Capitolo 18 - Cambiare

<< Melissa >>.

L'inconfondibile voce di mio padre invase la stanza.
Ero intenta a fissare il soffitto, come ormai facevo da giorni, senza quasi alzarmi dal letto e mangiare.

Giacomo mi aveva lasciata.

Non riuscivo ancora ad accettarlo...
Eravamo stati insieme solo sei mesi, ma sembrava veramente che fosse stata una vita.
Non ero mai stata quel tipo di ragazza che sogna, sin da bambina, il giorno del suo matrimonio, fantasticando con le amiche.
Ero sempre stata una persona più... pragmatica, razionale.
Insomma, a sei anni, per farla semplice, fantasticavo sul giorno del diploma o della laurea, non sulle nozze.

Eppure Giacomo mi aveva cambiata.
Ed io che pensavo, mi illudevo di aver cambiato lui...
Mi ritenevo l'anello forte del nostro rapporto.
Pensavo di esserlo, visti i sacrifici che lui aveva dovuto fare perché accettassi la nostra relazione o, addirittura, gli dicessi che lo amavo.
Ma non era così.

E averlo di fronte, a due passi, e vederlo sedersi sul suo balcone a leggere un libro era una vera e propria tortura.
Su quel balcone avevamo trascorso insieme l'intera estate, con lui che mi aiutava a studiare e io che ripetevo, ansiosa.
Ha ragione chi dice che quando finisce un amore è come se muoia un pezzetto di te...
E dopo essermi esposta così tanto con Giacomo, rivelandogli ogni mia debolezza, avevo l'impressione che sarebbe stato quasi impossibile farlo con qualcun'altro.
Tornare ad amare...

<< Melissa, alzati >> mi supplicò mio padre, entrando in stanza.

Ebbe la premura di alzare le tapparelle, mostrandomi quel balcone tanto amato e a un tempo odiato.

<< Lasciami stare, papà >> lo liquidai, coprendomi con il lenzuolo fin sopra la testa.

<< È passata una settimana, ormai... non prenderla così >> fece, sedendosi sul letto.

<< Quella che il tempo sana tutte le ferite è una stupidata, papà. Il tempo non sana niente, aumenta solo le distanze e rischiara cicatrici che non se ne andranno mai >> commentai, girandomi sull'altro fianco così da dargli le spalle.

<< Da quando sei così filosofica? >> sdrammatizzò. << Lo so, amore. Il tempo fa solo uscire le rughe >>.

Mi scoprii il volto e gli rivolsi un'occhiataccia.

<< Filosofia spicciola, tesoro. Ma tu sei ancora troppo giovane per preoccupartene >> mi sorrise.

<< Non gli ho fatto nulla >> esordii, coprendomi nuovamente fino al viso. << Mi ha lasciata per un fraintendimento, senza darmi la possibilità di chiarire >>.

<< Vuoi che gli faccia visita e gli parli? >> si offrì.

<< Stile "Il padrino"? No, grazie >> rifiutai.

<< Sai cosa ti dico? Quelli come lui è meglio perderli che trovarli. Se non ti vuole, vuol dire che non ti merita >> sentenziò. << Come si fa a lasciare te? >>.

<< Papà, è evidente che sei di parte >> dichiarai, sospirando.

<< Che ne dici di una cioccolata calda? >> propose.

<< Sei un corruttore, ma va bene >> accettai.

Si alzò dal letto e scese in cucina.
Accesi il cellulare (erano giorni che era spento, appoggiato sul comodino) e fui stordita dal suono di un centinaio di sms in arrivo.
Tutti (o quasi) di Elettra.

"Dove sei finita? Oreste ha fame", "Stai bene?", "Sei ancora viva?", "Sto per chiamare Barbara D'Urso".

L'ultimo messaggio era di Tommaso: "Sono sotto casa tua".

Oddio.
Lessi l'ora in cui era stato inviato e mi accorsi che risaliva a pochi minuti prima.
Mi affacciai alla finestra e me lo ritrovai di fronte.

<< Che ci fai qui? >> lo salutai.

<< Aspettavo che qualcuno si affacciasse >> alzò le spalle.

<< Chi ti ha dato il mio indirizzo? >>.

<< Diciamo che ho le mie fonti >> fece il misterioso. << Scendi? Ti farà bene prendere un po' d'aria >>.

Ci pensai su.

<< Ok, mi rendo presentabile e arrivo >>.

Dopotutto, non mi avrebbe fatto certo male uscire un po'.

<< Ti rendi presentabile? >> ripetè, ridendo. << Conoscendoti, faccio in tempo a fare benzina >>.

<< Sicuro di non perderti? >> lo canzonai.

<< Conosco bene la zona >> mi rassicurò.

Salì sulla motocicletta e abbandonò il quartiere.

Mentre mi preparavo, i miei pensieri ebbero lui come comune denominatore.

Possibile che...?

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