41. ... IN AETERNUM VICTURI SUNT

Alle loro spalle si innalzava la parete rocciosa che chiudeva il passo di Hákala, sopra di loro si stendeva soltanto il cielo, sconvolto a tratti dalle magie degli incantatori.

Gli Elfi impegnati nel combattimento procedevano nel loro attacco secondo gli ordini e si muovevano incontro alle truppe guidate da Mellodîn e da Galanár . I gemelli rimasero indietro e si spostarono verso un piccolo spiazzo riparato in prossimità dell'ingresso ovest del Gorgo.

L'elfo prese un profondo respiro. Poi, senza una parola, afferrò il pugnale che Aidan gli aveva puntato contro e glielo sfilò di mano. L'arciere sobbalzò di fronte a quel gesto e, per tutta risposta, estrasse la spada. Edhel si ritrasse spaventato, poi la sua espressione si fece piccata.

"Rinfodera quell'affare e smettila di comportarti da stupido! Come se non lo sapessi, che mi occorre il tuo coltello per la magia".

Prese la destra del fratello e, senza dargli tempo di protestare, ne incise il palmo. L'arciere seguì quel gesto senza troppa sorpresa. Sì, lo sapeva: aveva già vissuto quella scena tante e tante volte. Erano ormai ricordi vaghi, pieni di sole che galleggiava rarefatto all'ombra delle jacarande, ma per quanto potessero essere confusi e distanti, il protagonista di quei momenti era sempre lo stesso. Suoi erano gli occhi attenti, sua la voce nervosa, sua la stretta febbrile.

Era Edhel. Era sempre stato Edhel. Suo fratello. Il fratello che amava.

Sorrise e l'elfo smise di tremare. Con la lama, incise allora l'interno della propria mano sinistra. Prese quella del gemello e le congiunse, stringendo le due ferite una contro l'altra. Quel contatto trasmise ad Aidan una strana vertigine e un inspiegabile torpore. Il giovane cercò di allontanarsi, ma la stretta del gemello glielo impedì.

"Non dimenticare: qualsiasi cosa accada, io sono con te e non ti lascio".

Quelle furono le ultime parole che ebbe la certezza di percepire. Udì la voce di Edhel che cantilenava un incantesimo, più e più volte, con furia crescente. Lo stava recitando in elfico, e tuttavia il suo significato appariva chiaro nella mente dell'arciere, come se riuscisse a tradurlo nella propria lingua. 

La coscienza di Aidan cominciò a naufragare. I suoi occhi si chiusero e lui si abbandonò. Edhel lo seguiva attento, pieno di apprensione, trattenendo il respiro a ogni suo sussulto, poi scivolò anche lui nella trance dell'incantamento.

Aidan spalancò gli occhi. Non avrebbe saputo definire né il luogo né il tempo in cui si trovava. Tutto era buio e vago. L'etere si accendeva di colori improvvisi, come lampi che squarciavano un cielo d'inverno. L'unica certezza gli veniva dalla presenza di Edhel. 

Non lo vedeva, ma lo percepiva. Sentiva la sua voce. Avrebbe voluto chiedergli il senso delle parole che aveva pronunciato, ma qualcosa gli suggeriva che la domanda era superflua. In un modo a lui stesso ignoto, sapeva di conoscere già la risposta.

Il cielo oscuro della sua visione si animò di luce infinita: il rosso più profondo, il turchese più luminoso, il diamante più puro, il verde più brillante.

Così dev'essere!

Nell'attimo stesso in cui Aidan formulò quel pensiero, un fiume impetuoso di immagini vive e veloci cominciò a scorrere davanti ai suoi occhi.

"Edhel, che succede?"

Gli giunse all'orecchio una risata affettuosa.

"Tu fai troppe domande!"

Sì, era vero, chiedeva sempre a Edhel un mucchio di spiegazioni, ma quella volta avrebbe voluto davvero averne qualcuna. Di fronte ai suoi occhi apparvero inspiegabili rivoluzioni di cielo, terra e mare, città che non aveva mai visitato prima, volti di re di cui ignorava i nomi e infine le torri di Laurëgil, quelle torri di cui aveva soltanto sentito vagheggiare. Gli sembrò di essere presente mentre venivano edificate. I draghi divini volteggiavano sopra di loro.

"Aidan, resta con me!"

La voce di Edhel risuonò distinta nelle sue orecchie.

"Non allontanarti troppo!", gli ordinò.

La sua mente si ritrasse, le immagini mutarono e presero nuova forma. Vide suo padre nel fiore degli anni, che cingeva la corona attorniato dai suo uomini. Udì il primo vagito di un bimbo e seppe d'istinto che si trattava di Galanár. Infine i suoi occhi si fermarono su una bizzarra creatura che sembrava possedere tratti umani e insieme era simile a un essere marino. I battiti del suo cuore erano rapidissimi. Il suo corpo cresceva e mutava di forma a velocità impressionante. D'improvviso si scisse in due esseri identici, due neonati stretti in un abbraccio.

Un uomo apparve dall'ombra e si avvicinò alla culla. Riconobbe il Maestro Vargas e d'istinto provò orrore quando gli vide passare una mano sopra il capo dei lattanti e imprimervi sopra due marchi lucenti. Due marchi differenti che bruciarono scuri sulla pelle candida.

L'Alto Elfo si mosse verso l'ombra da cui era emerso. Un istante prima di sparire, si voltò e gli indirizzò un sorriso beffardo.

Aidan sbatté le palpebre e la scena cambiò ancora. Immagini rapide e colorate della sua infanzia gli apparvero davanti agli occhi: lui ed Edhel, corse nel bosco, risate e scherzi, notti stellate e giochi di fuoco.

"Edhel, secondo te dove finisce il cielo?"

L'arciere si fermò di colpo a guardare quei due bambini distesi l'uno accanto all'altro sull'erba alta, vicino al lago che rifletteva il chiarore della luna sulla superficie scura. Il cuore perse un battito, mentre non riusciva a staccarsi da quel ricordo.

"Il cielo non può finire, perché è il regno di Amaurea". 

Seguì con un sorriso affettuoso l'ombra di trasalimento che si disegnava sul viso del fanciullo biondo.

"Allora, se è infinito, non potremo mai vederlo tutto!"

Aidan prese a sillabare a fior di labbra, con sorprendente precisione, le stesse parole pronunciate dal piccolo elfo con i capelli rossi:

"Non possiamo vedere l'infinito, Aidan, perché ne facciamo già parte. Almeno, questo è ciò che credo".

Gli sfuggirono una lacrima e un sorriso: come aveva potuto smarrire quella scena nelle nebbie del tempo? L'immagine sparì di colpo e il lago notturno scivolò nell'oscurità di una enorme sala di cui non aveva memoria. Udì due voci lontane, indistinte, scambiarsi frasi cariche di pesanti passioni.

"Quella notte evocammo i Daimon. Tutti e quattro i Daimon... Io ho fatto questo, sì".

"Aria e Terra, Fuoco e Acqua". 

"Voi e Aidan siete uno. Esiste soltanto una via naturale per risolvere il conflitto: che l'uno uccida l'altro".

"Ci sarà mai un giorno in cui mi riterrete all'altezza?"

"Siete pronto a ricoprire la carica per cui siete venuto al mondo? A essere la lancia e lo scudo degli Eldar?"

"Io sarò la risposta al sogno dei bardi!"

Il dolore che provò all'udire quella conversazione non aveva alcun termine di paragone nei suoi ricordi. Il suo cuore, se davvero gliene restava ancora uno in quella dimensione in cui si trovava, andò in pezzi. 

Una goccia gli offuscò la vista.

Acqua, acqua... 

Per un istante non vide che acqua, e l'attimo dopo non vide che fuoco. Fulgide fiamme divampavano nell'oscurità della notte, sottili torri d'avorio si contorcevano nel bagliore di un incendio. Le labbra gli tremarono di fronte alla devastazione. Una bestia, simile a un felino, si levò dall'ombra e balzò addosso a un'idra che reggeva una sfera di fuoco sulla zampa ungulata. 

Il calore di quelle fiamme arrivò fino a lui e gli bruciò la gola. Tormentato da quella sofferenza, Aidan si sforzò di urlare e chiamare Edhel. 

"Sono con te e non ti lascio!" 

Si voltò a cercare il fratello e vide che gli andava incontro, tendendogli la mano.

Panta nin ando, anhalla Fëanturenna... 

Cercò nell'aria l'origine di quella voce che aveva udito.

Panta nin ando, anhalla Fëanturenna... 

Tornò a guardare Edhel. Sul capo gli splendeva una corona a tre punte e tra le mani reggeva una sfera di fuoco, del tutto simile a quella che l'idra aveva scagliato sulla città. L'arciere cominciò a urlare. L'elfo si tese verso di lui per calmarlo, ma appena le sue dita stavano per raggiungerlo, una luce scaturì dal petto di Aidan. Uno scudo dorato avvolse il ragazzo e una violenta raffica di vento allontanò Edhel dalla sua vista.

Quando il vento si fu quietato e il bagliore si spense, lo spettacolo era di nuovo mutato. L'Idra giaceva esangue, immobile ai piedi della rocca, e le fiamme erano sparite. Una fortezza si levava spavalda. Una fortezza le cui mura, scavate nella roccia, gli erano del tutto familiari: Aidan contemplò la potenza di Valkano, che si ergeva al di sopra delle basse nuvole di nebbia, ancor più gloriosa e imponente di quanto non l'avessero conosciuta i suoi occhi. 

Di fronte a quella vista, senza comprendere nulla dei propri gesti e delle sue stesse parole, Aidan cadde in ginocchio e cominciò a benedire l'Aria e la Terra, con parole elfiche che non sapeva nemmeno di conoscere.

Nell'attimo in cui ebbe la certezza di aver smarrito il contatto con il gemello, Edhel fu colto da una profonda disperazione. Non aveva compreso perché Aidan lo avesse allontanato a quel modo. All'interno di quella dimensione sacra, Edhel poteva indirizzarlo, ma non aveva controllo sulle sue visioni, quindi non sapeva con esattezza cosa avesse visto. L'unica immagine di cui era consapevole era il sogno dei bardi, che stavano osservando insieme.

Cercò Aidan con tutte le sue forze. Tese il suo spirito ad ascoltare l'infinito. Lo avrebbe trovato e riportato indietro. Si aggirò in quello spazio senza tempo cercando di scartare le visioni troppo lontane nel passato o nel futuro. 

Quando infine stava per cedere allo sconforto, gli parve di vedere qualcosa di familiare: i pugnali di Aidan poggiati su una panca di legno. Si avvicinò con circospezione, ne prese uno e ne accarezzò la lama con un dito. Lo inquietava la vista di quelle armi abbandonate: Aidan non se ne separava mai, nemmeno quando dormiva!

"Ho bisogno di sapere che tu sei con me, fratello". 

Edhel sollevò le ciglia e scrutò la penombra di quella stanza: era la voce di Galanár. 

"Farò qualsiasi cosa". 

L'elfo scosse il capo. Non riusciva a credere che fosse stato il gemello a pronunciare quella frase. La luce sul volto dell'arciere era cupa e triste, i suoi occhi freddi e senza vista.

"Basterà che tu me lo chieda e obbedirò".

Edhel rimase inchiodato di fronte a quell'immagine e una lacrima gli solcò il viso. Non riusciva ad allontanarsi da quella visione. Il tempo aveva smesso di scorrere e lui era rimasto intrappolato nel suo stesso sogno. 

Aveva dimenticato perché era lì e perché avesse trascinato il suo gemello con sé. Aveva dimenticato il tempo degli Uomini e degli Elfi, persino cancellato il ricordo della guerra. Aveva compreso perché Aidan era fuggito da lui, e quella era l'unica cosa che importava. Aidan lo odiava. Aidan lo riteneva responsabile di tutto quel dolore. 

Sentì sul collo la fredda lama affilata e iniziò a piangere. Considerò la folle ipotesi di abbandonare tutto, di rinunciare al suo piano e di distruggere ogni cosa. Tempo, suoni e colori erano spariti.

In quel silenzio di dolore, Edhel percepì un flebile suono: una voce musicale recitava formule in una lingua elfica antica.

Aidan!

Il suo cuore si riaccese ed esultò, e iniziò ad accordare la voce a quella del gemello.

Benedizioni dell'Aria e della Terra... 

Benedizioni dell'Acqua e del Fuoco...

I due canoni si fusero in un'unica armonia, vibrante di note che si intrecciavano in quella compiuta concordanza che ricreava la perfezione dei Quattro Sacri Daimon, così com'era stato nei giorni antichi all'atto della creazione, così com'era stato nel tempo infinito in cui si era plasmata l'anima del mondo.

Benedizioni della Luce e dell'Ombra... 

Benedizioni tutte, voi qui evocate in questo sangue, proteggete i figli degli Eldar e degli Atani!

Tutti coloro che in quel giorno stavano combattendo sulla spianata riarsa per salvare la propria vita e la propria libertà, non avrebbero saputo narrare con esattezza quella meraviglia.

Dal centro del Passo di Hákala si levò una stella talmente fulgida da ferire gli occhi di chi osava fissarla. Sembrava il prodotto di forze che si fondevano senza sosta all'interno di un unico nucleo. La sua stessa luminosità sembrava il frutto di una sapiente miscela di colori diversi. 

Con lo stesso fulgore e la stessa rapidità con cui una meteora lacera le volte celesti, quel centro collassò, esplose e irradiò lo spazio attorno con un'onda sfolgorante che investì l'intera vallata. Gli Uomini vennero sbalzati dai cavalli e gli Elfi caddero al suolo ma, a dispetto della forza distruttiva che sembrava essersi abbattuta su di loro, dopo qualche minuto di iniziale stupore tutti si levarono in piedi, guardandosi attorno sgomenti e increduli.

Uomini ed Elfi. 

Ogni altra creatura era stata spazzata via e non ne restava traccia. Il campo era sgombro dai nemici.

Solo Uomini ed Elfi, illesi.

Aegis fu il primo a sollevarsi per guardare la luce che splendeva a nord. I suoi occhi fissavano l'arcana bellezza che aveva fatto sobbalzare il suo cuore di una gioia inspiegabile. Quelli vicini a lui gli videro chinare il capo e sollevare la mano in uno strano gesto, prima di inginocchiarsi per rendere omaggio alla fonte di quella meraviglia.

"An Cerdir ëa elfirin, nantë dacili mi oira", gli sentirono pronunciare con tono solenne.

Furono colti da profondo stupore, perché ognuno comprese il senso di quella lingua pur non conoscendola. Tutti imitarono l'Alto Incantatore e si inginocchiarono di fronte alla luce che li aveva salvati.

NOTA DELL'AUTORE

Dei quia immortales sunt in aeternum victuri sunt.

Poiché gli dei sono immortali, essi sono vincitori in eterno (o, con trad. alternativa di victūrūs: essi vivranno in eterno).

Si tratta della stessa frase che Aegis pronuncia in elfico.

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