Addio, corvina chioma.
Valeria la agguantò per il polso prima che finisse: "Avanti, vieni con me in infermeria!"
"Non c'è bisogno di spingere come se fossi un mulo da traino!"- borbottò la ragazza.
L'infermiera la fece "accomodare" su una sedia e prese un paio di grosse forbici arrugginite.
"Saluta pure i tuoi bei capelli ondulati, signorina!"- disse ridendo soddisfatta.
"Non v'azzardate a toccare i miei capelli, strega!"- s'oppose la giovane.
Ma l'altra la legò alla sedia con più giri di una spessa corda. Iniziò quindi a sforbiciare a più non posso, con una ferocia frenetica e inarrestabile. Le ciocche corvine tappezzarono il pavimento marmoreo. Più che tagliati, i capelli della giovane parevano essere stati strappati nel peggiore dei modi. All'infermiera non bastò però quella soddisfazione. Prese uno specchio e indusse Rebecca a guardare la sua nuova immagine, deturpata in ciò che aveva sempre considerato emblema della sua femminilità.
"Guardati: così sei molto più carina! E poi, tra un po' arriverà il caldo primaverile, ti ci voleva un taglio più fresco e sbarazzino!"
"Stregaccia lurida, ti odio!"- disse a denti serrati e tra le lacrime la ragazza.
"Suvvia, i capelli ricresceranno. Per sottoporti alla terapia dell'elettricità, era però necessario tagliarli"- replicò Valeria, con l'aria di chi volesse offrire un incoraggiamento finto.
"Come terapia dell'elettricità?!"- biascicò la Vicenti, allibita.
"Non dirmi che non ne hai mai sentito parlare! È ciò che viene chiamato "elettroshock" e serve per tentare di ripristinare le rotelle che mancano, o che si sono inceppate"- spiegò Valeria.
"Non credo che nel mio caso sia necessario. Il dottor Demichele ha detto che io ero una delle pazienti meno..."- provò ad argomentare Rebecca.
"Il dottor Demichele dice a tutti i pazienti che la loro situazione non è tra le più gravi. Ma lo fa per tranquillizzarli. In realtà, ha predisposto lui che anche nel tuo caso ci si attenesse alla suddetta terapia"- le spiegò Valeria, mentendo.
Rebecca decise che sarebbe stato meglio non far resistenza, e porre fine quanto prima a quella pagliacciata, piuttosto che farsi pestare chissà quanto a lungo. Valeria la fece stendere su un lettino. Le legò polsi e caviglie, e le fece indossare il casco metallico collegato a degli elettrodi.
"Non devi preoccuparti, tesoro. Il tutto non durerà che pochi istanti!"- Si recò poi presso l'imponente macchinario e ne azionò alcune leve.
A Rebecca parve che le centinaia di spilli arroventati le trafiggessero prima il cervello, poi l'intero corpo, che nonostante le cinghie, fu attaccato da movimenti convulsi, indipendenti dalla sua volontà. Non riuscì neanche ad urlare. Quando Valeria ebbe finito, Rebecca non seppe più come si chiamasse e dove fosse. Non seppe più neanche se fosse viva o già morta. Avrebbe di certo preferito la seconda opzione. Mentre giaceva su quel lettino, in stato di semi coscienza, Clementina irruppe nella stanza.
"Valeria sta arrivando il..."- si arrestò interdetta.
"Ma cosa... cosa avete fatto? Santissimi numi!"- proseguì dopo alcuni istanti.
"Sta arrivando chi?!"- la esortò Valeria.
"Credo proprio che la vostra collega alludesse a me, signorina Valeria"- esordì una voce maschile.
"D- dottor Demichele..."- balbettò spaventata lei.
Il medico si fermò qualche istante a fissare la povera Rebecca in quell'orrendo stato.
"Che diavolo le avete fatto!"- ruggì.
"Dottore, vi giuro che non volevo..."- tornò a biascicare Valeria.
Demichele fu intransigente: "Vi ho chiesto che diavolo le avete fatto! Rispondete, dannazione!"
"Stavo solo applicando il protocollo che usiamo con tutti i pazienti, non pensavo vi sarebbe dispiaciuto!"- si giustificò lei.
"Non vi avevo forse detto di NON FARE NIENTE senza il mio consenso? Di aspettare le mie direttive e di attenervi ad esse? Non vi avevo detto che con lei occorreva aspettare, perché avrei dovuto fare delle personali valutazioni del caso?"- le urlò lui a pochi millimetri dal volto.
"Io... devo averlo dimenticato, dottore. Vi... vi chiedo scusa!"- sussurrò lei in tono quasi impercettibile.
"Dimenticato, dite? Ora vi farò capire quanto possano costar care certe dimenticanze! Siete licenziata!"- annunciò Demichele.
"Dottore... vi prego! Vi assicuro che non accadrà mai più!"- giurò l'infermiera.
"Il fatto che sia già accaduto una volta è anche troppo. Fuori dalla mia clinica!"- tuonò il direttore sanitario.
Valeria esitò, restando immobile a fissare il pavimento.
"Non mi avete sentito? Sparite i dalla mia vista e dalla mia struttura!"- le sue urla fecero tremare le mura.
A Valeria non restò che fare fagotto e lasciare l'ospedale. Il dottore si rivolse a Clementina, paralizzata dalla paura: "Ditemi che non c'entrate anche voi con questo orrendo piano delinquenziale, e siate sincera!"
"No, no dottore, ve lo giuro. Valeria aveva chiesto la mia collaborazione ma io ho sempre rifiutato. Potete constatare da voi quanto mi abbia lasciata sgomenta vedere sino a che punto si è spinta!"- replicò quella.
"Va bene, Clementina. In fondo conosco la vostra lealtà. Quindi voglio credervi- accondiscese lui- "Aiutatemi a occuparmi di questa povera creatura: riportiamola in stanza!"- le chiese poi.
Clementina annuì, e insieme riuscirono a ad adagiare Rebecca sul suo letto.
"Mi sentite?"- ripeté il Demichele, schioccando per tre volte le dita di fronte al volto della giovane. "Rebecca, coraggio, parlatemi!"- provò ad insistere. Dalla ragazza nessun segnale: muta, con le labbra semiaperte e gli occhi spalancati, quasi come se fossero appena fuoriusciti dalle orbite.
"Dottore, e ora cosa facciamo?"- trovò la forza di dire l'infermiera.
"Non possiamo fare niente, solo sperare che si riprenda quanto prima".
Dopo tre quarti d'ora abbondanti, quel velo di alienazione parve abbandonare gli occhi di Rebecca, che tornò quasi del tutto presente a sé stessa. Mugugnò e si portò entrambe le mani alle tempie. Fu palese la sua fatica nel provare a parlare: "Che male atroce! D-dove mi trovo, e perché? Cosa è accaduto?"- domandò. Si guardò poi attorno spaesata, fino a quando le sue iridi scure si soffermarono sull'uomo col camice bianco che le stava di fronte.
"Rebecca, vi ricordate di me? Sono il dottor Demichele e siete nella mia clinica"- rispose il medico. Non seppe però nascondere un terribile imbarazzo nel dover rispondere all'ultima domanda della Vicenti.
"Rebecca, è accaduto che non vi siete sentita bene e.... dovete aver perso i sensi. Ma non preoccupatevi, ora vi farò dare da Clementina qualcosa che attenui il vostro mal di testa. Intanto, sarebbe meglio che restaste distesa a letto e provaste a riposare"- le disse. La giovane non avrebbe comunque avuto la forza di muovere un singolo passo, quindi restò lì, coprendosi gli occhi con il lenzuolo, come se la luce le provocasse un immenso fastidio agli occhi. Clementina le si avvicinò con un bicchiere: "Bevete, signorina: vi aiuterà a debellare il mal di testa!".
Rebecca mandò giù senza porsi domande: tutto ciò che desiderava era che quel dolore lancinante passasse al più presto.
"Coraggio, lasciamo riposare la signorina Rebecca"- disse il Demichele invitando anche l'infermiera a uscire dalla stanza.
Quando furono soli in corridoio, il dottore precisò: "In teoria, pur riacquistando la memoria, non dovrebbe ricordare nulla dell'elettroshock. Dovrebbe restarle un "buco temporale!". Se dovesse presentarsi qualcuno per vederla, inventatevi una qualsiasi scusa plausibile. Intesi?"- si raccomandò Demichele.
"Sì, dottore!"- annuì Clementina, che solo allora iniziò a riacquistare colore.
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