La resa dei conti.

Esterina, ancora in vestaglia, picchiettava con le nocche sul freddo marmo del tavolo.

"Quella degenerata di mia figlia, ancora non si degna di rientrare! Ah, ma stavolta riceverà con gli arretrati tutte le ramanzine che le sono mancate fino ad ora! Mi limiterò a farle subire le conseguenze delle mie decisioni!"- disse ad alta voce.

Una mezz'oretta prima, aveva composto il numero dell'amica Teresa, per chiederle se Rebecca avesse già lasciato la sua abitazione, e da quanto tempo. La madre di Luigi Boccadamo, con candida sincerità, le aveva riferito che Rebecca non aveva mai dormito da lei. Iniziò a formulare pensieri poco felici. Nel frattempo, Rebecca aprì con cautela la porta. Non si sarebbe aspettata di trovare sua madre già sveglia. Tuttavia, si sforzò di sfoderare un sorriso tiratissimo: "Mamma... buongiorno..."

"Buongiorno a te, tesoro" - replicò Esterina con voce altrettanto impostata- "Allora, come sta la cara Teresa?"- domandò poi, con finta apprensione.

"Teresa?"- la voce di Rebecca tremò un d'incertezza - "Oh, Teresa sta meglio, ha trascorso, devo dire, una notte molto tranquilla. Ti saluta!"- replicò.

Esterina si fece ad un tratto molto seria. Si avvicinò alla figlia, la guardò dritta negli occhi e....SBAMMM! Le rifilò una inaspettata sberla, così forte, che la giovane perse l'equilibrio, e si ritrovò scaraventata in terra, col naso che le sanguinava.

"Ahi! Ma...mamma!"- esclamò dolorante e allibita.

"Mamma un bell'accidenti! Sono stata a telefono con donna Teresa. Mi ha confermato che tu non hai affatto trascorso la notte presso la sua dimora. Dove, Rebecca? Dove diamine sei stata? Esigo che tu me lo dica, e che lo faccia ORA!"- tuonò irremovibile Esterina.

La ragazza si rialzò a stento, reggendosi sulle gambe ancora tremanti.

"Da... da Beppe Guglielmi, l'uomo che amo. Mamma, è successo quello che non sarebbe dovuto succedere, non so neanche io spiegare come... credo di non essere stata lucida. Non sai quanto io mi faccia schifo, e quanto profonda sia la mia disperazione. Non volevo... non volevo!"- ripeté per l'ennesima volta Rebecca, quasi come se quel "non volevo" fosse una giustificazione inoppugnabile.

"Cosa avresti fatto? Saresti andata a letto con quel povero e ignaro giovane, conscia di condannarlo a morte? E me ne parli come della persona da te amata? Ho allevato un mostro, una serpe una... oddio, meglio che taccia! Rebecca, adesso voglio sapere di più: Giacomo, Tiziano, Eliseo, Diego e Damiano sono stati tutti tue vittime? Li hai sedotti per il puro e sadico piacere di condannarli a morte? Ti prego, dimmi che mi sto sbagliando. Dimmi che Beppe è stato l'unico e isolato errore, dettato dall'attrazione e magari da qualche bicchiere di troppo. Dimmi che mia figlia non ha ordito un piano così diabolico e assurdo!"- implorò Esterina tra le lacrime. Rebecca stava per fare ammissione di colpa, ritenendo che, al punto in cui era arrivata, la verità fosse ormai l'unica scelta. Peggio di così, le cose ormai non avrebbero potuto evolversi.

"Mamma, so che mi reputerai un mostro, che mi rinnegherai come figlia, ma la verità è che..."- stava dicendo la giovane, quando Nadia, irrompendo nella stanza, interruppe il vivace colloquio tra madre e figlia.

"Donna Esterina, signorina Rebecca, perdonate ma... c'è di sotto il dottor Valenti, che chiede di essere ricevuto con la massima urgenza"- annunciò la ragazza.

A quelle parole, Rebecca comprese di essersi sbagliata: le cose potevano andare peggio! Eccome se potevano precipitare.

"Digli che saremo subito da lui! Grazie, Nadia!"- proferì Esterina.

Madre e figlia scesero in salotto. Valenti aveva un'espressione arrabbiata e disgustata.

"Rebecca, è bene che anche vostra madre ascolti quanto sto per dirvi, perché la situazione è della massima gravità!"- esordì subito il medico- "Senza giri di parole: sono arrivati poco fa sulla mia scrivania i risultati delle ultime analisi condotte sulle ragazze che hanno avuto rapporti con i giovani contagiati di sifilide. Tutte negative, anche le ultime tre. E questo, mia cara Rebecca, può significare solo una cosa: siete stata voi! Siete stata voi, scientemente e lucidamente. E dato che non si può certo dire che non conosceste la vostra diagnosi, io mi vedrò costretto ora a fare quanto mi impone la mia condizione non tanto di medico, quanto di cittadino onesto!"

Esterina portò le mani ai capelli, contorcendo la bocca in una espressione indefinibile. In quel momento, un cadavere morto da giorni, avrebbe avuto un colorito meno cereo di quello assunto da Esterina.

"Quanto a voi, signorina Rebecca, credo che vi convenga iniziare a cercare un buon avvocato a cui rivolgervi, sempre ammesso che ne troviate qualcuno disposto ad assumere le vostre difese!"- proseguì Valenti, lanciando una severissima occhiata alla Vicenti.

"Cosa avete intenzione di fare?" - chiese allarmata la giovane, che in realtà, dentro di sé, conosceva alla perfezione la risposta.

"Ve l'ho già spiegato, Rebecca. Intendo fare il mio dovere di cittadino, denunciandovi alle autorità"- rispose deciso Valenti- "Non sono un uomo di legge, ma credo che dobbiate rispondere di accuse molto pesanti, come provocata epidemia e attentato alla salute pubblica. E non vorrei che tra di esse, rientrasse anche quella di omicidio premeditato".

Gli occhi dell'uomo, con fare compassionevole, si posarono poi sulla povera Esterina: "Mi dispiace, non sapete quanto!". Valenti lasciò quindi madre e figlia alle prese con quella conversazione interrotta, che ormai non aveva più ragione di essere ripresa.

Esterina, per diversi minuti restò muta, a fissare la figlia. Voleva che si sentisse un verme, che sprofondasse nelle imparziali sabbie mobili della vergogna. Poi, un urlo, cacciato dalle viscere, con tutta la forza che possedeva: "FUORIIIIIIIIIIIIIIII! Fuori da casa miaaaaaaa!!"

"Mamma... ti prego..."- provò a dire Rebecca tra le lacrime. Ma quelle lacrime, non impietosirono Esterina. Non questa volta. "Non mi hai sentita? Raccogli le tue cose: ti voglio fuori da casa mia"- disse perentoria la donna. Subito, chiamò a sé la domestica: "Nadia! Aiuta mia figlia a preparare le sue valigie!"

"Ma signora... siete sicura che..."- emise la ragazza incredula.

"Nadia, niente domande. Esegui quanto ti ho appena raccomandato!"- la zittì Esterina.

Intanto, a villa Guglielmi, il marchesino Beppe, ancora attonito, fumava affacciato alla finestra della sua stanza, senza riuscire a distogliere il pensiero da Rebecca e dal suo assurdo comportamento. Era deciso: lui l'avrebbe spronata con dolcezza a lasciarsi aiutare, in modo da risolvere quei problemi mentali che forse non era conscia di avere. Sì, il suo amore avrebbe accelerato il suo cammino di guarigione. In fondo, lui aveva avuto modo di vedere la "vera" Rebecca. Una Rebecca che, se ripulita da quelle turbe mentali e dal dolore che le aveva causate, sarebbe divenuta la persona migliore di questo mondo. Il giovane guardò l'orologio: s'erano fatte già le nove, e tra non molto, i genitori con la sua sorellina Gabriella sarebbero stati di ritorno. S'udì il rumore della chiave all'interno della serratura, seguito da quello di piccoli e velocissimi passi. Beppe s'affrettò a scendere, e Gabriellina gli corse incontro festante.

"Fratelloneee! Quanto mi sei mancato!"- esclamò la ragazzina.

Lui la guardò con tenera ammirazione e ricambiò l'abbraccio: "Guardati! Sei quasi una donna ormai!"- "Allora sorellina, immagino tu debba raccontarmi un sacco di cose!"- la incoraggiò poi, chinandosi all'altezza della giovinetta.

"Oh, non c'è molto da dire! La vita in collegio è così noiosa, e le suore sono delle vere arpie, anche se non tutte! Per fortuna, qualcuna di simpatica c'è!"- replicò Gabriella, che si fermò per qualche istante ad osservare l'espressione del fratello.

"Fratellone, e tu? Cosa mi racconti? So che sei felice di vedermi, ma al tempo stesso mi sembri molto triste..."- precisò. Quelle parole sorpresero non poco Beppe: nella sua ingenuità di acuta osservatrice, la sorella aveva colto nel segno.

"Ma no, sciocchina! Certo che non sono triste, cosa vai a pensare! Sono solo stanco perché stanotte non ho riposato molto bene, essendo impaziente di riabbracciarti!"- dissimulò il giovane. La Marchesa frenò l'affettuosità irruenta della figlia, imponendole di iniziare a sistemare le sue cose. Gabriella le ubbidì, e si lasciò accompagnare di sopra dalla domestica. Anche Ginevra si allontanò, dirigendosi verso le cucine, per dare agli altri domestici disposizioni per il pranzo. Beppe e suo padre, Attilio restarono quindi soli in salotto.

"Figliolo, devo ammettere che quanto detto da Gabriella risponde anche per me a verità! Sai, fino a qualche giorno fa ti vedevo su di giri, felice come non mai... ed ora, d'improvviso sei così lugubre. Cosa ti succede? Non ci saranno forse in ballo questioni di cuore?"- chiese il marchese portandosi la mano al petto.

E così, Beppe, che non aveva mai nascosto nulla al genitore, con la consueta sincerità, gli confidò di quella ragazza così strana, dalle due facce tanto diverse e dalla salute mentale instabile, che egli era deciso ad aiutare. La sua determinazione era dovuta al fatto che la parte migliore di lei l'aveva fatto stare bene.

"Figlio mio, tu ormai, sei un uomo e puoi decidere secondo scienza e coscienza. Io, da padre, penso di averti dato sufficienti insegnamenti e direttive per consentirti di non imbatterti in guai seri. E molte donne ne sono portatrici. Ti ho spiegato quali siano gli indicatori di un amore vero e sano. Per contro, non ti ho mai nascosto quanto il fuoco possa far male. Ora sta a te non volerci mettere le mani" -concluse Attilio.

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