Capitolo 19 -Amare è gioire
1 Settembre 2015
Cavolo.
Ero stato così stupido da parcheggiare la macchina proprio di fronte all'obitorio, senza notare il segnale di divieto di sosta.
E adesso Melissa era sola con quel tipo arrogante e spocchioso.
Ed eccola lì la mia piccola Cinquecento, con uno sportello completamente ammaccato e il familiare logo dei Beatles sul parabrezza.
Aprii la portiera e mi sedetti, inspirando profondamente.
Ero sempre stato estremamente geloso di natura, e con Melissa lo ero ancora di più.
Ci tenevo incredibilmente tanto a lei: insomma, la amavo.
E già mi mancava.
Decisi, prima di spostare l'auto, di ascoltare i Cranberries, così da sentirla più vicina.
Spalancai il vano portaoggetti per prendere "Bury the hatchet", il suo cd preferito del gruppo, e scorsi una busta di carta, una di quelle buste arancioni per le lettere.
Chissà come era finita lì...
La aprii e all'interno trovai un referto ospedaliero intestato a mio padre.
Veniva dal reparto di Neurologia di quello stesso policlinico...
Lo lessi.
Maledissi il momento in cui l'avevo trovato, a fine lettura.
14 Settembre 2015, 8.00
"And now my life has changed
in oh, so many ways.
My independence seems to
vanish in the haze,
but every now and then
I feel so insecure,
I know that I just need you like
I've never done before".
Le note di "Help" dei Beatles mi diedero il buongiorno.
Ero sveglio già da un pezzo, in realtà.
Erano ormai due settimane che faticavo a prendere sonno.
Su quel referto c'era scritto "malattia genetica a trasmissione autosomica dominante. Consigliato screening in famiglia".
Mi era bastato digitare su google "autosomica dominante" per capire che la probabilità che avessi ereditato quella sindrome era elevatissima: il cinquanta per cento, recitava un sito di medicina.
Avrei forse dovuto dire qualcosa a Melissa?
Rovinarle così il primo anno di università?
No.
Non l'avrei fatto di certo.
Era già difficile per me accettare di frequentarla, stare con lei tutto quel tempo, sapendo di poter perdere il controllo da un momento all'altro.
Avevo forse il diritto di vomitarle addosso una notizia del genere?
No.
Diedi un'occhiata alla sveglia sul comodino: erano le otto del mattino.
Sarei uscito a comprarle la colazione, giusto per lenire i sensi di colpa che provavo e combattere la depressione.
Sarebbe bastato vederla sorridere.
14 Settembre 2015, 11.00
Lo sapevo, sapevo che non sarei stato in grado di fingere.
Già a casa sua Melissa aveva intuito che c'era qualcosa che non andava, e la mia sfuriata di poco prima gliene aveva dato la conferma, se possibile.
Come se la mia vita non fosse già abbastanza complicata, avevo scoperto di essere persino sospettato per un omicidio.
E chissà che non fossi stato io ad uccidere Giada, in realtà.
Chissà quante altre cose aveva combinato l'altro me.
Che stupido che ero stato con Melissa...
Le avevo urlato contro, riversandole addosso tutta la frustrazione che provavo, ma senza rivelarle l'oggetto di questa estrema frustrazione...
Che idiota.
Conoscendola, probabilmente in quello stesso momento era preda di intollerabili sensi di colpa, credendo di essere lei la causa del mio sfogo.
Che avevo combinato...
Delle calde lacrime solcarono il mio viso, non richieste nè tanto meno desiderate.
Stavo piangendo...
Non accadeva da quando ero poco più di un bambino, il giorno in cui la nonna mi portò in ospedale per le percosse di mio padre.
Scorsi Melissa a pochi metri di distanza, sull'auto di Federico.
Stava sorridendo...
Un'idea mi balenò in mente.
Sarebbe stata meglio senza di me.
Sarebbe stata felice senza di me.
Avrebbe avuto una vita normale.
1 Ottobre 2015
<< Allora? Non dici nulla? >>.
Avevo appena rivelato della malattia di mio padre a Matteo.
<< Cosa vuoi che ti dica, amico... l'hai detto a Melissa? >>.
<< Sei impazzito? Le rovinerei il primo anno di Medicina >> dissi, indignato.
<< Non è vero, finché non fai il test genetico non puoi esserne certo... e lo farai al più presto, giusto? >> chiese, preoccupato.
<< Ho letto tutto su questa malattia su google... ce l'ho anch'io, sono sicuro >> dichiarai, sospirando. << Spesso esordisce con disturbi della personalità, lo sai? Chissà che il mio disturbo dissociativo d'identità non sia in realtà l'inizio di questa sindrome... entro i sessanta anni non sarò in grado di camminare nè di parlare... finirò in uno stato vegetativo, lo sai? Non posso essere tanto egoista da rovinarle la vita >>.
<< Giacomo, non sei un medico. Fai il test genetico, e dillo a Melissa. Ha il diritto di saperlo >>.
<< No. Ha il diritto di condurre una vita normale, semmai. Ha il diritto di essere felice, e io non posso impedirglielo. Non capisci? Sono solo un ostacolo che si frappone fra lei e la felicità >>.
20 Ottobre 2015, 3.00
<< Voglio farle una sorpresa >>.
Elettra era visibilmente stupita.
<< Sono le due del mattino, lo sai? >>.
<< Che importa, devo vederla >> insistetti. << Mi mancava troppo... >>.
<< Ok, prendi le mie chiavi >> si arrese, porgendomi il mazzo. << Ne ho una seconda copia in borsa >>.
<< Grazie mille >>.
<< Spero che almeno le abbia comprato un regalo >> mi urlò dietro, tornando a ballare.
Certo.
Per chi mi aveva preso?
Guidai fino a casa sua, impaziente di vederla.
Quel mese di lontananza mi aveva fatto capire che Melissa era il mio ossigeno, la mia linfa vitale.
E avevo bisogno di vederla, di toccarla, di baciarla...
Aprii silenziosamente la porta del suo appartamento e la trovai seduta sul letto con quel Tommaso.
Ma che cosa ci faceva lui lì alle tre del mattino?
E per di più sul suo letto?
Non potevo permettermi di perdere il controllo, non nelle mie condizioni...
<< Mely! Cosa state facendo voi due? >> strillai, infuriato.
Feci cadere in terra i fiori che le avevo comprato e me ne andai, fuori di me.
20 Ottobre 2015, 11.00
Come aveva potuto?
Come aveva potuto farmi quello?
Era la persona migliore che conoscessi, così buona e giudiziosa...
Possibile che... mi avesse tradito?
No, non riuscivo a crederci.
Era troppo intelligente per stare con un tipo come quel Tommaso.
E se...
Se in realtà si fosse innamorata di lui?
Che diritto avevo io di ostacolare questa nuova relazione?
No, non l'avrei fatto.
Era l'unico modo per renderla felice, e la amavo a tal punto da accettare di rinunciare a lei per regalarle anche solo un briciolo di felicità.
<< Sì, è finita >>.
Le tre parole più difficili che avessi mai pronunciato in tutta la mia vita.
Trascorsi il resto della giornata e quelle a venire piangendo, senza neppure riuscire a mangiare.
Perché chi ama non desidera che la felicità dell'oggetto del proprio amore, ed è pronto a rinunciarvi, se necessario, solo per amore.
Ha ragione Aristotele:
"Amare è gioire, mentre crediamo di gioire solo se siamo amati".
E mi sarei accontentato di continuare ad amarla, pur sapendo di non essere più amato.
****
Ebbene, spero vi siate ricredute/i sul povero Giacomo u.u
Grazie per aver letto!
Koira ♡
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