Prologo

Presente

La pioggia assillante sembra reclamare a gran voce la mia attenzione, quasi a voler squarciare quel velo di apatia che ho innalzato intorno alla mia anima; mi invoglia a liberare il mare burrascoso di lacrime che reprimo ormai da troppo tempo.
Fisso ancora la parete. Non riesco a staccare lo sguardo da questo muro che, prima di oggi, era completamente vuoto come la mia esistenza.
Mai avrei creduto nella vita di poter provare ancora una volta un simile dolore, un taglio nel petto bruciante di vergogna.

Una lacrima silente sfugge al mio controllo e corre timida sulla pelle arida. Non è possibile che tutto questo stia davvero accadendo, non dopo tutto il lavoro fatto per costruirmi una nuova vita. Il controllo è da anni il mio pregio più grande, eppure, ora che tutto è andato in frantumi, non riesco a comprendere come ogni emozione mi sia sfuggita di mano; come hanno potuto le mie stesse debolezze incastrarmi in questa situazione distruttiva?

In cosa ci ha trasformati la vita? Siamo la versione peggiore di ciò che saremmo potuti essere!
Amore, altruismo, sincerità… nulla ha più senso.

Abbandonato inerme sul parquet lucido, c’è l’unico testimone rimasto a osservare il mio crollo inespressivo quanto rovinoso. Lo recupero con la mano sinistra e permetto alla morbidezza del velluto scuro di scusarsi per ciò che celava.
Continuo a rigirare tra le dita il telo, tentando invano di cancellare le vibrazioni causate dal contatto con la superfice ruvida e fredda dell’oggetto che nascondeva.
Se la pelle ha quasi rimosso la spiacevole sensazione, gli organi proseguono nel loro lacerante tormento, privandomi di battiti e ossigeno.

La vita non mi è mai sembrata così inutile come in questo momento.
L’apparente solitudine che mi illudevo di aver portato nella mia quotidianità, in realtà, era accompagnata da persone che colmavano i miei vuoti, persone che ora ho perso, una dopo l’altra, allontanate da ciò che sono.
Tornare indietro è impossibile, ho causato troppo dolore, ho fatto troppi errori, proprio come i suoi.

Ho creduto di poter ricominciare, di poter costruire un’esistenza perlomeno accettabile su fondamenta di bugie e silenzi; ho miseramente fallito!

Il passato ritorna, sempre.
I segreti non possono essere eclissati o soffocati da discorsi sviati, prima o dopo ritornano e scuotono acque dalle sembianze calme. La vita ti consegna sempre il conto; ora è il mio turno.

Chiudo gli occhi, cercando invano un sollievo che so per certo non arriverà.
Tutti i miei incubi più grandi si sono materializzati con l’irruenza di un tornado e, pezzo dopo pezzo, hanno spazzato via la falsa tranquillità che avevo creato.

Ormai non posso fare niente, non mi resta che accettare gli eventi e abbandonarmi alle torture dei rimorsi.

Esco da questa casa che ha perduto il suo scopo originale, chiudendo in essa sogni e speranze che non mi sono mai appartenuti per davvero.
Quanto vorrei che la pioggia potesse lavare i miei peccati, forse neanche tutta l’acqua d’America basterebbe. Ottengo solo indumenti pesanti e fradici che gravano sulla coscienza tormentata dal rimorso e dalla vergogna.

Sono esattamente come un dipinto il cui soggetto non viene apprezzato dall’autore. Potrà provare a lavare via la vernice che ne delinea i contorni, potrà cercare di rimuovere l’elemento che tanto odia su di esso, ma l’unica cosa che otterrà è una superficie informe, una tela macchiata da colori mescolati che danno vita a un’unica cosa: il caos.

Ecco come mi sento, ecco cosa sono: un’anima rotta, sbagliata. Il caos regna sovrano nella mia vita e soffoca tutte le cose positive che sopraggiungono.
Come siamo arrivati a questo?
Come siamo diventati esseri informi privi di coscienza?
Perché abbiamo permesso che prevalesse l’amaro in noi?

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