Confronti, scontri... e responsabilità

Rocco Ciliberti apparve con un'espressione ancor più scura del soprabito che indossava.

"Fabrizio, sono corso appena ho potuto! La tua telefonata mi ha fatto stare in ansia"- esordì.

Le iridi cerulee si spostarono poi su Rebecca: "Non ne avrete combinata una delle vostre? Coraggio, prima me ne metterete al corrente, prima troveremo una soluzione!"

"Rocco, anzitutto ti invito a calmarti e a sederti!"- tentò di placarlo il dottor Demichele, facendogli segno con la mano. Una volta che l'avvocato ebbe preso posto con la schiena ben dritta sulla sedia, il medico continuò: "Sei sicuro che non ti sovvenga altro motivo, legato alla tua convocazione nel mio studio? Pensaci!"

Solo in quell'istante, Ciliberti comprese che il Demichele aveva "fiutato l'inganno". Nulla, tuttavia, tradì la sua espressione seria e composta.

"Diteglielo, avvocato: dite al vostro amico che mi avete consigliato di farmi passare per matta, in modo da vincere la causa e incassare dei bei soldoni!"- sbraitò Rebecca, andando dritta al sodo.

"Avrei voluto essere io ad esporti la situazione, ma dal momento che la tua cliente mi ha preceduto, con una straordinaria capacità di sintesi, non mi resta che chiederti diretta conferma"- aggiunse il medico.

Lo sguardo di Ciliberti si abbassò verso il pavimento. Stava racimolando il coraggio di dire la verità. Continuare a mentire sarebbe stato controproducente. Non era rimasto nessun appiglio a favorire un'ulteriore "arrampicata".

"Rocco? Ti chiedo per l'ennesima volta se ci sia niente che tu voglia, anzi debba dirmi!"- s'irritò Demichele.

"La ragazza asserisce il vero!"- disse d'un fiato l'avvocato.

L'amico lo fissò a mascella spalancata.

Ciliberti continuò: "Non soffre di alcun disordine mentale, ma una diagnosi che attestasse il contrario, mi serviva come unica chiave per vincere una causa impossibile, e tirarla fuori di prigione. Mea culpa! È stata una mossa molto avventata"- ammise.

Il Demichele non ci vide più. Batté un pugno sulla scrivania e scattò verso l'avvocato, prendendolo per il bavero. "Una mossa avventata? Vorrai dire stupida! Santo Iddio, Rocco, ti sei comportato da pezzo di merda!"- gli urlò.

Ciliberti faticava a respirare, e cercò di portare le sue verso le mani del medico, che gli stringevano il collo. Demichele capì che la forza di quella presa stava diventando pericolosa, e lo lasciò di scatto, spingendolo sulla sedia.

"Lo so, lo so Fabrizio, e tu non meritavi di essere..."- provò a dire con voce roca l'avvocato.

"Di essere raggirato! Raggirato è il termine esatto!"- completò Demichele. Facendo uno sforzo enorme, provò a calmarsi sedendosi sulla poltrona, dietro l'elegante scrivania intarsiata.

"Credevi che non mi sarei accorto che la ragazza fosse perfettamente sana? E soprattutto, hai davvero ritenuto che i giudici, una volta che Rebecca fosse stata dichiarata matta, l'avrebbero rispedita a casa? "- continuava a urlare il Demichele.

"Lungi da me dubitare della tua professionalità. Ho ritenuto che qui nella tua struttura, sarebbe stata più al sicuro che in carcere, e soprattutto trattata in maniera più umana. L'avresti in breve tempo dichiarata guarita, e avrebbe potuto tornarsene dal suo amato"- spiegò Ciliberti

"Oh, ma certo, come no! Sarebbe stato tutto di una semplicità estrema! La paziente esce, e sia i giudici che la gente credono che sia guarita in quattro e quattr'otto da una patologia di quelle che durano anni, se non addirittura tutta la vita!"- ringhiò il medico.

Prima che l'avvocato potesse rispondere, Rebecca intervenne: "Piantatela di battibeccare tra di voi come gatto e topo! Vi state dimenticando che la vittima principale sono io? È del mio futuro che state decidendo! Adesso dovete farmi uscire di qui!"

L'avvocato stava per aprir bocca e rispondere alla giovane, ma s'intromise il Demichele: "Signorina, adesso le decisioni non spettano più solo al vostro avvocato, ma anche a me. Io posso promettervi che vi terrò qui come un'ospite, e non come una paziente. Non dovrete prendere farmaci, non sarete più legata al letto e potrete anche darmi una mano con gli altri pazienti, se lo desidererete. Di uscire, almeno per adesso, non se ne parla. Mi dispiace"

"Cosa? Dottore, ora la verità la conoscete: non potete più tenermi qui!"- s'impuntò la ragazza.

"Vi ho già spiegato che l'alternativa a questo posto sarebbe tornare in carcere. E se qui sareste trattata d'ora in poi con tutti i riguardi, la realtà di una cella l'avete già sperimentata"- le fece presente il medico.

"Io avrei preferito di gran lunga il carcere, considerato ciò che ho dovuto patire qui. Chi mi garantisce che un'altra vostra infermiera squilibrata non mi riservi lo stesso trattamento?"- Rebecca non ebbe timore alcuno nell'alzare la voce, anche a cospetto di un medico e di un avvocato.

"Io! Garantisco io sul fatto che non accada più nulla di simile. Ma ora, per cortesia, calmatevi!"- la invitò il Demichele.

"No che non mi calmo! Non mi calmo per nulla! Lo capite che non ho tutto questo tempo? Forse, alcuni dei giovani che ho contagiato hanno esalato l'ultimo respiro! Ah, ma cosa potete saperne!"- proruppe la giovane.

Il medico apparve costernato e mortificato, ma era inevitabile che, per quanto Rebecca gli fosse entrata nel cuore, tenesse alla sua professione e alla sua reputazione più che a quella giovinetta appena conosciuta. "Sentite, Rebecca, una quadra la troveremo, d'accordo? Non so, potremmo far recapitare una lettera a questo giovane così caro al vostro cuore, e lo faremmo attraverso una persona di vostra fiducia. In questo modo eviteremo che la famiglia possa cestinarla, una volta intercettata. Che ne dite?"- le propose.

"No! No, dottore! Per lettera non avrebbe alcun senso. Tutte le parole del mondo non varrebbero neanche la centesima parte di uno sguardo o di una carezza!"- insisté Rebecca.

"Ascoltatemi, non lasciatevi sopraffare dalla fretta e dall'impulsività: danno sempre pessimi consigli. Io vi sto dando tutta le disponibilità che la mia professione mi consente. Prendetevi del tempo per pensarci, e quando avrete preso una decisione, venite pure qui nel mio studio: ne discuteremo assieme. Altro non posso dirvi!"- concluse il medico.

"Nah, al diavolo! E io che avevo pensato di potermi fidare almeno di voi, di poter contare sul vostro appoggio. Che sciocca! Avrei dovuto sapere che sarebbe finito tutto in questo modo!"- sbottò la ragazza, voltando le spalle sia al Demichele che al Ciliberti.

"Complimenti vivissimi, Rocco!" - disse il medico, rivolto all'amico Ciliberti.

"Meglio che me ne torni a casa!"- sbuffò l'avvocato a quel punto

Nel guadagnare la porta, si sentì però afferrare per braccio: "Eh no! Ti piacerebbe, amico mio. Ma tu, a casa non ci torni. Resti qui seduto assieme a me: spremiamo le meningi e cerchiamo di trovare una soluzione per questa pover'anima in pena. Dovessimo restar qui un buon numero di giorni e di notti!"- sentenziò in tono severo Demichele.

L'avvocato sbuffò con tutto il fiato che riuscì a tirar fuori dai polmoni, ed imprecò in punta di lingua. Seguì un interminabile silenzio.

Intanto, quello che Rebecca non sapeva, poiché non le era consentito leggere i giornali, era che Giacomo Resta, Eliseo Verardi, Diego De Corsi e Tiziano Palazzi erano stati sepolti a pochissimi giorni di distanza. Non lo sapeva, eppure era come se l'avesse "avvertito".

Al marchesino Giacomo, l'infezione luetica aveva regalato una meningite, che l'aveva ucciso in poche ore. Per il giovane Verardi era sopraggiunta una pancreatite e per il De Corsi un'aortite sifilitica. Tiziano Palazzi invece, s'era suicidato. Lo inorridiva l'idea di andare incontro a sofferenze ancor più indicibili, e s'uccise prima che lo uccidesse la malattia. Al paesino, le campane a morto, avevano suonato ininterrottamente: un giorno sì e l'altro pure. Il povero Don Anastasio Acquaroli non sapeva più quali parole trovare per offrire cristiano conforto a quelle famiglie che ormai credevano solo alla rabbia cieca e al dolore sordo. Perfino il desiderio di vendetta s'era placato, e aveva smesso di ruggire nelle loro anime. Di tutti i giovani contagiati, solo Damiano Petrera e Beppe Guglielmi continuavano la loro lotta contro il morbo. La famiglia del povero Damiano aveva dovuto rinunciare a più di un pasto per garantire al figliolo le cure che gli avrebbero consentito non certo di guarire, ma almeno di soffrire il meno possibile. Le altre famiglie, tutte abbienti, mosse a compassione, avevano deciso di far colletta per quel giovanotto più sfortunato. Era strano, ma a volte la sofferenza si rivelava un potentissimo collante. La mezzanotte era scoccata da un pezzo: Fabrizio Demichele e Rocco Ciliberti discutevano ancora animatamente. Avevano passato in rassegna mille e più idee, alcune bocciate di primo acchito, altre scartate a una seconda disanima. Solo Rebecca, beata lei, dormiva. Il fuoco della rabbia s'era trasformato in cenere di stanchezza. Aveva deciso di spegnere la mente e di rimandare a domani qualsiasi decisione.

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