Capitolo 16 - Proust

"Ma come posso darti l'anima
e riuscire a credere
che tutto sia più o meno facile,
quando è impossibile...
volevo essere più forte di
ogni tua perplessità,
ma io non posso accontentarmi, se
tutto quello che
sai darmi
è un amore di plastica".

Degli scossoni mi riportarono bruscamente alla realtà. Abbassai il volume dell'iPod.

<< Signorina? Signorina, ha il biglietto? >>.

Sollevai lentamente le palpebre e mi trovai di fronte il controllore.

Ma certo.
Ero su un treno, che stupida.
Alla faccia dei miei cinque minuti di paradiso.

<< Sì, eccolo >> dissi, porgendoglielo. << Scusi, mi ero addormentata >>.

<< Non si preoccupi >> mi sorrise l'uomo. << Come mai viaggia così presto? >>.

<< Ehm... diciamo che a casa c'è bisogno di me >> risposi, evasiva.

Rivolsi nuovamente lo sguardo verso il finestrino, godendomi il panorama. Adoravo viaggiare in treno, ed era sempre stato così, sin da bambina. Il suono del mezzo sulle rotaie, inviso ai più, a me suscitava emozioni indescrivibili, probabilmente perché lo associavo alla mia infanzia.

E già, Marcel Proust: spesso, aldilà dell'olfatto (con tutte le connessioni della via olfattiva con l'amigdala e l'ippocampo, studiate fino alla nausea per il test), è l'udito il senso più evocativo, mnemonicamente parlando.
Ha ragione chi dice che, quando perdiamo una persona cara, di lei quello che ci rimane più a lungo impresso è proprio la voce.

E la voce di Giacomo era così... rassicurante.
Era una di quelle voci di cui ti innamoreresti all'istante, senza voler neppure sapere a chi appartiene...
Non riuscivo ad immaginare una voce diversa dalla sua, né un sorriso o un abbraccio o un bacio di nessun altro, se non di lui.

La voce monotona ed inespressiva dell'annunciatrice rivelò che la fermata successiva sarebbe stata la mia. Mi misi in piedi e trascinai il trolley fino in fondo al corridoio, pronta a scendere.

<< Melissa? Sei tu? >>.

Mi voltai e scorsi, proprio di fronte a me, il familiare volto del signor De Fazio.

<< Salve >> lo salutai. << Anche lei di ritorno? >>.

<< Sì, avevo delle commissioni da sbrigare in città >> dichiarò.

Che razza di commissioni si sbrigassero nel cuore della notte non era dato saperlo, mi dissi.

<< E tu? Sbaglio o oggi è ancora martedì? Come mai di ritorno? >> si informò.

<< Diciamo che ho anche io delle commissioni da svolgere >> mi mantenni evasiva.

<< È una coincidenza strana l'esserci incontrati, non trovi? >> osservò. << Ti do un passaggio fino a casa, c'è una cosa di cui devo parlarti da tempo, ma non c'è mai stata occasione >>.

<< D'accordo >> accettai, sorridendogli.

<< A meno che non sia venuto a prenderti... com'è che si chiama? Giacomo >> aggiunse.

<< No, avrei preso l'autobus fino a casa >> lo rassicurai.

Mi aiutò a scendere la valigia dal treno e la trascinò fino alla sua auto, premuroso. Era invecchiato di colpo, notai: qua e là diversi capelli bianchi facevano capolino sul suo capo, e aveva delle vistose occhiaie.

<< Come va l'università? >> domandò, mettendo in moto la vettura.

<< Tutto bene, grazie >> risposi, cercando di non pensare al test di Penna e alla mia probabilissima prima bocciatura.

<< Sei sempre stata intelligente >> mi sorrise. << Sai, ricordo ancora come se fosse ieri il primo giorno di liceo di Giada... all'uscita da scuola non fece che parlarmi di te, di quanto fossi intelligente e, soprattutto, buona e gentile >>.

Era la prima volta che mi parlava di Giada dal giorno in cui era... morta, notai. Avevo ancora ben impresso il suo sfogo nel reparto di Terapia intensiva, anche perché quel fatidico e terribile giorno, aldilà della scomparsa della mia migliore amica, era stato indimenticabile per un altro motivo: quel giorno avevo baciato Giacomo per la prima volta.
E probabilmente non esagero se dico che me ne ero innamorata, anche se ancora non lo sapevo.

O forse lo sapevo, ma non volevo ammetterlo.

<< Era fantastica >> dissi semplicemente.

<< Lo era, sì >>.

Tirò su col naso.

<< Ho fatto riesumare il corpo e fare l'autopsia >> quasi mi vomitò addosso. << E ho avuto il referto già da un pezzo, ormai >>.

Mostrati sorpresa, mostrati sorpresa, mi imposi.

<< Cosa dice il referto? >> chiesi.

<< Sembra che avesse dei lividi su entrambe le braccia, e che il trauma cranico, essendo la lesione occipitale, sia compatibile con una caduta non accidentale, diciamo così >> svelò.

<< Cioè qualcuno l'ha spinta >> tradussi.

Annuì.
Mi aspettavo che proseguisse, che rivelasse il dettaglio del flunitrazepam, fondamentale, ma non aggiunse altro.

<< Perché me l'ha detto? >> volli sapere.

Inspirò profondamente, esausto.

<< Perché non credo che sia stato il padre di Giacomo a spingere mia figlia, Melissa. Io... io credo che sia stato lui... Giacomo >>.

<< Ma... >> iniziai, preoccupata. << ... cosa glielo fa credere? Perché ha riaperto il caso, perché sta facendo questo proprio a lui? Non se lo merita, non dopo tutto quello che ha passato... >>.

<< Perché lo sto facendo? >>.

La voce gli tremava, come anche le mani.

<< Melissa, io voglio giustizia per Giada, e tu meglio di chiunque altro dovresti capirmi >> strillò, trattenendo le lacrime. << C'erano le sue impronte sulla scena del delitto >>.

****

Salve, fanciulle/i! Grazie ancora tanto per le letture, i commenti e i voti *-*
Spero che la storia vi stia piacendo e... abbiate pietà di quel povero Giacomo! Soprattutto qualcuno (senza fare nomi u.u).
Un abbraccio,
Koira ♡

P.S. Ascoltate "Amore di plastica" di Carmen Consoli! Ho allegato una cover, ma vi consiglio di ascoltare l'originale ;)

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