44. VOTA SUPERIS REDDITE
Le tre cavalcature procedevano sulla strada principale con andatura rilassata. Se Aidan aveva mostrato una gran fretta di allontanarsi da Formenos, non sembrava averne altrettanta di raggiungere Laurëgil. Sembrava piuttosto intenzionato a godersi quel viaggio, che potevano affrontare per la prima volta senza ansie e senza timori.
La fine della guerra aveva lasciato uno stato di sospensione tra le due parti superstiti, durante la quale nessuna avrebbe osato attaccare l'altra senza un valido motivo. A parte un gruppetto di arcieri che lo seguivano come scorta e un paio di scudieri, il principe aveva chiesto solo ad Adwen e al maestro Aegis di accompagnarlo.
Due Daimonmaster e un ambasciatore.
O due Daimonmaster e qualcosa di strano che ancora non comprendeva fino in fondo.
Da quando quel viaggio aveva avuto inizio, un solo pensiero aveva ossessionato la mente di Aidan: solo qualche mese prima Edhel aveva percorso con Silanna la stessa strada che lui aveva intrapreso in compagnia di Adwen. Due fratelli, due sorelle e due destini così diversi. Non riusciva ancora a darsene pace.
Durante i primi giorni di marcia, l'arciere era stato parecchio silenzioso. Nessuno, nella compagnia, se n'era stupito. Sapevano che era a lutto.
Con il passare del tempo, Aidan aveva iniziato a rivolgere qualche sporadica domanda all'incantatore e, con molte difficoltà, era riuscito infine a confidargli parte di ciò che era avvenuto ad Hákala. Lui era il solo, oltre ad Adwen, al quale si sarebbe rivolto con totale fiducia. Fatta eccezione di Vargas, era anche il solo, tra i presenti sul campo di battaglia, in grado di comprendere la portata magica del gesto di Edhel e il potere che era stato in grado di pilotare attraverso la sua unione con il gemello.
Di contro, per Aegis era stato subito evidente quanto il ragazzo fosse all'affannosa ricerca di spiegazioni, ma anche quanto si sentisse obbligato a procedere a tentoni su un terreno che non conosceva e che lo spaventava. Un atteggiamento che il maestro assecondava senza forzare la mano al giovane principe. Lo giudicava prudente e del tutto comprensibile. Era stata la magia a portargli via il fratello. Senza dubbio, quella dimensione sconosciuta generava in lui attrazione irresistibile e disprezzo profondo allo stesso tempo.
"Panta nin ando, anhalla Fëanturenna".
La frase di Aidan intervenne a interrompere il silenzio del pomeriggio, mentre procedevano lungo il percorso stabilito. Recitata ad alta voce e senza alcun preambolo, attirò subito l'attenzione dell'Alto Elfo che gli cavalcava al fianco. L'arciere gli lanciò un'occhiata significativa.
"Qual è la traduzione di queste parole?"
"È elfico antico, altezza. Aprite i cancelli a me, al supremo Daimonmaster".
Il giovane parve riflettere sul senso reale della frase prima di ribattere.
"Voi credete sia opportuno che io mi presenti alle porte di Laurëgil in questo modo?"
Aegis lo spiò di sottecchi. Da quando Edhel era morto, sentiva il dovere di proteggere il giovane principe e di guidarlo per quanto gli era possibile fare.
"Dove le avete sentite, quelle parole?"
"Erano nella mia visione, mentre benedicevamo i Daimon".
Aegis non poté impedirsi di guardarlo con ammirazione e, insieme, con preoccupazione. Il principe parlava di materia arcana con assoluta naturalezza. Non sospettava nemmeno quanto peso potesse avere, nella magia, ogni singola parola. Usava termini pieni di potere con la stessa disinvoltura con cui talvolta gli aveva visto maneggiare le lame, come se non percepisse il terrore che avrebbe potuto scatenarne un uso improprio.
Era davvero una bella fortuna, si ripeté una volta ancora, che Aidan possedesse un animo gentile. Doveva solo sperare che il principe conservasse anche in futuro una simile inclinazione.
"Il che dovrebbe indurvi a seguire il consiglio degli Dei", rispose infine. "Voi, invece, cosa ne pensate?"
Aidan esitò. Non gli era accaduto di frequente che gli fosse chiesto il suo parere, e quasi mai gli era stato fatto intendere che fosse davvero importante. Provò una sorta di orgoglio, quasi una responsabilità, di fronte alla domanda del maestro. Cercò la risposta dentro di sé e si accorse di possederla già proprio grazie a Aegis.
"Penso che Aidanhîn, principe di Arthalion, adesso conosca la natura dei suoi desideri".
Il viso dell'incantatore si increspò di un lieve sorriso al ricordo di quella conversazione. Annuì soddisfatto del tono deciso con cui il giovane aveva parlato.
"Allora, principe, avete tutte le vostre risposte".
Era accaduto nel modo esatto in cui lo aveva visto.
C'era il vento che gli soffiava alle spalle e gli sollevava i lembi del mantello, mentre portava in alto le sue parole. C'era quel giovane con i capelli d'oro che splendevano nel sole e lo sguardo sicuro, che era lui e che insieme non lo era. C'era lo stridio metallico dei cingoli mentre le immense porte della reggia degli Elfi si aprivano al suo passaggio. Solo un dettaglio era cambiato: nella sua visione era notte e le torce delle torrette di guardia illuminavano le mura della fortezza. Aidan, invece, aveva cavalcato in piena luce.
Ripensava a quel particolare mentre restava nella grande sala, in attesa. La sua innata curiosità lo spingeva a guardarsi intorno, a studiarne i particolari. La tiepida luce del pomeriggio gettava ombre dall'alto delle ogive. Era già stato lì, in un altro tempo, nella sua mente. Si avvicinò al trono che sembrava, da solo, riempire quell'intero spazio. Sfiorò con le dita la testa di leone scolpita sul bracciolo. Edhel aveva sofferto in quel luogo, ne era certo. Poteva sentirlo, anche se non sapeva spiegarsi il perché.
I passi alle sue spalle lo strapparono a quella percezione. Aidan si girò a fissare l'ingresso di re Arantar.
Non c'erano state cerimonie né convenevoli al suo arrivo. La corte di Laurëgil era a lutto. Il re gli aveva concesso un colloquio privato nella sala del trono. Un incontro diretto, faccia a faccia. Aidan non avrebbe potuto chiedere di meglio.
Non poté impedirsi di fissare il re elfo per tutto il tempo che impiegò per raggiungerlo. Non era riuscito a staccargli gli occhi di dosso, sebbene un simile comportamento costituisse una imbarazzante infrazione all'etichetta. Gli aveva studiato soprattutto il viso, alla ricerca di sua madre e forse un po' di se stesso. Solo all'ultimo momento si ricordò di inchinarsi.
Il re lo invitò subito a rialzarsi con un lieve gesto della mano.
"Ben arrivato, principe Aidanhîn".
I loro sguardi si incrociarono e per un istante nessuno dei due parlò. Arantar osservò i lineamenti che gli erano tristemente familiari, Aidan si sorprese di vedere gli occhi stanchi e il viso invecchiato di un uomo di certo regale, ma che poco somigliava ai racconti che gli erano stati fatti.
"Sono spiacente per il vostro lutto", proseguì il sovrano, mentre si metteva seduto sullo scranno.
"E io per il vostro", ribatté Aidan. "Lo avevate scelto come erede, dopotutto".
Si avvicinò ai gradini che lo separavano dall'elfo.
"Sono venuto a riportavi questo".
Gli tese il sigillo d'oro degli Elfi. Arantar lo prese tra le dita scarne e se lo rigirò un istante davanti agli occhi.
"Lui cosa chiede, adesso?", domandò con una smorfia.
"Non importa cosa vuole Galanár. È con me che state parlando".
"Vostro padre deve avervi educati parecchio male, se ogni principe ragazzino di Arthalion pensa di poter avanzare pretese".
Il viso del principe si contrasse a quell'affermazione.
"Mio padre e mia madre", rimarcò, "ci hanno cresciuti come andava fatto. Siamo stirpe di re, tutti e tre allo stesso modo. Non è certo la forma delle orecchie che ci può rendere diversi".
Il re si scoprì a guardarlo con sincera simpatia. Lo disturbava che assomigliasse tanto a Maldor, ma non aveva l'arroganza del fratello maggiore. Stava difendendo ciò che riteneva giusto proteggere, ma senza tracotanza. Intrecciò le mani davanti a sé e si sporse appena verso Aidan.
"Allora ascolterò le vostre richieste, nipote".
Rassicurato da quel gesto, il ragazzo prese un profondo respiro e cominciò.
"Mio fratello ha sacrificato la vita perché Laurëgil non crollasse e perché il popolo degli Elfi non fosse piegato all'ira di Galanár. È morto perché era convinto che, al punto in cui siamo giunti, solo la convivenza ci potesse rendere forti".
Prese una breve pausa, poi osò guardare il re dritto negli occhi.
"Io non permetterò a nessuno di vanificare ciò che ha fatto ad Hákala. Che sia il re di Laurëgil o quello di Formenos a opporsi, la situazione per me non cambia. Dovrete versare altro sangue, il sangue di un nipote o di un fratello, a vostra scelta, prima di poter portare di nuovo la guerra tra Uomini ed Elfi".
Arantar fece un lieve cenno con le dita e suggerì che poteva proseguire. La sua determinazione aveva conquistato il suo interesse.
"È cosa nota, d'altronde, che le decisioni più sagge per un popolo o per un regno sono quelle che nascono attorno a un tavolo, non quelle estorte con rabbia e a fil di spada"
"Dunque? Cosa propone Aidanhîn, principe di Arthalion?"
Un altro profondo respiro. Aidan cercò di accordare i battiti del proprio cuore alle parole che aveva in testa. Solo se quelle due parti fossero entrate in risonanza, sarebbe riuscito a essere convincente.
"Con rispetto, mio re... siete anziano. E siete senza eredi maschi. Ma vi resta una figlia, che vi ama ancora. Abdicate in favore di Galanár. Scoprirete che vostro nipote sa essere ragionevole e illuminato quando non viene sfidato in campo aperto, e che è anche disposto ad accettare consigli, se il consigliere si dimostra all'altezza di darglieli".
Arantar sorrise e ad Aidan parve che si stesse facendo beffe di lui e della sua proposta.
"Voi parlate bene, principe, ma siete ingenuo oppure falso quando trascurate di citare le reali intenzioni di vostro fratello. Galanár ha già scelto tempo fa, per inclinazione o per dispetto, di vivere come un Uomo. La nostra cultura, la nostra storia, la nostra magia non lo interessano".
Il viso del re si incupì e la sua voce si abbassò di colpo.
"Non piango in Edheldûr solo la morte di un erede. Io piango in lui la morte di una speranza".
Aidan comprese che un dolore autentico stava piegando il capo del vecchio elfo. La strada gli si aprì davanti agli occhi: esisteva un'emozione che entrambi potevano toccare allo stesso modo e condividere.
"Allora ve ne darò un'altra in cambio: Valkano sarà ricostruita, come il supremo Daimonmaster ha previsto. Lasciate che Galanár unisca le corone di Uomini ed Elfi, lasciate che riporti prosperità alle nostre terre, ché la pace non ha mai arrecato danno a nessun popolo. Coloro che saranno felici di vivere questo nuovo tempo, potranno farlo. E coloro che vorranno coltivare la magia degli Antichi Alti Elfi avranno un posto speciale in cui dimorare assieme alla magia".
Prese fiato e ne approfittò per sbirciare l'espressione sul volto del re, un attimo prima di concludere con la sua ultima richiesta.
"Abdicate e prendete dimora presso la corte di Harmaros".
A quel nome, gli occhi di Arantar si puntarono su di lui perplessi e alterati.
"Mi proponete un esilio?", domandò con tono offeso.
Aidan scosse il capo e lo fissò sereno.
"Vi propongo la pace e la tranquillità, maestà", rispose schietto, come solo lui sapeva esserlo. "In un luogo dove sarete vicino alla fonte del vostro potere e dove potrete continuare a essere un faro per guidare e ispirare la vostra gente".
Il re elfo lo soppesò a lungo con lo sguardo, come se avesse voluto leggergli l'anima. Aidan non si sottrasse a quell'analisi, non se ne sentì minacciato. Gli aveva parlato con il cuore e non aveva detto nulla che fosse difforme dai suoi veri pensieri o lontano dal suo sentire.
Dopo una lunga pausa, il re si alzò con lentezza e scese i gradini che lo portarono di fronte al nipote. Senza una parola, si sfilò la tiara che teneva sul capo e la tenne sospesa tra loro.
"Non posso impedirmi di pensare che starebbe meglio sul vostro capo", commentò.
Quindi gli depose la corona tra le mani. Mentre Aidan osservava con quieta meraviglia i bagliori dorati e la perfezione di quell'oggetto, il re seguì il profilo del ragazzo con interesse.
"Non mi avete detto che parte avrete voi in questa scena. Non farete più il soldato, se la guerra finirà".
Il principe sollevò il capo di scatto, colto alla sprovvista da quella domanda inaspettata. Sbatté le ciglia un istante, poi il suo viso si aprì in un sorriso, il primo da quando aveva messo piede alla corte degli Elfi.
"Io, maestà?", ribatté. "Io ho un sogno da tradurre in realtà".
NOTA DELL'AUTORE
Vota superis reddite significa Mantenete gli impegni presi con gli dei.
Si tratta di una delle massime delfiche riassunte nella favola De oraculo Apollinis di Fedro.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top