Capitolo 41 - Vivere

"Non si può scegliere il modo di morire. O il giorno. Si può soltanto decidere come vivere. Ora".
(John Baez)

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<< Cosa hai fatto? Cosa hai fatto?! >> stava urlando qualcuno.

Doveva essere Tommaso...

Sì, sicuramente era lui.

La sua voce sembrava così distante e distorta... come se la udissi da sott'acqua.

Si scaraventò sulla madre e le strappò l'arma di mano, gettandola a distanza.

<< I-io... non volevo... >> si giustificò lei, coprendosi gli occhi con le mani. << ... è stata colpa sua... lei... lei mi ha costretta a farlo... >>.

Quasi senza che me ne accorgessi, le gambe mi cedettero e caddi a terra. Sentivo il sangue caldo sgorgare copioso, imbrattandomi i vestiti, e quel forte odore metallico che emanava era terribilmente sgradevole.

Non avevo neppure il coraggio di abbassare nuovamente lo sguardo verso l'addome, laddove la pallottola era penetrata nelle mie carni: ero certa che il foro fosse spaventosamente ampio, e il solo pensiero di poter perdere la vita... di morire... era un vero e proprio tormento.

Provai a mettermi in piedi, ma invano.

Mi sentivo la testa pesante come un macigno, e la coscienza era presente ad intermittenza...

<< Stai giù >> mi ordinò il dottor Mancini, poggiandomi con delicatezza la testa sul freddo pavimento del salotto. << Stai perdendo molto sangue... Tommy >> si rivolse al figlio. << Vai a prendermi delle garze in cucina, presto! >>.

Tommaso, dal canto suo, era forse più scosso e pallido di me.

<< S-sì >> balbettò, dileguandosi rapidamente.

Entro pochi secondi fu di ritorno.

<< Dobbiamo comprimere la ferita per rallentare l'emorragia, Melissa >> comunicò l'uomo.

Estrasse dalla confezione una decina di garze e le pose sul foro, esattamente sotto l'arcata costale di sinistra.

<< Tommy >> esclamò, voltandosi verso il ragazzo. << Cerca di esercitare una compressione costante sulla ferita. Quando le garze si riempiono di sangue, aggiungine altre. Mi raccomando >>.

Si spostò ai miei piedi e mi sollevò prudentemente le gambe, mettendoci sotto due cuscini.

Sentivo che la coscienza, a poco a poco, mi stava abbandonando...

<< Sai cosa sto facendo, Melissa? >> mi chiese, scuotendomi con dolcezza le spalle. << Melissa... Melissa! Ascoltami, rimani qui con noi! Sai perché ho alzato le gambe? >>.

Tentava in tutti i modi di tenermi sveglia, era evidente.

<< Lo fa... >> raccolsi tutte le forze che avevo per pronunciare quelle parole, e ne uscì fuori una voce spaventosamente acuta. Come se a parlare fosse qualcun'altro, non io. << ... lo fa per assicurare che il cervello venga perfuso >>.

<< Brava, esatto >> confermò lui, sorridendomi amabilmente e rivolgendosi di nuovo al figlio. << Cerca di tenerla sveglia >>.

Il dottore si mise in piedi e alzò la cornetta del telefono in salotto, pronto a chiamare i soccorsi.

<< Mely... >>.

Sopra di me scorsi il volto sfuocato di Tommaso.

<< Mely... >> scoppiò a piangere. << Perdonami, ti prego. Perdonami... Io non volevo che succedesse tutto questo, ma è stata comunque colpa mia. Sono stato io a spingere la tua amica giù da quella stupida finestra, e solo perché voleva denunciare me e mio cugino... >>.

Denunciare?

Ma certo, probabilmente per la faccenda della droga.

<< Non preoccuparti >> sussurrai, sforzandomi di abbozzare un sorriso.

<< Sì che mi preoccupo, invece! >> insistette, tra un singhiozzo e l'altro. << Se tu... se ti capitasse qualcosa, non me lo perdonerei mai >>.

Non potei fare a meno di notare che le mani gli tremavano eccessivamente. Sollevai le mie di mani e le posi sulle sue, nell'intento di tranquillizzarlo.

<< Sei incredibile >> fece lui. << Persino in certe situazioni ti preoccupi di rassicurarmi >>.

Si chinò su di me e mi assestò un bacio sulla fronte.

<< G-Giacomo? >> balbettai, sperando di non ferirlo.

Non avevo alcuna intenzione di mortificarlo, tutt'altro.

Ma non potevo starmene lì sdraiata, illudendomi che tutto si fosse sistemato, senza sapere come stava lui.

Lo amavo troppo per farlo.

<< Sta bene >> mi assicurò Tommaso, accarezzandomi una guancia. << E' solo svenuto >>.

Sentirgli pronunciare quelle parole mi risollevò: Giacomo stava bene.

Era vivo e stava bene.

<< Papà, è troppo fredda >> furono le ultime parole che udii, prima che tutto divenisse nero.

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