Chapter 1
Cinque anni prima
Manca poco al giorno del mio sedicesimo compleanno.
La giornata si è appena conclusa e sono trascorsi soltanto due mesi dall'inizio dell'anno scolastico.
Il sole è alto e all'orizzonte si possono ammirare strane nuvole bianche dalle forme più disparate.
Nonostante il caldo non manchi, vorrei tanto tornare indietro nel tempo e rivivere i mesi estivi appena passati: il dolce far niente, le giornate trascorse con le mie amiche a zonzo per la città o sul molo, le lunghe ore spese in spiaggia…
Ho sempre adorato San Clemente, e quest'estate, in particolare, è stata decisamente diversa rispetto le precedenti.
Ammetto di essermi trovata un po' in difficoltà in alcune situazioni: ho dovuto comprare tutti i costumi per colpa del cambiamento del mio corpo, e gli ormoni impazziti di Allie e Susy mi hanno messa più di una volta in imbarazzo.
Eppure, non ci siamo mai divertite tanto come in quei mesi di assoluta spensieratezza.
Dopo la noiosa mattinata a scuola, non vedo l'ora di arrivare dal nonno in officina: sono curiosa di constatare se ha qualche nuova auto per le mani, magari un lavoro interessante e complesso.
Mentre cammino a passo spedito, immaginando su quale gioiellino poserò le dita oggi, il suono incessante delle notifiche del cellulare mi infastidisce.
Allie, la mia migliore amica, non mi dà tregua: è in ansia per la verifica di matematica che ci attende domani e, di conseguenza, non la smette di
tartassarmi con messaggi pessimisti.
Sono quasi arrivata a destinazione quando, spegnendo il cellulare e alzando distrattamente lo sguardo verso il cancello blu elettrico, sbiadito dal tempo e dai raggi solari, lo noto.
Se ne sta di fianco alla sua moto, lucida e nera, intento a parlare con il nonno del proprio problema tecnico. Scrutandolo con più attenzione, cerco di ricordare dove ho già visto quel viso.
Mi sento stranamente attratta dalla sua presenza imponente, rimarcata dalle spalle larghe e dai fianchi stretti. È alto almeno un metro e novanta su per giù e, mentre parla, alcuni capelli corvini, scuri e intensi quanto il colore della sua moto, gli ricadono spettinati sulla fronte.
D'un tratto, senza apparente motivo, si volta verso di me, iniziando a fissarmi di rimando.
In quell'istante, in quell'attimo fugace, mi ritrovo sorpresa e irrequieta al contempo, persa in quelle iridi
nere, profonde come la notte più oscura.
La sensazione di vuoto nel petto, simile a quella provata durante la discesa iniziale delle montagne russe, sovrasta ormai tutte le altre. Potrei affermare con convinzione che il mio cuore ha rallentato il proprio ritmo per qualche secondo.
«Ciao, tesoro! Sei venuta a salutarmi?» domanda il nonno, avvicinandosi e abbracciandomi con forza, come è solito fare.
«Caleb, ti presento Ivy, mia nipote. Scusami se ti ho interrotto, adesso vedo di dare un'occhiata alla tua moto. Tesoro, arrivo subito da te».
Rivolgo un sorriso tirato al nonno che intanto si allontana con il mezzo del ragazzo, portandolo all'interno dell'officina, vicino a un piano di lavoro che ho usato mille volte per aiutarlo in altre occasioni.
Nel frattempo Caleb allunga una mano per presentarsi. Una strana sensazione mi invade nel momento in cui i nostri palmi si uniscono, intensificata dal suono deciso della sua voce.
«Piacere di conoscerti, non ti ho mai vista in officina».
Interrompendo a malincuore il contatto, lo guardo nuovamente negli occhi; cerco di cogliere ogni minima sfumatura in quel vortice buio.
«Di solito non vengo a quest'ora, ma verso sera. Cos'ha la tua moto che non va?» chiedo, osservando il veicolo luccicante su cui il nonno sta armeggiando.
Un gioiellino: si vede che ne ha molta cura.
Alzando un sopracciglio, mi rivolge uno sguardo scettico.
Il mio istinto si sbaglia di rado: pensa che di moto, io, non ne capisca affatto.
«Faccio molta fatica a inserire la marcia, soprattutto la terza invece con la quarta non ho questo
problema» afferma svogliatamente, con il tono che rivolgeresti a un bambino a cui stai spiegando qualcosa che sai già non comprenderà.
«Hai provato a tirare un po' la guaina del filo frizione per lasciarle più gioco?» rispondo sicura
di me, non curante della sua diffidenza.
Se prima sembrava aver perso interesse per la nostra conversazione, grazie a queste mie parole tecniche ho ottenuto la sua totale attenzione; mi squadra come se fossi un'aliena.
«No, non ci ho provato» confessa, assottigliando lo sguardo per guardarmi più attentamente.
«Scusa la domanda, ma quanti anni hai?».
Cosa c’entra ora la mia età con il suo problema tecnico? Ma guarda questo…
Per sua fortuna, sono una tipa educata e decido di rispondere seguendo la mia natura: «Ne ho quasi sedici, e tu? Anche se onestamente non capisco cosa c'entri adesso! Stavamo parlando della tua moto».
Scoppia a ridere di gusto; non sono riuscita a trattenere la lingua.
Noto, però, che scruta con
curiosità ogni angolo del mio viso, come se volesse imprimere i miei lineamenti nella mente.
«Hai un bel caratterino, pasticcino! Io ne ho diciotto e sto per diplomarmi, vado alla San Clemente High School» replica sorridendo con fare malizioso.
Ah, ecco svelata la sensazione di familiarità che ho avvertito appena l'ho visto.
L'avrò incrociato a scuola, magari insieme ad altri tipi come lui che solitamente evito come la peste.
«Non chiamarmi pasticcino» lo avverto, fulminandolo con lo sguardo. Non sono una che mantiene a lungo la calma, soprattutto se si sente presa in giro.
A un tratto arriva il nonno a interrompere il nostro scambio di occhiatacce.
«Ho provato a tirare un po' la guaina del filo frizione, ti consiglio di fare un giro e dirmi come va!» afferma, pulendosi le mani sporche d'olio e grasso in uno straccio consunto.
Nel sentire le parole del nonno, mi giro soddisfatta verso Caleb; la mia espressione beffarda lo fa sorridere di rimando, regalandomi una delle viste più belle della giornata.
«Vado a provarla solo se posso portare Ivy con me, mi pare che tua nipote ne capisca, eccome, di moto!» esclama rivolto verso il nonno; sembra davvero divertito dal contesto che lo circonda.
Mi osserva alla ricerca di un cenno di approvazione da parte mia e attende.
Questo sbruffone sta sicuramente cercando di mettermi in difficoltà, ma se crede di avere a che fare con una ragazzina che ha paura di lui e delle sue provocazioni, si sbaglia di grosso.
Faccio un lieve segno di assenso al nonno, in modo da fargli capire che per me non c’è alcun problema. Non mi resta che aspettare per vedere la sua reazione e comprendere se invece lui, che sembra conoscerlo bene, è contrario alla mia decisione.
Il nonno, con un’alzata di spalle e un mezzo sorriso trattenuto, se ne va, dicendo che ha del lavoro da sbrigare. Forse si fida di lui o di me, non saprei dirlo. Da lontano, aggiunge poi: «Se dovessi avere bisogno di altro, mi trovi in officina fino all'ora di chiusura».
Caleb mi rivolge un’espressione vittoriosa seguita da un rapido occhiolino.
«Allora, sali… pasticcino?» domanda, divertito dal fastidioso nomignolo che ha deciso ormai di affibbiarmi.
«Non chiamarmi così!» intimo allo spaccone che, non curante del mio tono infastidito, si infila il giubbino di pelle marrone e monta in sella alla sua moto.
Mi porge una mano, nell'altra ha già pronto il casco per me.
«Ti prometto che non te ne pentirai. Puoi fidarti, Ivy» conclude in tono serio.
Non ho la benché minima idea di cosa mi sia scattato dentro nell'esatto istante in cui i miei occhi si sono scontrati con i suoi, ma gli credo, mi fido, senza indugi.
Afferro decisa la sua mano; in cuor mio sono consapevole che sto per cacciarmi nei guai, ma neanche questo campanello d’allarme basta a fermarmi.
***
Viaggiamo sul suo bolide da circa un quarto d'ora, e ancora non riesco a capacitarmi del perché sono salita in moto con un perfetto sconosciuto.
Io e il mio solito orgoglio! Non volevo dargliela vinta e fargli credere che non sono in grado di tenergli testa!
Mi ripeto questa scusa mentre sfrecciamo silenziosi, ma razionalmente so che non è il solo motivo.
Non so spiegarlo. Ho agito d'istinto, e il mio consigliere si fida di questo spaccone, ciò basta a rasserenarmi.
«La moto non dà più problemi, pasticcino. Resta da capire se hai avuto fortuna nella tua intuizione o se davvero ne capisci sul tema!» urla, mentre guida diretto verso l'oceano.
Infastidita lo pizzico sul fianco, allentando la presa che ho attorno alla sua vita.
«Io non ho avuto fortuna! Aiuto il nonno in officina da almeno cinque anni e, ti ripeto, non chiamarmi pasticcino!» grido di rimando.
A causa del mio pizzicotto lo sento irrigidirsi all’istante; poco dopo si rilassa, scoppiando in una risata contagiosa.
«Non costringermi a sculacciarti, pasticcino! E non darmi mai più un pizzicotto, mi hai fatto malissimo!» esclama, alzando ancor più il tono per sovrastare il rumore del motore.
Ferma la moto su un piccolo promontorio che sovrasta una spiaggia spettacolare.
Mi perdo per un attimo a osservare le onde che riflettono i colori accesi del tramonto; con difficoltà torno in me, giusto il tempo di scendere dal veicolo e sfilarmi il casco.
Da qui riesco a sentire il profumo deciso del mare e la melodia dell’oceano che si infrange contro gli scogli.
Ho sempre adorato l'acqua e amo nuotare, quando mi immergo interamente mi sento protetta, rinchiusa in una bolla lontana da ogni tipo di dolore.
A interrompere il flusso dei miei pensieri è il ricordo delle sue parole: mi vuole sculacciare?
Mi giro verso di lui per dirgliene quattro, pronta a farmi valere e a sottolineare che non sono una tipa facile, ma la sua espressione mi blocca: appoggiato alla moto, con ancora il casco sottobraccio, mi osserva con uno sguardo strano, troppo intenso, come se potesse leggermi dentro fino a scendere nelle profondità della mia anima.
«Sei davvero bella, i tuoi occhi hanno un particolare riflesso verde».
In effetti, non sono di quel verde chiaro che va per la maggiore, sono più scuri e nelle foto assumono una sfumatura interessante, una sorta di firma distintiva.
È l'unica parte di me che adorerei,
se non fossero uguali ai suoi… a quelli di mio padre.
Caleb assume una strana espressione, credo abbia notato il mio repentino cambio d’umore.
Cerco di spegnere i miei pensieri malinconici, provando anche a non soffermarmi troppo sul suo complimento inaspettato.
«Sei sempre così diretto?» domando, fissandolo negli occhi e inclinando la testa di lato.
Non è il primo a dirmi che sono bella ma, curiosamente, a differenza delle altre volte, mi interessa quello che Caleb pensa di me.
Ivy, ma che cazzo stai facendo?
«Sì. Non mi piace fare giri inutili di parole o tenermi le cose per me. La vita è troppo breve per preoccuparsi sempre delle conseguenze di ciò che si dice o che si vuole fare. E poi ti ho fatto un complimento, non ti ho mica offesa!».
Non riesco a capire se mi sta sulle palle o se mi piace questo suo modo di fare sfacciato e non curante.
Scostandosi dalla moto e poggiando su di essa il proprio casco, mi prende per mano, portandomi verso le onde senza aggiungere altro.
Scendiamo dal promontorio fino ad arrivare a riva; è una giornata stranamente molto ventosa e non c’è anima viva in questa spiaggia.
Caleb inizia a togliersi le scarpe bianche e la maglia scura e aderente. Per un istante rimango a bocca aperta.
Avevo già capito che avesse un bel fisico ma, senza maglia, posso notare quanto il suo corpo è splendidamente tornito: le spalle larghe e toniche, i muscoli delineati e curati nella loro
perfezione, scolpiti a similitudine di una statua greca. Il pettorale è ricoperto da un tatuaggio, ma non
ho il tempo necessario per definirne i contorni e comprendere cosa sia; si tuffa rapido in acqua con addosso soltanto dei boxer neri che lasciano poco spazio all’immaginazione.
«Ivy, vieni! L'acqua è stupenda!».
La mia mente comincia a formulare domande e teorie sul perché tra noi sembra già essersi instaurato una sorta di legame. Inspiegabile: siamo insieme da meno di un’ora.
Non conosco nulla di lui eppure mi sento a mio agio in sua presenza, come se lo conoscessi da una vita intera. Di solito sono una persona razionale, non mi lascio trasportare dalle situazioni o dai momenti, ma questa volta, con lui vicino, dopo anni, la mia testa sembra spegnersi per lasciarmi quella pace che mi permette di non pensare a ogni minima azione che compio.
Caleb mi osserva, mentre sfilo la maglietta rosa pastello e i jeans celesti; sono in intimo di fronte
a uno sconosciuto, cosa combino?
Per un attimo ho l’impressione di vederlo inghiottire la propria saliva con fatica.
Non saprei dire da dove deriva questo coraggio, mi tuffo a mia volta senza riflettere, permettendo alle onde di cullarmi.
Libertà, è questa la sensazione che si irradia nel mio corpo, seguita dalla tranquillità che ne deriva.
Caleb si avvicina, piazzandosi di fronte a me e oscurando la visuale sull'orizzonte. Ora riesco a studiare meglio il tatuaggio: è un tribale che, dal pettorale, sale fino alla spalla sinistra.
Mi guardasenza dire nulla e, nel tentativo di abbracciarmi, annulla lo spazio tra noi.
Mi scanso di colpo, come se mi avesse appena scottata, e retrocedo in direzione della riva.
Vedo nei suoi occhi la perplessità e l'incredulità di chi non è abituato a sentirsi respinto.
«Di cosa hai paura? Lo so che non mi conosci, ma giuro che non ti farei mai del male… forse, sto correndo troppo!».
Sembra quasi parlare tra sé e sé mentre continua a seguirmi, arrivando quasi sulla battigia.
«Caleb, non ho paura di te. Fidati, non potresti farmi del male neanche volendo!».
Mi sorride incuriosito dalle mie parole, ancora una volta mi sottovaluta.
«Ivy, sono più alto e più forte di te. Non mi conosci, potrei essere il lupo cattivo. Da dove nasce questa tua sicurezza insensata?».
Senza pensarci, gli prendo il polso con forza, inducendolo a inginocchiarsi ai miei piedi, proprio di fronte a me. Percepisco la sua sorpresa, con molta probabilità nessuna ragazza lo ha mai messo a tappeto; in un lampo ho ribaltato la situazione a mio favore.
Mantenendo salda la presa, mi chino e gli sussurro all'orecchio: «Caleb, Caleb, forse non hai capito con chi hai a che fare. Nemmeno tu mi conosci e fidati, in questa favola, se c'è un lupo cattivo, sono io».
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