Dove andare?
"E ora? Dove vado?"- si chiese Rebecca, nel trascinarsi dietro la sua valigia, con dentro pochissime cose, ma che appariva pesante, come se contenesse tutte le sue colpe. Bussare alla porta della sua amica Irene e di suo marito Luigi? Sulle prime contemplò anche quell'idea, ma orgogliosa com'era, non le parve il caso di arrecar disturbo. In più, le avrebbero posto una serie di domande a cui non avrebbe avuto la minima voglia di rispondere. Meglio optare per qualche ostello. Fece al volo qualche calcolo: i soldi che era riuscita a portare con sé sarebbero bastati a saldare il conto all'incirca per una quindicina di giorni. Dopo, avrebbe dovuto rimboccarsi le maniche, e guadagnarsi da vivere, mettendo le" mani in pasta", come facevano da sempre le ragazze di umile estrazione sociale. In fondo, la Vicenti non le aveva mai disprezzate, ma al contrario, sempre ammirate per la loro tenacia e il loro spirito di sacrificio. La ragazza però, non aveva calcolato che nel luogo dove di lì a poco avrebbe soggiornato, non avrebbero chiesto alcun conto, o almeno non da pagarsi in moneta. Il cervello le imponeva di dirigersi verso l'ostello, ma le gambe, mosse dal cuore, la fecero giungere nei pressi di Villa Guglielmi. Doveva rivederlo: doveva spiegargli che, se per molto tempo aveva seguitato a respingerlo, era perché stava tentando di proteggerlo; che tante volte era stata sul punto di dirgli la verità e che quella maledetta sera, non era del tutto lucida. Doveva dirgli che era convinta di vivere l'ennesimo sogno in cui, libera da ogni veleno insito nel sangue, si abbandonava tra le sue braccia. Lo avrebbe esortato a fare i controlli, e a iniziare senza esitazione l'opportuno percorso di cure. Forse, si sarebbe potuto salvare. Poi, Beppe sarebbe stato libero di odiarla, ma lei doveva raccontargli la verità per intera. Nel frattempo, un giovane dai capelli biondi e dalle iridi ambrate, con passo affaticato e con la fronte imperlata di sudore, a causa della febbre, andava mostrando a tutti i passanti la copia di una fotografia, chiedendo se sapessero dove rintracciare tal Beppe Guglielmi che vi era ritratto.
"Giovanotto, col marchesino Beppe volete parlare? Guardate, non vi potete sbagliare: è la villa grandissima che troverete andando dritto per circa 200 metri e poi svoltando a sinistra!"- gli disse un'anziana donna, che notando le sue condizioni, non esitò a domandargli: "Giovanotto, ma vi sentite bene? Mica avete una bella cera!"
"Sono solo un po' affaticato perché ho camminato tanto. Non preoccupatevi, signora. Anzi, vi ringrazio per l'informazione!"- replicò in tono gentile Tiziano Palazzi.
Rebecca, nel mentre, inspirò a pieni polmoni, prima di bussare. Venne ad aprire la domestica, Sisina, che accoglieva tutti gli ospiti con un sorriso solare: "Desiderate, signorina?"-
"Avrei urgenza di parlare con il marchesino Beppe, se fosse possibile"- affermò la ragazza con voce tremante.
"Accomodatevi e attendete qui in salotto, vado a chiamarlo"- la invitò Sisina, fissando poi la valigia che la ragazza portava con sé. Rebecca entrò, ma di accomodarsi non ne volle sapere. C'era poco da star comodi, quando avevi il cuore adagiato in una culla di spine. Trascorsero alcuni interminabili minuti, poi, dei passi dal suono inconfondibile: i suoi!
"Rebecca! Sai che avevo in mente di passare da te questa mattina? Sono una persona molto discreta, ma dopo l'altra notte, ritenevo che noi due dovessimo..."- esordì il giovane.
"Che dovessimo parlare"- lo interruppe lei- " Però, Beppe, lascia parlare me, te ne prego. Ti sconvolgerà, e attirerà su di me tutto l'odio di cui sei capace...ma devo dirtelo. In realtà, come rammenterai, ci provai già dopo l'altra notte. Purtroppo, capii di non essere stata presa sul serio. Quando volevo dirti di essere ammalata, mi riferivo a un fiero morbo che non perdona e che..."-
Nel momento cruciale, tre colpi contro l'uscio della porta indussero Rebecca a tacere.
"Devo aprire: chiunque ci sia di fuori, avrà capito che sono in casa. Scusami!"- esclamò Beppe, dirigendosi verso la porta d'ingresso.
"Tiziano?!"- biascicò lei inorridita dalla vista del Palazzi.
"Deduco che voi siate il marchesino Beppe Guglielmi, dico bene?"- esordì il biondino.
"In persona!"- annuì il giovane, che di contro domandò: "E voi sareste?"
"Tiziano Palazzi, ma non occorre che vi spremiate le meningi per ricordare dove ci siamo conosciuti, perché questo è il nostro primo incontro!"- spiegò il ragazzo dagli occhi color dell'ambra, che precisò subito: "Conosco invece molto bene la vostra Rebecca, e sono qui proprio per mettervi in guardia dalla sua malvagità!"
"Ma cosa andate blaterando? Come vi permettete?"- replicò Beppe, indispettito e confuso al tempo stesso.
"Non blatero nulla, affermo solo una verità sacrosanta! Sapete, mio povero Beppe, vi siete scelto una sgualdrina, e neanche una di lusso, ma di basso, bassissimo lignaggio! Sgualdrina e malata di sifilide: ecco chi è Rebecca Vicenti!"-scandì Tiziano quasi urlando.
"C-cosa dite? Voi... voi mentite!"- disse Beppe, pallido e impaurito.
"Oh, mi spiace, amico mio! Deduco che non ne sapeste nulla, fino a questo momento! Non è così? Eppure, ve lo dice uno che è stato raggirato e contagiato da lei. Ecco, guardate!"- Tiziano si avvicinò a Beppe, e sbottonando il rigido colletto e i polsi della camicia, gli mostrò le piccole ulcere, che caratterizzavano i primi stadi del morbo. Il marchesino indietreggiò inorridito. Le ginocchia gli divennero molli come gelatina, e per non cascare disteso sul pavimento, il povero Beppe dovette reggersi con una mano allo stipite e con l'altra alla maniglia della porta.
La disperazione insita nei suoi occhi sbarrati, non fermò però il Palazzi, che continuò: "A giudicare dalla vostra reazione, Beppe, temo che ormai sia troppo tardi, e che sia già accaduto l'irreparabile. Sì, vi spetta lo stesso mio triste destino, e non siamo i soli. Sapete a quanti altri giovani la meretrice ha avvelenato il sangue? Ecco i loro nomi: Diego De Corsi, Eliseo Visconti, Damiano Petrera e Giacomo Resta! Vittime innocenti e inconsapevoli della sua follia, tutti!"
"Giacomo?! Anche lui..."- mormorò Beppe, atterrito nell'udire quel nome.
"Ora conoscete la verità, e spero che questa... questa sottospecie di donna, si senta piccola e insignificante quanto lo è in realtà. Arrivederci, Beppe, non posso che augurarvi che il calvario che vi attende sia il meno doloroso e meno lungo possibile!"- concluse Tiziano, e rivolgendo a Rebecca un'ultima occhiata sprezzante, si congedò.
"Dimmi che quel tizio è un megalomane, che si è inventato tutto. Rebecca, dimmi che è così!"- implorò il Guglielmi con voce rotta dal pianto. Un qualcosa di assai inconsueto per un uomo, le cui lacrime erano considerate segno di grande debolezza.
"No Beppe, purtroppo non mentiva! Lascia però che ti spieghi, te ne prego. Io non ero lucida la scorsa notte, e il vino, che da un po' di tempo avevo considerato la mia ancora, di salvezza, mi aveva indotta a credere che l'essere tra le tue braccia non fosse altro che un sogno, una proiezione di quello che avrei voluto accadesse! Avevo ordito un piano ineccepibile, per riscuotere la mia vendetta sul genere maschile. No, non mi era importato nulla di chi potesse andarci di mezzo, perché dopo Andrea e Giulio, consideravo voi uomini alla stregua di mostri egoisti, di nullità. Poi... poi sei arrivato tu, che mi hai sconvolto la vita e mi hai dimostrato che l'amore esiste. Sei diventato l'oggetto di un sentimento che fino a poco tempo fa non conoscevo!"
Con scatto deciso, Beppe balzò in piedi, abbandonando il divano su cui si era lasciato sprofondare, e si diresse verso la giovane. Le puntò l'indice a pochi centimetri dal naso: "Tu dici di amarmi? E cosa saresti stata capace di farmi se invece mi avessi odiato, eh?"
"Beppe, non lo capisci che se mi sono sempre sottratta alle tue effusioni è stato solo per proteggerti? Per questo continuavo a rimandare e a rimandare ancora! L'altra sera poi... quel dannato vino mi ha spento i lumi. Ragionaci, e ripensa al mio volto, il mattino dopo. Ti pare che avrei avuto una simile espressione e che mi sarei comportata come una persona terrorizzata?"- tentò di spiegargli lei.
"Dannazione!!"- Beppe batté con rabbia un pugno contro la porta che collegava il salotto alla sala da pranzo- "Avresti dovuto dirmelo dapprincipio! Questo avresti dovuto fare, nient'altro! Io avrei compreso, non ti avrei giudicata, anzi, guarda un po', ti avrei anche aspettata! Avrei aspettato che tu fossi del tutto guarita per poter condividere anche una unione fisica. Il mio cuore, però, avrebbe continuato a essere tuo. Ti sarei rimasto accanto, avremmo affrontato insieme tutto. Ma tu no, hai dovuto mentire. Per quante volte hai avuto la possibilità di rivelarmi la verità, Rebecca? Per quante maledette volte? Rispondimi!"- continuò a pretendere il Guglielmi, urlando con quanto fiato aveva nei polmoni.
"Per tante, per troppe volte, questo è innegabile. Ma ogni volta, ogni stramaledetta volta, accadeva qualcosa che mi induceva a desistere. Ti avevo lì, di fronte a me, che ti preoccupavi perché mi vedevi inquieta, che mi stringevi... e sapevo di aver trovato qualcosa di inestimabile. Qualcosa che non volevo perdere. E dirti la verità, avrebbe comportato proprio questo: la perdita definitiva della cosa più importante e bella che mi fosse capitata in vita mia!"- provò a spiegare la giovane.
"Adesso sì! Adesso sì che mi hai perso... e definitivamente!"- sentenziò Beppe additando a Rebecca la porta d'uscita.
"Non temere, vado via. Spero che quella notte non sia bastata a distruggere la tua vita. Fa subito gli esami, e se necessario, inizia le cure"- gli disse la ragazza, con lo sguardo puntato sul pavimento.
"Tanto perché tu lo sappia, la mia vita ormai è distrutta, che sia avvenuto o meno il contagio. Non si muore solo fisicamente, e Rebecca, moralmente tu m'hai già ucciso!"- le vomitò urlò il giovane, traboccante di rabbia.
"Addio, Beppe"- lo salutò lei, prima di scoppiare in un nuovo pianto irrefrenabile. Non le fece paura varcare per l'ultima volta la soglia della sua casa, ma guadagnare la definitiva uscita dal suo cuore, quello sì che le lacerò l'anima.
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