Di Maria Vittoria Nizzardo
Aveva un modo indimenticabile di guardarti negli occhi, un modo sfacciato e ingenuo che quasi nessuno riusciva a sostenere per più di pochi secondi. Tutti lo chiamavano "Il piccolo principe", vuoi per il nido di capelli biondi e scarmigliati che aveva sulla testa, vuoi per la sciarpa gialla che portava sempre al collo anche d'estate o per il suo carattere misterioso e meraviglioso allo stesso tempo. C'era chi ipotizzava che fosse stato cresciuto male, chi mormorava fosse un po' matto, e poi c'erano i pochi che lo conoscevano e che ridevano per la falsità delle voci. Intanto quel bambino - così piccolo di statura ma così grande e buono d'animo - sognava ad occhi aperti, rivolgendo il tondo viso e il naso un po' all'insù verso il cielo e cercando di dare una forma alle nuvole. E tutti quanti rimanevano a fissarlo attoniti, tentando invano di guardargli dentro.
Arion, questo era il suo nome. Viveva insieme alla sua famiglia in una cittadina senza nome, che per comodità chiamerò Città.
Arion era spesso infastidito dagli abitanti di Città. Si chiedeva il perché lo fissassero sempre in quel modo assurdo, il perché parlassero alle sue spalle e il perché non potessero semplicemente lasciargli passare del tempo con il suo migliore amico. A discapito di tutto quello che si diceva in giro riguardo a lui infatti, Arion un amico lo aveva. Insieme loro due facevano un mucchio di cose: chiacchieravano, leggevano storie e si stendevano sul prato verde e profumato a guardare le nuvole.
Il suo amico era molto conosciuto a Città, ma tutti quanti si rifiutavano di credere nella sua esistenza. Lo definivano "una fantasia bambinesca" e "un effetto della solitudine". Tutte stupidaggini, insomma.
«Arion! Arion, la cena è pronta! Sbrigati o mamma si arrabbierà!» il fratello maggiore del bambino fece capolino dalla porta bianca che si affacciava sul giardino di casa Träumer.
Si faceva chiamare semplicemente Theo perché odiava il suo nome completo (che non rivelerò non ritenendolo un dettaglio significativo per questa storia). Arion e Theo erano praticamente identici: avevano lo stesso viso, gli stessi occhi verdi e lucenti e persino lo stesso piccolo neo vicino al naso. Theo sfoggiava degli ordinati capelli castani, ma la vera differenza tra loro era che suo fratello non credeva nell'esistenza dell'amico. Come del resto ogni abitante lì a Città.
Nel cuore del giovane Arion aveva sempre alloggiato un grande desiderio, ovvero quello di far avvicinare il suo compagno di avventure a Theo. Ogni volta che ci provava però, il maggiore dei Träumer si rifiutava di ascoltarlo. Diceva cose come "Sono grande ormai" oppure "Basta Arion, lui non esiste e tu dovresti rendertene conto". A ogni sua affermazione la fiamma nel cuore del bambino perdeva un po' della sua luce e le speranze che aveva coltivato appassivano piano piano, come rose gettate via. Se solo Theo avesse saputo quanto poco bastava...
«Arriviamo!» Arion si alzò dall'erba, prese la sua sciarpa gialla e salì gli scalini di legno più velocemente di una scheggia.
«Quando la smetterai di parlare al plurale, fratellino?»
«Perché dovrei smetterla se Lui è qui?» chiese il bambino, fissando un punto vicino a sé. «Abbiamo visto le nuvole insieme, oggi. Ce n'era una a forma di squalo e una a forma di treno. Lui invece ne ha trovata una enorme a forma di pesce palla.»
Il fratello di Arion non disse nulla, ma si limitò a trarre sospirare.
«Credo che dovresti conoscerlo prima di giudicarlo, Theo...»
«Ne abbiamo già discusso abbastanza, Arion, e lo sai benissimo anche tu. Non posso conoscere una persona che non esiste e per quanto tu possa sforzarti di chiedermelo la mia risposta sarà sempre e solo no» gli rispose suo fratello, in tono secco e freddo «Ora andiamo, altrimenti papà e mamma si chiederanno che fine abbiamo fatto».
Dopo questa affermazione i Träumer chiusero la discussione. Il piccolo principe si trascinò a forza dentro casa, guardando il suo amico. Fissò poi il pavimento di legno, trattenendo una piccola lacrima ribelle che bramava di scendere, come faceva sempre.
Quella sera, prima di andare a dormire, Arion parlò col suo amico. Ormai quelle chiacchierate erano diventate un'abitudine per loro, e nessuno dei due aveva intenzione di stravolgere la routine.
«Mi dispiace amico...so quanto ci rimani male ogni volta che Theo dice "quella cosa"».
La tenda della piccola e buia stanza di Arion si mosse leggermente e una folata di venticello gelido pizzicò le dita dei piedini del bambino. I piedi erano l'unica parte del corpo che Arion non copriva mai. Adorava provare un piccolo brivido ogni tanto, soprattutto quando stava per arrivare l'inverno e i tetti di Città cominciavano a ghiacciarsi, inchinandosi al passaggio del grande freddo. Altra cosa che il piccolo principe non faceva mai era chiudere le tende, perchè al suo amico piaceva guardare la luna ogni sera. Col passare delle settimane i due si erano accorti che la grossa palla luminosa cresceva e poi inspiegabilmente tornava piccola. Mamma e papà avevano spiegato al piccolo Arion che l'astro possedeva una cosa chiamata "ciclo lunare", ma lui e il suo amico non ci credevano. Per loro la luna era qualcosa di magico, e quando cresceva voleva dire che aveva mangiato troppo a cena. Era per questo che decideva sempre di dimagrire fino a diventare sottilissima.
La conversazione tra i due si interruppe per un po', fino a che l'amico non rivolse ad Arion una domanda inaspettata.
«Chi, Theo? Non è così male, anzi, è una brava persona ed è anche mio fratello. Se solo ci fosse un modo per farlo ragionare...dico che vi trovereste bene, insieme.»
Ci fu una pausa in cui nessuno dei due osò proferire parola. Improvvisamente una lampadina si accese nel cervellino di Arion, il quale alzò la testa dal suo cuscino.
«Forse ho un'idea! Amico, ho un'idea!» esclamò, guardando storto il suo compagno di giochi «Il mio compleanno, sciocchino. È tra qualche settimana. Se chiedessi a Theo di credere in te almeno per un giorno, come regalo, lui non rifiuterebbe di sicuro. In famiglia la tradizione dei regali di compleanno è molto sentita. Theo si sentirebbe in dovere di rispettare la mia richiesta e a quel punto ce l'avremo fatta! Diventeremo finalmente un trio!» si sorrisero, soddisfatti del loro piano. Si diedero la buonanotte e Arion strisciò sotto le coperte abbandonandosi tra le braccia di Morfeo, come faceva sempre.
Le settimane trascorsero e ad uno ad uno i giorni volarono via, trasportati dalla brezza invernale.
Per un lungo periodo di tempo, Arion non assillò più suo fratello con la storia dell'amico. Ciò alimentò i sospetti nel maggiore dei Träumer. Arion aveva finalmente capito che era tutto frutto della sua immaginazione? Si era forse rassegnato? Chi lo sapeva.
Il giorno del suo compleanno Arion si svegliò di buon mattino. Lui e il suo amico scartarono i regali sotto gli occhi di sua madre e suo padre, i quali poi partirono alla ricerca di una torta di compleanno, lasciando soli i due fratelli.
«Non mi hai ancora detto cosa desideri come regalo, Arion» esordì Theo.
«Io non voglio nulla».
«Aspetta, cosa? In che senso nulla?»
«Nulla di materiale» rispose Arion con sicurezza «Voglio solo che tu creda nell'amico per un giorno. Sarà questo il mio regalo».
Il ragazzo rimase spiazzato dalla richiesta, mentre suo fratello minore sorrise trionfante. Senza scelta (la tradizione andava rispettata), Theo fu costretto a dire «Va bene, Arion. Conoscerò il tuo amico. Presentamelo, avanti».
Arion guardò prima il fratello maggiore e poi l'amico, sorridendo a trentadue denti.
«Amico mio, lui è Theo. Theo, lui è il mio amico»
Ci fu un lungo silenzio. Theo stava per andarsene ma Arion lo fermò, supplicandolo con lo sguardo.
«Devi solo crederci davvero. Non hai nemmeno provato...ti assicuro che è facile!»
Theo raccolse tutte le sue forze e si convinse a credere davvero, per la prima volta, all'esistenza dell'amico.
D'improvviso, come se quella fiducia fosse stata un incantesimo, gli occhi del ragazzo videro l'inimmaginabile. Un altro bambino della stessa età di Arion stava in piedi di fronte a lui. Allora bastava solo crederci davvero...
In quel momento il bambino sorrise e tese la mano a Theo, in un gesto di amicizia.
«Piacere, Theo. Ho desiderato conoscerti per tanto tempo, sai?» disse, con voce flebile e dolce, angelica e quasi surreale.
Ci volle un po' perché Theo si abituasse alla presenza dell'amico, ma col passare del tempo i due scoprirono di non essere poi così diversi tra loro. Fu una mattinata perfetta per Arion, in cui finalmente poté condividere momenti di gioia con entrambe le sue persone preferite. Come non aveva mai fatto prima.
E ALLA FINE BASTAVA SOLAMENTE CREDERCI DAVVERO.
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