47°capitolo
Giustine continuava a guardare il cellulare. L'emozione le aveva fatto dimenticare il dolore che lui le aveva inflitto: il cuore lo aveva perdonato. L'attesa si prolungava, la scuola dei bambini era diventata una strada da percorrere infinitamente lunga eppure distava solo dieci minuti. La voglia di sentire la sua voce non faceva passare il tempo: minuti interminabili.
Finalmente arrivati, un saluto veloce ai figli poi Giustine aspettò finché non vide la loro manina sventolare per l'ultimo ciao.
Era ripartita non appena li aveva visti svanire dall'ingresso principale della scuola.
Prese il telefono e chiamò Bernard.
Un flebile:
-Pronto?- la voce di lui non riusciva a celare i sensi di colpa che provava e lei gli rispose:
- Ciao - in tono glaciale.
Poi il silenzio, come di chi non trova le parole per poter iniziare un discorso.
Giustine per orgoglio era in attesa e Bernard aveva paura di non essere creduto, qualunque cosa le avesse potuto dire.
Si era messo in un bel casino che lui stesso si era creato: delle catene invisibili chiuse da ulteriori lucchetti. Le chiavi le stavano custodendo: la mogliettina "ignara", Giustine "l'amante" e l'altra donna, quella del "venerdì".
Ma in quel momento, ciò che più a Bernard premeva, era chiarire con Giustine.
L'uomo prese coraggio e disse:
- Ti voglio parlare di persona, desidero che tu legga nei miei occhi la sincerità delle mie parole, possiamo vederci?
Giustine esitò un secondo, poi disse:
- Si! Aspettami fuori al parcheggio alla fine del mio turno - con tono distaccato.
Giustine non gli aveva dato nemmeno il tempo di rispondere che riagganciò.
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