L'ospite di lusso
Il dottor Demichele mostrò a Rebecca la sua stanza, collocata al piano di sopra. Pavimento lucido in marmo grigio, un tavolino, un armadietto e un'ampia finestra, situata accanto al letto. Non vi era niente di paragonabile all'oscurità e al lerciume della cella che aveva appena lasciato. Tutto era pulito e luminoso, ma Rebecca non poté fare a meno di fissare quelle catene legate al letto, che avrebbero dovuto essere regolabili a seconda della misura del polso dello sventurato ospite.
Il Demichele provò a rassicurarla: "Oh, di quelle non dovete preoccuparvi. Se vi comporterete bene, le useremo solo nelle ore notturne. Capirete che dobbiamo scongiurare in ogni modo possibili colpi di testa da parte dei pazienti, e soprattutto il rischio che facciano del male a sé stessi o agli altri ospiti della struttura"- le sorrise.
"Dottore, mio padre non teneva in catene neppure il nostro pastore tedesco, che era di notevole stazza, e non sempre affabile coi visitatori che non conosceva!"- rimbeccò la ragazza.
"Signorina Vicenti, in questo posto il direttore sono io, e sono io a dettar legge"- tagliò corto il medico. Stava provando a mostrarsi affabile, disponibile e cordiale, ma sembrava che quella dannata ragazza si stesse impegnando al massimo per fargli perdere le staffe. Tuttavia, Demichele teneva troppo alla sua reputazione e almeno l'impressione di "facciata doveva continuare ad essere quella di un medico che trattasse i suoi pazienti col massimo riguardo. L'uomo chiamò a sé due infermiere. "Valeria e Clementina si prenderanno cura di voi in tutto e per tutto. Per qualsiasi cosa potrete rivolgervi a loro. Vi somministreranno la vostra terapia, puliranno la vostra stanza e verranno ogni sera a controllare che sia tutto in ordine, prima che si spengano le luci!" - spiegò Demichele.
Le due donne, brutte come il peccato, fecero un accenno di riverenza, seguito dal sogghignare inquietante. "Con lei procediamo come da protocollo, vero, dottore? Sedativi in quantità e terapia dell'elettricità?"- domandò una delle due, appena ebbero lasciato Rebecca da sola in stanza.
"No! Non dovete fare nulla che io non abbia ordinato, sono stato chiaro?"- sbottò quasi infastidito il Demichele.
"Ma... è che fino ad ora lo abbiamo sempre fatto con tutti, non capisco perché con lei..."- tentò di dire l'altra infermiera.
"Con lei è diverso! E non voglio ripeterlo: niente iniziative autonome. A meno che non auspichiate un licenziamento in tronco!"- le rimproverò il dottore, sparendo nel suo ufficio alla fine del corridoio.
"Collega, non so voi, ma io voglio divertirmi un po' con la nuova pazzoide aristocratica!"- ghignò Valeria.
"Io vi consiglierei di essere cauta, collega, perché un comportamento fuori dalle righe potrebbe costarci il posto di lavoro"- asserì Clementina.
"Vi ricordo però che lui non è presente 24 ore su 24 qui in clinica. Anzi, solo in rarissime occasioni fa il turno di notte!"- replicò Valeria.
"Fate come credete. Io voglio starne fuori!"- si mostrò ferrea Clementina. Rebecca trascorse l'intero pomeriggio passeggiando su e giù per quella stanza. Esaurite le energie, decise di stendersi sul letto, con le mani incrociate dietro la nuca, come al suo solito. Di tanto in tanto, si sentivano delle urla provenire dalle stanze vicine o dal piano di sotto. La domanda era sempre la medesima: quale trattamento riserveranno a quei poveri sciagurati? Dopo quanto e per quanto tempo toccava subirlo? Anche perché era stranissimo che a lei non l'avessero ancora riservato. Vagando nel labirinto dei pensieri, la sera arrivò in un baleno. Valeria e Clementina spalancarono la porta, senza premurarsi di bussare. Lasciarono il vassoio della cena, attesero che la ragazza mangiasse quel po' che riuscì a mandar giù, e Valeria preparò l'iniezione di sedativo: "Questa ti aiuterà a dormire meglio: una sorta di camomilla per endovena!"- disse in tono freddo, dopo averle fatto segno di scoprire il braccio.
"Mi dispiace, bambolina, ma devi dormire con queste. Come ti avrà già spiegato il dottore, non possiamo passare la notte a controllare ogni singolo paziente. È per evitare spiacevoli inconvenienti"- aggiunse legandole i posi. Rebecca non oppose resistenza alcuna: solo la guardò dritta negli occhi.
"Lo fate con tutti? E se durante la notte qualche paziente stesse male e avesse bisogno di aiuto? Anche se urlasse, chi lo sentirebbe? Chi si occuperebbe di lui?"- chiese soltanto.
"Senti, queste domande devi farle al dottor Demichele. Non è cosa di nostra competenza!"- sbottò Valeria annoiata.
"Come sarebbe a dire? Per cosa vi pagherebbe, dunque? Per sonnecchiare sulle poltrone e giocare a carte tra di voi, invece che per vigilare sui pazienti?"- inveì Rebecca inviperita.
"Qui funziona così, e devi anche ringraziare il Padreterno che ti trovi in questo posto e non in carcere a vita!"- la smorzò Valeria.
"Avrei preferito il carcere a vita!"- bofonchiò a denti stretti la ragazza.
Valeria finse di non aver sentito, mentre la sua collega Clementina assunse un'espressione costernata e intenerita. Stava per regalare una carezza alla Vicenti, ma Valeria la tirò per braccio.
"Andiamo, abbiamo ancora tanti pazienti di cui occuparci "- la redarguì con sguardo feroce. Rebecca rimase così sola in quella stanza, coi polsi legati al letto e con un cuore ancor più immobilizzato. Si augurò soltanto che quel dannatissimo sedativo facesse effetto il prima possibile. Intanto, il pensiero, non poté che essere indirizzato verso l'amato Beppe. Mentre ne immaginava il bel volto, qualcosa ruppe l'idillio. Una voce straziante che continuava a urlare: "Infermieraaa, dottoreee. Dottoreee, infermieraaa, sto male, aiutatemi! Aiutatemi per pietà!".
Avrebbe fatto qualsiasi cosa per accorrere in aiuto di quella sventurata, ma le catene le impedivano di muoversi. Non le restò che infilare la testa sotto al cuscino, per cercare di sentire il meno possibile quei latrati da animale ferito. La voce si faceva sempre più flebile. Quella povera disgraziata si era stancata al punto da esaurire il fiato nei polmoni... oppure... aveva fatto una fine facilmente ipotizzabile. Tornò a concentrarsi su Beppe: provò ad immaginare di averlo lì accanto a lei e la sua presenza la rassicurava. Il sonno l'avvolse, e in quel sonno si manifestò la visione del giovane che giaceva a letto ammalato, e che invocava il suo nome: "Rebecca, perché non vieni da me? Ti aspetto ogni giorno!"
Si svegliò di soprassalto, quando il sole non era ancora sorto del tutto. Col cuore che le batteva all'impazzata, Rebecca ne fu sicura: era la sua energia quella che aveva captato in sogno. Beppe desiderava vederla e la sua accorata richiesta le era arrivata. C'era una sola cosa da fare: parlare a quattr'occhi con il dottor Demichele, e dirgli che aveva solo recitato alla perfezione una parte, su consiglio del suo avvocato. Avrebbe anche fatto chiamare lo stesso Ciliberti, e lo avrebbe costretto a confessare la verità. Avrebbe pregato il medico di dichiararla guarita e di consentirle di tornare dal suo amato, prima che malattia lo consumasse. La porta s'apri e l'infermiera Valeria entrò con vassoio della colazione. Le sciolse i polsi e la guardò con quel solito ghigno sprezzante. Ghigno che le scivolò via dal volto sgraziato, nel constatare l'espressione gioiosa e quasi beata della giovane.
"Siamo allegre come un fringuellino stamani! Mi chiedo come mai, dato che hai di fronte a te un lunghissimo soggiorno in manicomio"- la sfidò l'infermiera.
"Vi disturba che io riesca ad essere allegra? Avrei dovuto già strapparmi i capelli"- rispose la Vicenti.
"A proposito di capelli: tra poco dovrai seguirmi. È ora di dire addio alla tua bella chioma corvina!"- ridacchiò Valeria. Rebecca non le diede retta e mangiò con appetito la frugale colazione.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top