La notte frettolosa.

Alla fine, arrivò quella fatidica notte. Una notte che Giacomo Resta avrebbe maledetto per il resto di una vita. Rebecca aveva passato in rassegna tutte le possibili scuse da propinare a madre e nonna, per concludere infine che non ce ne sarebbe stato bisogno. Nessuna scusa: solo l'aiuto della cara, vecchia, noiosa tisana che Esterina e Letizia, da grandi abitudinarie, bevevano ogni sera.

"Nadia, lascia che porti io la tisana alla mamma e alla nonna"- disse Rebecca, sorridendo premurosa alla domestica. Prestando attenzione affinché nessuno la vedesse, versò all'interno di ciascuna tazza una cospicua quantità sonnifero. Avuta conferma che il sonno delle due fosse ormai profondo dismise la camicia da notte per uno dei suoi abiti da sera più eleganti. Si diresse dunque al più vicino albergo, dove l'attendeva il marchesino Resta.

"Rebecca! Sei bella da mozzare il fiato. È davvero valsa la pena di attendere!"- esclamò Giacomo, vedendola arrivare.

"Non ti avevo forse promesso una serata speciale?"- sorrise lei ammiccante.

"Noto però che non hai mantenuto la tua promessa di farmi leggere le tue poesie. Pazienza: vorrà dire che ti rifarai la prossima volta. Intanto, potremmo però ascoltare un po' di musica e ballare!"- propose il giovane indicando il grammofono posto sull'ampio comò in noce.

Rebecca scosse il capo sorridendo: "Mi spiace, ma stasera niente poesia e niente musica, per quanto sia appassionata di entrambe!"- esclamò, e subito iniziò a spogliarsi, lasciando esterrefatto il povero Giacomo. Si avvicinò dunque al giovane, quasi pietrificato, e iniziò a liberarne il corpo dai vestiti. Dal canto suo, Giacomo non tardò a sciogliersi, cogliendo al volo quella succulenta occasione. Nessun uomo avrebbe potuto chiedere di meglio: una donna che gli si offriva, senza che dovesse riempirla di smancerie e di regali, oppure lasciarle i soldi sul cuscino. Tutto successe in fretta quella notte... troppo in fretta! Talmente in fretta, che anche la luna, intenta a spiare dalla finestra per offrire romanticismo e complicità ai due amanti, ne rimase disgustata, e corse a cercare la prima nuvola dietro cui nascondersi. Fu un tripudio di piacere fisico, ma nessun sentimento, nessuna emozione. Una carenza inspiegabile e fastidiosa, persino per uno come Giacomo, che di certo era ben abituato a storie fatte di pochissime notti, talvolta perfino di una sola. Niente baci, forme supreme d'amore, niente carezze fatte con la punta del polpastrello, quelle che provocano piccoli e piacevolissimi brividi. Niente frasi romantiche sussurrate all'orecchio. Solo sesso, il più vuoto e anaffettivo che Giacomo avesse mai sperimentato. Non ci si sentiva mica tanto bene quando a venire usato eri tu.

"Devo andare ora. Grazie per la bellissima serata, Giacomo!"- si congedò Rebecca con terrificante glacialità, dopo essersi rivestita.

"Ma... Rebecca, aspetta! Speravo potessimo dormire assieme!"- disse il marchesino, balzando giù dal letto e avvicinandosi nel tentativo di accarezzarla. La giovane però si ritrasse: "Giacomo, ho detto che devo andare! Stammi bene!"- rispose sprezzante.

"D'accordo ma... ci rivedremo presto, vero?"- domandò speranzoso lui.

"No Giacomo, credo sia meglio di no! E che non ti venga in mente di cercarmi in maniera ossessiva e assillante: non riceveresti risposta alcuna. Di nuovo buona vita!"- lo liquidò Rebecca, e mentre infilava la porta, riuscì a scorgere, con suo grande compiacimento, gli occhi lucidi del marchesino. Le lacrime vere, avrebbe ancora dovuto piangerle! Ah, se le avrebbe piante! Non avendo voglia di rientrare a piedi alle quattro del mattino, Rebecca fermò una di quelle vetture preposte ad accompagnare da una parte all'altra della città chi lo avesse richiesto. Con in mano le scarpe che s'era premurata di sfilare, s'introdusse in casa silenziosa come uno spettro. "Che gran bella dormita! Devo ammettere di non aver mai riposato meglio in vita mia!"- commentò Esterina l'indomani, a colazione.

"Puoi ben dirlo, mia cara! Non vorrei gridare al miracolo, ma pare che il mio lungo periodo in compagnia dell'insonnia sia terminato!"- le fece eco Letizia.

Rebecca se la rideva intanto sotto i baffi, tra uno sbadiglio e l'altro.

Sua madre la fissò con circospezione: "Tesoro, a giudicare dalle occhiaie, quella che pare aver dormito poco e male, sei tu! Ti senti bene? Stai continuando a prendere le medicine che ti ha prescritto Valenti? A proposito: nel pomeriggio dovrebbe tornare a visitarti".

"Mamma, tranquilla: ricordo benissimo che oggi ho la consueta visita. Sto continuando a prendere tutte le medicine prescritte" - rispose la giovane con sufficienza.

Vero le 17:00, il medico giunse presso la dimora per sottoporre Rebecca a una nuova e accurata visita. Opinò che fosse necessario ridurre le dosi di mercurio, che tuttavia la ragazza avrebbe dovuto prendere per una settimana ancora. Il resto lo si sarebbe valutato strada facendo. "Nel frattempo, nonostante siate giovane e bella, devo tornare a supplicarvi di non intrattenervi intimamente con nessuno. La ragione, o meglio le ragioni, le conoscete ormai più che bene"- la avvertì.

"Dottore, mi credete tanto irresponsabile?" - s'imbronciò Rebecca.

"Certo che no, signorina. È solo che quando si è giovani, colti dall'enfasi di un particolare momento, si può far fatica a domare i propri istinti. Ve lo dico perché, se accadesse, non solo provochereste danni che potrebbero rivelarsi irreversibili per il giovane che vi sta a cuore, ma essendo consapevole del vostro male, dovreste poi rispondere penalmente di quanto da voi causato"- spiegò Valenti

"Continuo a non capire perché pensiate che possa sussistere questo rischio. Ad ogni modo, se ben ricordo, mi diceste che la cura sarà molto lunga..." - Rebecca cambiò discorso.

"Purtroppo, sì, signorina, e ve lo ribadisco. Un paio d'anni tra cura intensiva e mesi di sospensione!"- annuì il medico

"Poco male! Avrò così tutto il tempo!"- si lasciò sfuggire la giovane.

"Tutto il tempo per cosa?" - chiese meravigliato Valenti.

"Niente dottore, intendevo tutto il tempo per dedicarmi a progetti e obiettivi che avevo tralasciato" - imbastì Rebecca, cercando di liquidare il Valenti, che non cessava di guardarla con estrema diffidenza.

"Cosa volete che vi dica, signorina? Vi ripeto: siete stata già tanto fortunata. Vi auguro il meglio per ogni vostro progetto. Ci rivediamo tra due settimane"- disse il medico, che sistemandosi meglio gli occhiali sul naso, si congedò da lei. Nei giorni successivi, il povero Giacomo, ancora sconcertato, tentò ogni possibile approccio con la selvaggia Rebecca. Lei però gli si sottrasse ogni volta. Si negò al telefono e lo schivò per strada limitandosi a un laconico: "Non adesso, ho fretta, Giacomo!".

Arrivò il giorno in cui decise di affrontarlo una volta per tutte. "Ascoltami, Giacomo, nessuno di noi due ha da pretendere nulla dall'altro. Abbiamo desiderato stare insieme, abbiamo goduto entrambi di quella piacevolissima notte, ma tutto muore qui, intensi? E poi, tu stesso sostenevi di non volere alcuna relazione seria, lunga e duratura".

Gli occhi del marchesino parvero sul punto di liquefarsi, tanto divennero lucidi: "Rebecca, cosa ne è stato di quella bambina pestifera ma anche capace di sconfinata dolcezza che conobbi un tempo?" - le domandò in punta di voce
"Tanto per cominciare, ritengo che l'altra notte sia stata una prova sufficiente a dimostrarti che ormai hai di fronte una donna. In secondo luogo, credo tu debba rivolgere la domanda a quelli come te!"- si limitò a dire, non badando neppure al fatto che il giovane avesse aperto la bocca per replicare.

Qualche settimana dopo, le previsioni del Valenti circa la salute di Rebecca si avverarono. Apparvero quelle piccole ulcere molli sugli inguini, sulle braccia e sui palmi delle mani. Avevano l'aspetto di piccole ferite aperte, benché fossero indolori. La cosa spaventò non poco la giovane, che iniziò a porsi mille domande. Se il male avesse deciso di abbandonare la forma benigna per aggredire nel modo peggiore? E dire che nel periodo in cui era lei a desiderare di farla finita, l'avrebbe quasi accolta come una grazia.

Le ulcere finalmente scomparvero e Valenti, sulla base degli esami eseguiti, poté assicurare che si era trattato di una "sfuriata del morbo", che tuttavia non avrebbe proseguito il suo avanzare, e non avrebbe arrecato quei seri danni che nella stragrande maggioranza dei casi si rivelavano invece impietosi. Avrebbe solo abitato il corpo della ragazza ancora per diverso tempo, questo sì, ma non avrebbe più fatto la voce grossa. Dai discorsi bisbigliati delle vicine, Rebecca captò una notizia: Beppe Guglielmi sarebbe tornato a giorni in licenza dal servizio di leva. E dire che non sapeva neanche fosse partito! Di certo, ora si spiegava perché non avesse più avuto modo di incontrarlo. Quella tachicardia, al solo pensiero di ritrovarselo di fronte, non era normale, così come non lo era l'indirizzargli tanto di frequente i propri pensieri. Non doveva ricascarci. "Lui non è diverso dagli altri; lui non è diverso dagli altri... lui non è diverso dagli altri!"- era il mantra che Rebecca si ripeteva. Doveva scrivere nuove pagine del libro, non rileggere quelle vecchie.

"Togliti quel ragazzo dagli occhi e dalla mente, Rebecca, o ti ritroverai a ridere di te stessa per esser cascata tre volte sulla medesima e dissestata strada!"- si disse mentre preparava la vasca per un bagno rilassante.

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