E va bene, Fabrizio, va bene. Vedi tu quando puoi riuscire a trovare un po' di tempo per venire a visitarla. Credo che non mi converrebbe insistere oltre"- parve arrendersi il Ciliberti.
"No, infatti, Rocco!"- confermò l'altro, mettendosi poi a consultare la sua agenda. "Vediamo... domani pomeriggio potrebbe andare bene, verso le 18:00!"- sentenziò.
"Perfetto! Ti sono riconoscente per la collaborazione!"- lo salutò e infilò la porta, sperando solo di poter gestire al meglio il tempo, istruendo a puntino la giovane Vicenti.
"Rebecca, il tempo stringe. Domani pomeriggio verrà a visitarvi il dottor Demichele. Dovete fare di tutto per sembrare fuori di testa, in modo che sia messo nero su bianco. È l'unico modo per poter riabbracciare questo Beppe di cui vi siete incapricciata!"- le disse.
"Ma io... non sono un'attrice, e per mia fortuna, non ho mai avuto a che fare con dei matti. Non so come si comportino... non so cosa fare..."-disse confusa la ragazza.
"Ma ve l'ho già spiegato: fingete di vedere cose o persone che non ci sono, alternate momenti di lucidità a discorsi sconclusionati; gettatevi per terra e dimenatevi... quello che volete insomma, purché non appariate sana di mente!"- le consigliò Ciliberti.
"Vedrò cosa posso fare, ma non sarà facile!"- sospirò la giovane, massaggiandosi le tempie.
"No, Rebecca: voi non dovete vedere cosa potete fare, voi ci dovete riuscire. Ve lo ripeto: tutto dipende da questo!"- ribadì intransigente l'avvocato.
"Ma come posso promettervi qualcosa che non..."- stava dicendo lei. Gli occhi di Ciliberti la fissarono in modo eloquente, non ammettendo un no come risposta.
"D'accordo, d'accordo!"- sbuffò rassegnata Rebecca.
Quando Ciliberti ebbe lasciato il parlatorio, e lei fu nuovamente in cella, si rivolse a Chiara.
"Hai mai conosciuto qualcuno che fosse fuori di testa? Qualche matto, insomma!" – le chiese.
"Ma... che razza di domande sono?"- riuscì a dire la bionda, non ricollegando nell'immediato il motivo di quella domanda alla situazione della compagna di cella.
"Ma sì, ricordi quando ti dissi che l'avvocato vuole che mi finga matta? È stato interpellato un medico che domani verrà a visitarmi. Dovrei fare come mi ha consigliato Ciliberti per avere una possibilità di uscire da questo postaccio e...."
"E riabbracciare il tuo diletto Beppe!"- continuò Chiara, ruotando gli occhi al soffitto.
"Beh, in verità sì, uno ne ho conosciuto. Ero piccola, e ho ricordi molto vaghi. Si chiamava Lucio e doveva avere sui venticinque anni. Credo che soffrisse di alluci... allu... insomma, quel disturbo che ti fa vedere cose che non esistono. Combatteva contro presunte entità malefiche con una spada di legno, abbracciava e baciava gli alberi credendo di trovarsi di fronte a qualche bella fanciulla. Poi sai, tanti particolari mi sono stati raccontati a distanza di anni: non stava certo bene che si parlasse di certi argomenti in presenza di una ragazzina!"- spiegò la bionda.
"Grazie, mi sei stata di grande aiuto! Almeno ora so come comportarmi!"- sorrise Rebecca.
"Ma.... che vuoi fare? Non metterti nei guai, per favore!"- la avvertì la compagna di cella.
"Sta tranquilla, Chiara. Non sono così sprovveduta!!"- assicurò la Vicenti.
Nel pomeriggio venne dunque il dottor Demichele. Ciliberti l'aveva pregato di poter assistere (in rigoroso silenzio), al colloquio con la sua cliente, ma il medico aveva respinto la proposta dell'amico. All'avvocato, mogio e col capo chino, non era restato altro da fare che allontanarsi. Rebecca e il dottore restarono quindi soli nell'infermeria di cui disponeva la casa circondariale.
"Sono il Dottor Fabrizio Demichele, immagino dobbiate essere la signorina Vicenti, giusto?"- esordì l'uomo, in tono freddo e informale.
"Sì, dottore, sono Rebecca Vicenti!"- rispose mansueta la ragazza, cercando di non lasciar trapelare in alcun gesto e in alcuna espressione del volto la sua agitazione.
"Molto bene, signorina, vi farò una serie di domande, a cui vi prego di rispondere sinceramente. Innanzitutto, siete conscia del motivo per il quale vi trovate qui reclusa?"- esordì senza indugi il dottore.
"Ecco.... io... ho contagiato di sifilide alcuni giovani del paese, o almeno così mi hanno detto!"- affermò lei fingendosi intimidita.
"Così vi hanno detto? Voi non ne avete memoria?"- chiese il Demichele, inarcando un sopracciglio.
"No dottore, nella maniera più assoluta! Ricordo solo una serie di orrendi incubi!"- rispose la ragazza.
"Che genere di incubi? Spiegatemi nel dettaglio, Rebecca"- la esortò Demichele.
"Mi facevano del male, molto male. Mi schernivano, mi umiliavano, mi derubavano e uccidevano la creatura che portavo in grembo! E poi... una voce mi diceva che per punirli, avrei dovuto giacere con loro!"-ancora una volta, Rebecca recitò impeccabilmente la sua parte.
"Chi vi faceva del male, Rebecca?"- chiese serio il medico, annottando tutto su di un foglio di carta.
"Degli spiriti maligni, delle entità demoniache che avevano assunto parvenze umane!"- asserì la giovane.
"Entità demoniache... mmmh!"- esclamò Demichele, strofinandosi una tempia con la penna.
"E sareste in grado di dirmi a chi appartenesse la voce che vi esortava a punirli giacendo con loro?"- chiese ancora.
"No, non saprei dirvelo, davvero. Forse a qualche entità benevola che mi voleva salva. Diceva che avrei dovuto inoculare loro un veleno letale che avevo in corpo, ma che su di me non avrebbe sortito alcun effetto"- continuò Rebecca.
"E voi ricordate il preciso istante in cui vi siete unita a ciascuno di questi giovani?"- incalzò Demichele.
"No dottore, non sono neanche certa che sia avvenuto nella realtà. Possibile si sia verificato solo in sogno!"- rispose lei senza tentennamento alcuno.
"Ve ne do conferma io: non è accaduto solo nel vostro incubo, ma anche nella realtà, purtroppo per voi e soprattutto per quei giovani! - le fece presente il dottore, che voleva più che altro osservare se la reazione scaturita sarebbe stata davvero quella di una persona squilibrata, inconsapevole del danno provocato, e che quindi se ne dolesse.
"Io... l'ho fatto davvero? Non volevo, non volevo, dottore... ve lo giuro. Devo chiedere scusa a quei poveri innocenti, e subito!"- prese a piagnucolare la ragazza.
"Calmatevi adesso! Non potete andare da nessuna parte, e lo sapete meglio di me. Piuttosto, continuiamo. Vi mostrerò alcune foto, e voi dovrete dirmi se sapete riconoscere le persone di volta in volta ritratte, d'accordo?"-proseguì il Demichele.
"Va bene!"- annuì la giovane con un cenno del capo.
Demichele le mostrò una foto del defunto Marcello Vicenti, e osservò un sorriso tenerissimo espandersi sulle labbra di Rebecca.
"Lo riconoscete?"- domandò
"Il mio papà, il mio adorato papà, che porto sempre qui dentro!"- esclamò lei, portandosi la mano destra all'altezza del cuore.
"Vi manca molto, non è vero?"- le chiese.
"Oh no, no dottore, affatto! Lui c'è sempre. Voglio dire, ci parlo tutti i giorni. Non sento la sua voce ma mi risponde ugualmente, sapete?"- sorrise ancora la Vicenti.
"Capisco..."- si limitò a dire Demichele – "Passiamo pure oltre. Ditemi, quali di questi volti riconoscete?"- chiese mostrandole le foto di tutti i ragazzi contagiati: Giacomo, Diego, Tiziano, Eliseo... tutti ad eccezione di Beppe.
Rebecca ebbe uno scatto violentissimo, e cacciando un urlo disumano, si scagliò sul tavolinetto stracciando le foto e lanciandone i brandelli per aria, come fossero coriandoli.
"Mostri, aiutanti di lucifero, spiriti spargitori di male! Allontanateli da me, dottore! Allontanateli da me, ve ne scongiuroo!"
Il Demichele rimase a dir poco basito, paralizzato per alcuni secondi. S'accorse poi che la ragazza stava scappando dall'infermeria e si lanciò al suo inseguimento.
Riuscì a bloccarle i polsi per poi sorreggerla evitandole una rovinosa caduta.
"Infermiera, non statevene con le mani in mano, presto!"- gridò il medico, invocando l'aiuto della donna alta e piazzata che doveva assolvere al compito di assistere le pazienti più problematiche. Rebecca continuava intanto a dimenarsi come un pettirosso imprigionato in una rete, senza sentire ragioni.
"Rebecca, basta ora. Calmatevi, dannazione. Non ricordate i nomi di nessuno di quei giovani?"- le chiese il dottore dopo essere riuscito a stento a praticarle un'iniezione di sedativo.
"Quali giovani, dottore? Ve l'ho detto che sono entità maligne. Perché le avete evocate? Ricacciatele nell'inferno da cui provengono"- ribadì con convinzione la giovane.
"Rebecca, non ci sono: guardatevi intorno! Vedete nessuno? Erano delle semplici foto, non possono nuocervi in alcun modo"- tentò di tranquillizzarla Demichele.
La giovane parve calmarsi, dopo che l'infermiera ebbe accondisceso al suo desiderio di poter bere dell'acqua.
"State meglio ora?"- si sincerò il medico.
"Sì, ora che sono andati via sì!"- rispose Rebecca con voce ancora affannosa.
"Guardate qui: credo proprio che questa sia una foto che vi farà piacere guardare"- continuò Demichele, mostrandole il ritratto fotografico del giovane Guglielmi.
Rebecca gli si avvicinò, gli strappò la foto dalle mani e la strinse al cuore: "Beppe, il mio Beppe! L'angelo che mi ha salvata e mi salverà ancora!"- esclamò lei, riempendo quel cartoncino di baci. Il Demichele e l'infermiera si scambiarono un tacito e desolato sguardo d'intesa.
"Grave disturbo della personalità di tipo paranoide-ossessivo e dissociativo, caratterizzato da una mancata integrazione tra coscienza, pensieri, identità, memoria, rappresentazione corporea e comportamento"- scrisse il dottore nella sua diagnosi.
"Fabrizio, perdonami ma non sono ferrato. Cosa vorrebbe dire, in parole povere questa tua diagnosi?"- gli chiese l'amico Ciliberti nel leggere.
"Significa quello che volevi. La ragazza non ci sta con la testa!"- rispose il Demichele- "Ma... Rocco...io aspetterei a fare un sorriso sornione come il tuo, perché non è detto che questa diagnosi rappresenti un punto a vostro favore. Anzi...temo piuttosto il contrario!"- l'avvertì poi.
"Sciocchezze!"- lo liquidò l'avvocato strappandogli il foglio di mano- "Andrà tutto come previsto"- Detto ciò, lasciò l'infermeria assieme a Rebecca, che invece fu ricondotta in cella dalle guardie. "Quella ragazza finirà male, molto male!"- disse il dottore all'infermiera, che con assoluto menefreghismo, continuò a riordinare, disinfettando tutto ciò che capitasse a tiro.
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