42. RUBEDO

Aidan fu il primo a riaprire gli occhi. Percepì attorno a sé silenzio e assenza di movimento, ed ebbe timore. Rimase immobile, in attesa, nello sforzo di capire quanto tempo fosse passato e cosa fosse accaduto attorno a loro. Se fossero salvi oppure perduti. 

Edhel era disteso sul terreno, accanto a lui. Il vento del nord era aumentato, i lunghi capelli purpurei si erano intrecciati ai suoi. Aidan lo scosse e il gemello si mise subito a sedere. Era vigile, molto più di lui che si sentiva ancora stordito.

"Edhel, cos'è successo?"

L'elfo sembrò ignorarlo. Diede una rapida occhiata ai propri vestiti, come per accertarsi di essere ancora vivo e nel tempo corretto in cui avrebbe dovuto trovarsi. Subito dopo, passò uno sguardo attorno, sul campo di battaglia, dove i soldati dei due schieramenti superstiti si muovevano confusi ed esultanti allo stesso tempo.

"I Quattri Sacri Daimon", commentò a mezza voce, ancora indeciso tra l'incredulità e il compiacimento. "Per gli Dei, ce l'abbiamo fatta davvero!"

Aidan, però, non sorrise e lo guardò con sospetto.

"Tutti e quattro i Daimon", recitò. "Come ti ha suggerito Vargas, giusto?".

Il tono cupo di quella domanda lo fece voltare di scatto. Edhel scrutò il fratello come se avesse dovuto scandagliargli l'anima e scoprire cosa avesse ascoltato, e fino a che punto. Un nuovo pensiero sembrò sovrapporsi a quella prima preoccupazione, e la sua espressione si fece dura e triste allo stesso tempo.

"Come hai potuto pensare che potessi farti male?", lo assalì.

Aidan sbatté le palpebre e per un istante stentò a comprendere quel mutamento repentino.

"Come hai potuto? Giurare a Galanár che avresti fatto qualsiasi cosa per lui?"

L'arciere realizzò, a quel punto, che la natura delle loro visioni doveva essere stata in parte divergente. E forse entrambi sarebbero caduti in errore, se non si fossero concessi la possibilità di spiegarsi a vicenda.

"Aspetta, non è andata come pensi".

Si tese per toccarlo, con lo stesso gesto rassicurante che il gemello aveva rivolto a lui quando erano nello spazio sacro, di fronte alle terribili immagini della profezia. Proprio come era accaduto a Edhel in quell'occasione, le dita di Aidan non arrivarono nemmeno a sfiorarlo.

Un lampo esplose sulle loro teste e il blu del cielo scomparve. Un baluginio di luce precipitò sopra di loro e si abbatté al suolo. Lo schianto fu terribile, il boato sordo e spaventoso. La terra si contrasse e reagì all'impatto sollevando una nuvola di polvere che cancellò ogni cosa.

La terra lo aveva sepolto. Non vedeva nulla e respirava appena. Aidan si puntellò sulle mani e cercò di scrollarsi di dosso lo strato che lo aveva ricoperto. Si guardò attorno: dov'erano le frecce? Era certo di averle viste precipitare sopra le loro teste e ne aveva sentito il familiare impatto, prima di essere scaraventato a terra da una forza devastante. Il terreno era smosso, ma i dardi sembravano essersi dissolti nell'aria. 

Tossì un po' di polvere, poi cercò di ripulirsi il viso con una mano. Il primo pensiero andò al fratello.

L'elfo giaceva privo di sensi a pochi passi da lui. Ancora indolenzito, l'arciere si trascinò fino a toccarlo e chiamò il suo nome. Edhel gemette e aprì gli occhi. Aidan tirò un sospiro di sollievo.

"Dobbiamo andarcene da qui. Qualunque cosa fosse quella luce, non mi sembra un posto molto sicuro in cui restare".

L'elfo assentì con il capo, ma non si mosse.

"Dammi un paio di minuti ancora. Sono esausto".

In effetti, era pallido da far paura. Aidan si arrese a quella richiesta, nonostante l'agitazione che provava.

"Va bene, solo qualche minuto. Poi, che tu lo voglia o no, ti rimetto in piedi e ce ne andiamo da questa maledetta valle". 

Edhel gli rivolse uno sguardo sereno e un sorriso di assenso, che contrastavano con l'espressione tesa dell'arciere. Aidan se ne sentì placato. Il suo gemello sembrava aver messo da parte il rancore, forse non era tardi per chiarire quel malinteso e fornirsi delle spiegazioni.

Mentre faceva quei ragionamenti, la voce di Edhel, pacata e familiare, lo sorprese.

"Ti ricordi quando eravamo piccoli?"

Aidan sollevò uno sguardo attento sul fratello, di colpo interessato a quel discorso.

"Tutti, ad Arthalion, mi guardavano con timore, come se dovessi essere per forza un pericolo, dal momento che ero diverso".

L'arciere annuì. Sapeva molto bene di cosa stava parlando. Aveva cercato in tutti i modi di salvarlo da quel sentimento, e troppo spesso si era detto di avere fallito.

"Per tanto tempo io, gli Uomini, li ho odiati", confessò Edhel.

Aidan, per un istante, pensò che avrebbe voluto dire qualcosa, ma si accorse che non esistevano argomenti validi, di fronte a quella realtà. Era una verità che conosceva e che, in qualche modo, doveva imparare ad accettare e a rispettare. Rinunciò a replicare e lasciò che il gemello continuasse.

"Quando Vargas mi ha offerto la corona di Laurëgil, però, ho compreso che queste barriere tra Uomini ed Elfi, queste perenni differenze, erano stupide e senza senso. Allora ho cercato un modo per mettere fine a questo inutile astio, per cambiare il corso della storia. E ho capito che Galanár è quella storia".

Il gemello, a quelle parole, parve rianimarsi.

"Allora andiamo a cercarlo", propose. "Possiamo rimettere a posto ogni cosa. Gli parlerai come stai parlando a me e..."

"Io non parlerò più con lui", lo interruppe l'elfo.

Aidan si indispettì di fronte  a quella presa di posizione. Come faceva, Edhel, a non capire? C'era in ballo qualcosa di molto più grosso delle esigenze personali.

"Dovrai farlo, o questa guerra sarà come tutte le altre, o peggio. Se non parli con Galanár, lui marcerà su Laurëgil e metterà a ferro e fuoco la città. Non si fermerà fino a quando non avrà raso al suolo la rocca degli Elfi, per punire il tuo tradimento e quello di Vargas".

"No, non lo farà", fu la replica calma e decisa. "Tu glielo impedirai".

L'arciere sgranò gli occhi. Che stava dicendo? Edhel gli indirizzò un'occhiata che avrebbe potuto essere indice di totale freddezza o di estremo candore.

"Ho mentito a Vargas", ammise. "Ho convinto gli elfi di Foroddir a unirsi al mio piano e ho detto loro di mettersi ai tuoi ordini, una volta finito lo scontro". 

Aidan non riuscì nemmeno a ribattere a quella notizia. Il gemello sembrava intenzionato a non concedergli alcuno spazio di replica. Aveva iniziato a snocciolare quelle informazioni sempre più in fretta, come se fossero disposizioni urgenti e incontestabili.

"Essi, però, non sono vostri prigionieri. Hanno sposato questa causa, quindi evita che Galanár commetta qualche sciocca intemperanza. E andrai tu a Laurëgil, non lui. Senza armi e con questo sigillo".

Gli lanciò il sigillo reale che si era sfilato dal dito e Aidan lo prese al volo. Come se liberarsi di quel monile lo avesse svuotato, Edhel ricadde sulle spalle e guardò il cielo.

"Sai già cosa dovrai dire al tuo arrivo", completò, come se quella fosse stata la conclusione più ovvia di quel discorso. "Lo hai sentito con le tue orecchie".

L'arciere lo squadrò sempre più confuso, ma Edhel fissava l'azzurro che era ritornato a colorare il cielo. Sembrava rincorrere il volo di qualche uccello. Aidan seguì la scia del suo sguardo, ma non vide nulla. Provò una lacerante fitta al cuore e chiuse gli occhi per non vedere il volto del fratello perso dietro qualche visione che lui non riusciva ad afferrare.

"So che hai visto il fuoco, Aidan", mormorò l'elfo in quel silenzio. "E so anche che hai visto Valkano. Tu la ricostruirai".

"Una fortezza salda in cima alla roccia", commentò l'altro, scuotendo il capo con un gesto disilluso. "Era solo una visione".

A quelle parole, l'elfo si tirò su con uno sforzo, come se volesse opporvisi, ma un violento colpo di tosse gli mozzò il respiro. Sputò polvere e sangue.

Aidan si precipitò accanto a lui e lo sostenne. Lo adagiò sulle proprie gambe e cominciò a slacciargli il pettorale dorato per farlo respirare. Glielo sfilò con tutta la cura di cui era capace, quindi lo lasciò cadere sul terreno, al suo fianco. Il cuore gli si era fermato. Il sangue che inzuppava la giubba di Edhel inondò ogni suo pensiero. 

Afferrò i lembi macchiati della camicia candida che il fratello indossava e gli scoprì il collo e il torace. La pelle era stata lacerata da fori di dardi inesistenti. Immaginò che dovesse avere altre ferite disseminate in punti che non riusciva a vedere  e che lo stavano dissanguando. Edhel seguì il suo sguardo sgomento con un sorriso mesto e si sforzò di apparire beffardo come sempre.

"Frecce d'Aria", spiegò. "Un vero regalo da Daimonmaster".

"Aria?", balbettò Aidan sconvolto.

Edhel non dovrebbe stare nel vento.

Le parole di sua madre gli attraversarono il petto come una pugnalata. Come aveva potuto scordarle?

Il gemello mimò una smorfia di indifferenza che si trasformò, suo malgrado, in desolazione.

"Non sono riuscito a evitarle".

Aidan iniziò a singhiozzare, ma il fratello non disse nulla. Era intento a sfilarsi dal collo un amuleto. Quattro gemme brillarono, colpite dalla luce, appena le allontanò da sé.

"Prendilo e non separartene mai. Ti daranno la caccia per averlo e tu dovrai proteggerlo, soprattutto da Vargas. Chiedi ad Adwen di aiutarti, di lei ti puoi fidare".

"Basta!", lo interruppe Aidan con foga. "Andremo insieme da Adwen, ma perché ti possa curare".

Tentò di sollevare il corpo del gemello, ma non vi riuscì. Le forze sembravano averlo abbandonato. Edhel rise piano, con affetto.

"Temo di dover rifiutare. E tu non puoi farci niente. La scelta è stata mia fin dall'inizio".

Spinse il ciondolo nella mano del fratello con ogni energia residua e Aidan si arrese. Strinse l'amuleto e se lo passò attorno al collo.

"Era tutto necessario", lo rassicurò l'elfo, una volta ancora.

"Necessario?", protestò. "Era necessario dare la vita?"

"Sì, se volevo cambiare la storia. Sono io l'Idra, Aidan. Sono la fiamma che avrebbe bruciato Laurëgil. Se solo l'avessi compreso prima, non avrei perso tanto tempo a inseguire un sogno che non era mio. Il sogno che un altro aveva costruito a tavolino per noi due".

La sua voce non era più che un soffio. Aidan dovette sforzarsi per non perdere nemmeno una sillaba. La sua mente taceva, non gli dava alcun conforto. Sapeva solo di voler zittire Edhel e di volerlo portare lontano da lì, ma allo stesso tempo non riusciva a muoversi. Era ancorato a ogni suo fiato.

"Che significa?"

L'elfo si limitò a negare con un gesto lento del capo.

"Non c'è tempo. Però hai visto tutto".

Sollevò la mano e gli sfiorò il viso. Gli sorrise, anche se sapeva che Aidan non poteva vederlo, perché aveva serrato le palpebre e le lacrime gli rigavano le guance. Gli sorrise perché era l'ultima volta che poteva farlo.

Cercò di imprimersi sulle dita la forma del volto di suo fratello. I suoi occhi cominciavano a non vedere con chiarezza. Quegli occhi che erano sempre stati così desiderosi di catturare le stelle, di spingersi oltre i limiti di una vita mortale. Quegli occhi che non avrebbero più rivisto lei. 

"Se mai la incontrassi di nuovo", lo pregò, "diglielo, che l'amavo. E tu non piangere. Sai che ho vissuto tutta la vita per questo solo momento. Ho toccato l'infinito, fratellino, e ho visto tutta la bellezza del mondo". 

La voce di Edhel si incrinò. Il suo sguardo era velato, come un cielo primaverile ancora offuscato dalla foschia invernale. Il suo eloquio perdeva smalto e consistenza. Aidan si impose di aprire gli occhi per seguirlo fino all'ultimo istante. Si accorse che anche Edhel piangeva. Non aveva mai visto una lacrima che non fosse di rabbia sul viso del gemello, ma quelle lacrime scintillavano di vita. 

La stessa vita che si stava spegnendo in lui. La stessa vita che Aidan aveva sempre creduto infinita. 

Sentì che il corpo del fratello si stava allentando tra le sue braccia. L'idea che potesse arrendersi del tutto era inaccettabile, ma l'anima di Edhel sembrava a un passo dal volare via e lui non riusciva più trattenerla.

Gli occhi del suo gemello ebbero un ultimo, improvviso guizzo di consapevolezza e le sue dita si serrarono sulla spalla dell'arciere.

"Adesso abbracciami", mormorò con un fil di voce.

Gli bastò un solo sguardo per capire. Aidan scosse il capo con decisione. Edhel non poteva chiedergli di assecondare la sofferenza e il dolore fino a quel punto.

"No, non posso".

"Con il mio coltello", lo pregò Edhel.

Aidan esitò. Le lacrime gli inondavano il viso. Sapeva che nulla avrebbe mai potuto restituirgli un amore così grande, e che quella era la sua ultima richiesta. L'ultimo favore.

"Sì, lo farò".

Prese Edhel tra le braccia. 

"Perché tu hai reso migliore la mia vita e io renderò migliore la tua morte". 

Chiuse gli occhi.

"Perché sono l'unico essere al mondo che può farlo".

Il coltello penetrò nel cuore in un attimo, mentre Edhel si stringeva alla spalla del fratello. Aidan rimase paralizzato in quel gesto, trattenendo il respiro. Le quattro pietre si accesero sul suo petto e brillarono per un attimo.

Un gemito e un sospiro si confusero insieme e generarono un silenzio assordante, prima che l'urlo di dolore di Aidan infrangesse l'immobilità dell'aria.

NOTA DELL'AUTORE

Dopo aver assistito al Nigredo (l'Opera al Nero, durante la quale l'aspirante cavaliere si prepara e si addestra al suo futuro ruolo) e all'Albedo (l'Opera al Bianco, durante la quale avviene l'investitura e il giovane mostra agli occhi del mondo le sue capacità), l'ultimo atto della vita del cavaliere è Rubedo. L'Opera al rosso. Il momento in cui il cavaliere donerà il suo sangue per la battaglia.

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