40. DEI QUIA IMMORTALES SUNT...

Non trovò che Ariendil sul suo corpo. Le parve bizzarro che Galanár affidasse la propria vita a un'unica arma e quella considerazione la obbligò a pensare ad Aidan. Aidan e le sue splendide spade.

Che ne era stato di lui? Non era più riuscita a scorgerlo in mezzo alla battaglia.

Sentì il cuore andarle in pezzi al pensiero che gli fosse accaduto qualcosa e si sforzò di concentrarsi sull'incantesimo. Sapeva cosa fare: il suo stesso Daimon le aveva mostrato la via, la notte della Prova. Distese la mano sopra il corpo di Galanár, che giaceva privo di sensi sulle sue ginocchia. Socchiuse gli occhi per allontanare i rumori e le immagini che le si affollavano intorno.

"Nór", esclamò, "il re e il regno sono una cosa sola. Raccogli ogni goccia del mio sangue che cadrà sulla terra e trasformala in vita. Questa è la mia richiesta, Daimon della Terra".

Pronunciò quelle parole con tutte le sue forze, quindi sollevò Ariendil e si inflisse un taglio lungo il palmo sinistro con la sua lama affilata. Trattenne il respiro per arginare il dolore, poi lasciò aderire la mano al terreno. La spada cadde al suo fianco con un rumore distorto, Adwen poggiò la destra sul petto di Galanár.

Il sangue fuoriuscì e si mescolò al suolo. Adwen avvertì un freddo terribile vicino al cuore, ma il terreno attorno a loro sembrò animarsi e iniziò a fiorire. Dalla terra si levò un'aura dorata e il simbolo sulla sua fronte brillò di luce come una piccola goccia di agata. Dalle mani di lei la linfa si irradiò sul corpo del re. Ne alimentava e ne ricostruiva la struttura, con la stessa forza con cui avrebbe nutrito le venature delle piante.

Le ferite smisero di sanguinare. Il re socchiuse gli occhi. Mise a fuoco il volto di lei, i lunghi capelli incrostati di sangue, le labbra pallide e contratte in un'espressione di attesa. Percepì il tocco benefico della sua mano e comprese ciò che era accaduto. Sul suo viso, la sorpresa iniziale lasciò il posto alla collera. Si puntellò sul terreno, si mise a sedere e imprecò contro la sorte.

"Lavato nel sangue degli Uomini e lavato nel sangue degli Elfi! Che vadano in malora tutte le profezie!"

Affondò le dita tra i capelli e nascose il volto esacerbato dalla frustrazione. Adwen lo osservava in silenzio, senza commentare la sua reazione. Chinò lo sguardo e fissò la linea di sangue che iniziava a scurirsi sul suo palmo, quindi strinse la mano attorno a quella del re e gliela allontanò dal viso con dolce violenza.

"Mettete da parte il passato. Il re e il suo regno sono una cosa sola, è l'unica certezza che conta. Il regno ha appena ridato vita al corpo del re. Adesso che sia il corpo del re a salvare il regno".

Galanár la fissò sconcertato da quelle parole, ma il suo cuore ne stava assorbendo ogni accento.

Fece solo un cenno di assenso con il capo. Con la mano, cercò l'elsa di Ariendil che splendeva ancora abbandonata al suo fianco.

Aegis non era il solo ad aver dimenticato il proprio obiettivo primario di fronte alla meraviglia e allo sgomento provocato dall'apparire dei draghi. Molti Elfi, intenti a tessere sortilegi contro i Nani, interruppero le loro magie per lo stupore. Tutti coloro che erano cresciuti e che avevano studiato a Valkano conoscevano bene i testi antichi che narravano la leggenda dei draghi divini.

Emanazione diretta dei sacri Daimon, si manifestavano dietro comando esclusivo del supremo Daimonmaster. Erano trascorsi molti secoli senza che si fosse manifestata tra i Fëantúri una simile potenza, così la testimonianza era scivolata nella favola e ciò che prima era stato un frammento di conoscenza si era trasformato in un mero atto di fede. Nessuno credeva più di vivere abbastanza a lungo da vedere con i propri occhi una simile meraviglia, o perfino che si sarebbe mai realizzata.

Il Narya era un'immensa sagoma di fiamma, la cui coda si divideva in numerose lingue di fuoco dai colori vivi e cangianti. Le sue ali si spiegavano immense nel cielo, lasciando una lunga scia luminosa. Il drago del fuoco sfrecciava veloce come la luce, a dispetto della sua stazza imponente, e a ogni passaggio sopra le schiere naniche, investiva i soldati con il suo soffio devastante. Il Nenya aveva dimensioni inferiori e si muoveva più lentamente, come se scivolasse tra le correnti del cielo. Il suo corpo trasparente e lucido aveva un aspetto meno inquietante del colosso di fiamma, ma portava con sé uguale scompiglio. Dalle sue fauci spalancate schegge di ghiaccio acuminato piovevano dall'alto e non evaporavano prima di aver colpito il proprio obiettivo.

La schiera elfica si aprì in due ali nel momento in cui il cavallo di Edhel attraversò la spianata per raggiungere il suo esercito. Lui si fermò al centro dello schieramento. La sua iniziale tensione stava scemando. Aveva tremato nel momento in cui aveva evocato i due draghi. Se l'incantesimo, mai provato prima, non fosse andato nella direzione sperata, non avrebbe saputo prevederne le conseguenze. Nel momento in cui si ritrovò in mezzo alla sua gente, e vide ammirazione e rispetto nei loro occhi, guidare i due spiriti divini gli sembrò un compito facile.

Smise di fissare il cielo con preoccupazione e diede l'ordine di attaccare. Quando rimase solo con le guardie della sua scorta, scese da cavallo, socchiuse gli occhi e si abbandonò con gioia alla magia. Precipitò dentro il suo stesso spirito, iniziò a parlare con i draghi e li incitò con naturalezza. Aveva annullato ciò che lo circondava, cancellato il clamore delle lance e lo schiocco delle frecce. Quell'unione mistica gli fece perdere la percezione del suo corpo e ampliò quella della sua mente. Del tutto incurante di ciò che gli accadeva intorno, il principe si abbandonò alla devastante poesia del ghiaccio e della fiamma.

Fu in quel momento che gli parve di toccare l'infinito.

Lo stava attraversando, come aveva confessato di voler fare nella notte in cui aveva rivelato ad Adwen i suoi desideri.

E, proprio come aveva detto lei, le stelle erano dentro di lui.

L'esercito dei Nani era in rotta. Mellodîn intuì che le sorti della battaglia si stavano ribaltando e iniziò a riorganizzare l'assalto. Una voce alle sue spalle si unì ai suoi ordini e incitò la fanteria. Il cuore del comandante ebbe uno scarto di felicità. Il generale era ancora vivo. Ferito ma salvo, colpito ma non vinto.

La stanchezza sparì dai volti dei soldati nel momento in cui videro il loro re. Le spade si sollevarono dalla polvere, le visiere calarono sugli occhi e tutti si lanciarono contro il nemico.

Gli avversari cominciarono a indietreggiare. Nessuno di loro trovava scampo dalla ferocia di quell'attacco, e iniziarono a ripiegare. Le forze di Galanar spingevano verso nord, cercando di superare l'ingresso del Gorgo. Il nemico che si ritirava doveva destreggiarsi tra i corpi dei caduti, le carcasse dei rinoceronti e i carri rovesciati. E ad attenderli, dalla parte opposta, c'erano gli Elfi e la loro magia.

Le urla dei Nani iniziarono a riempire la piana di Hákala. Quel funesto rumore era l'unico suono a invadere l'aria, insieme al crepitare del fuoco e allo schiantarsi del ghiaccio.

Il Narya si era innalzato in volo verso nord-est. Dopo un'elegante virata, si preparò a ritornare indietro per infliggere al nemico l'ennesima fiammata. Planò verso il basso e spalancò le fauci. I soldati, coperti dal profilo di quella creatura, sentirono il suo fiato caldo che li incalzava. Oltre al terrore per la morte che li stava braccando, però, non accadde loro nulla. Il drago serrò le zanne e si involò in una direzione differente.

Il Nenya, che sopraggiungeva alle sue spalle, ebbe uno scarto brusco, come se le sue ali avessero incontrato una forte resistenza. Sbandò e anch'egli cambiò rotta. I due draghi cercarono un nuovo equilibrio e le loro zampe annasparono tra le nuvole. Lo stesso fragore improvviso con cui avevano fatto la loro comparsa squarciò le volte celesti. Il Narya esplose in cielo, scagliando nell'aria intorno centinaia di sfere e lapilli infuocati. Nell'istante successivo, la forma d'acqua del Nenya si contrasse e si deformò, quindi si sciolse in una miriade di cristalli affilati.

Ghiaccio e fuoco piovvero senza alcun ordine né guida precisa su tutti coloro, Elfi o Nani, che in quel momento ebbero la sventura di trovarsi sotto l'ombra di quelle ali divine.

Edhel avvertì un dolore lancinante alla schiena. Qualcosa lo sbalzò con violenza fuori dallo spazio sacro dei Daimon. Nell'attimo in cui perse il contatto con i due draghi, una fitta terribile gli trapassò la testa, come se una spada affilata gli avesse attraversato le tempie. La stessa sofferenza insopportabile delle sue visioni. Tentò di ristabilire il legame mistico, ma qualcosa glielo impedì. Qualcosa che lo afferrò e lo trascinò a terra.

Cercò di attutire il colpo con le mani, ma sbatté comunque il costato contro il terreno. Spalancò gli occhi e provò a girare il viso di lato. Le guardie elfiche che gli facevano da scorta non c'erano più. Era rimasto solo. Se anche avesse cercato di urlare per chiedere soccorso, non avrebbe comunque potuto farlo: una stretta d'acciaio lo teneva ancorato al suolo e gli serrava il diaframma fino a togliergli il fiato. Il freddo di una lama gli premeva contro la gola.

"Dopo tutti questi anni", mormorò una voce rabbiosa, a un millimetro dal suo orecchio, "è davvero incredibile che io sia ancora capace di celarmi al tuo orecchio".

Quell'accento gli gelò il sangue molto più della paura e della confusione che aveva provato. Smise di opporre resistenza e abbandonò la guancia contro il terreno ruvido.

"Aidan", bisbigliò con voce contratta.

Il gemello non rispose, ma la pressione della lama contro il suo collo aumentò. Edhel sentì il pulsare delle vene come colpi di martello. Strinse le palpebre e trattenne una lacrima. La stretta che gli toglieva il respiro diventava sempre più l'amara parodia di un abbraccio.

"È a questo che siamo arrivati?", mormorò con dolente ironia. "Con una lama alla gola, come se fossi un nemico?"

"Le insegne appuntate al tuo mantello dicono che sei questo".

Edhel sorrise con aria stanca.

"Allora affonda quel pugnale e vediamo quale sangue ne schizzerà fuori".

A quelle parole, Aidan mollò la presa e lo costrinse a girarsi. Lo inchiodò a terra e gli puntò di nuovo l'arma.

"Sangue? Cosa vuoi che me ne importi del sangue, adesso?"

Edhel trattenne il fiato alla vista del suo gemello. Era fuori di sé, il volto contratto, gli occhi intorbiditi dall'ira. Provò l'istinto di abbracciarlo, di dirgli quanto avesse bisogno di lui, ma nello stesso istante desiderò sfuggirgli.

"Galanar è morto, Amalion è morto, Adwen è morta!", gridò Aidan. "Per quale ragione dovrei lasciarti vivere?"

Gli aveva sputato addosso ogni singolo nome con rabbia crescente. L'elfo sbatté le palpebre, colpito e insieme confuso da quell'accusa.

"Adwen?", balbettò incredulo. "Adwen no, non può essere! L'avrei sentito, l'avrei saputo".

"Taci! Non voglio sentire una sola parola".

Edhel si zittì. Con la coda dell'occhio scrutò lo spazio al suo fianco e si accorse che altri soldati, vedendolo in balia dell'arciere, si stavano avvicinando. Si sforzò di apparire calmo e scandì ogni parola nel tentativo di trasmettere al gemello la medesima sensazione.

"Aidan, tra qualche minuto i dardi delle mie guardie saranno puntati su di te. Toglimi questo pugnale dalla gola o ti uccideranno".

Quello, per tutta risposta, rise.

"Ho sgozzato tutti quelli che ho incrociato per venire fin qua. È quasi ridicolo, non mi hanno nemmeno sentito arrivare. Pensi davvero che mi tirerò indietro proprio adesso?"

Motivo in più per temere che i suoi elfi non avrebbero esitato a ucciderlo.

"Aidan, sii ragionevole".

"Perché dovrei? tu lo sei stato? hai ragionato su ciò che avresti provocato? su quello che ci avresti fatto? che mi avresti fatto?"

Edhel sostenne il suo sguardo alterato, ma non rispose. Il gemello lo guardò con disprezzo e proseguì.

"Allora non chiedermi di essere ragionevole. Morire tu, morire io o morire tutti e due non fa più nessuna differenza".

Sollevò il coltello sopra il viso del fratello. L'incantatore non si oppose. Si limitò a fissarlo con profonda tristezza e Aidan esitò. Un brivido scosse la sua mano e corse lungo la lama lucente fino alla punta del pugnale. Edhel pregò gli Dei perché gli dessero il tempo di completare il suo pensiero.

"La differenza possiamo farla noi. Io e te possiamo far terminare questa battaglia".

L'arciere scosse il capo. La sua mente si rifiutava di ascoltare oltre, congestionata dalle terribili visioni che si erano succedute di fronte ai suoi occhi. Il cuore, però, stava ricominciando a battere, a dispetto di tutto.

"Non sono venuto fin qui per ascoltare una volta ancora le tue bugie", protestò.

L'elfo approfittò di quel cedimento. Si sollevò sulla schiena e afferrò il polso del fratello. Scostò la lama di lato e lo fronteggiò, avvicinando il viso al suo.

"Infatti no. Tu sei qui perché io lo volevo, ecco perché! Perché ho bisogno di te per porre fine a questa guerra una volta per tutte. Perché io mi fido di te, solo di te. E del tuo istinto. Per questo sapevo che saresti venuto".

Aidan lo guardò con sospetto.

"Sono io che non mi fido più di te".

Edhel inghiottì quelle parole amare, ma non desistette.

"Dovrai farlo, e lo farai. Ti fiderai di me una volta ancora. Dopo potrai dirmi che non fa differenza. Dopo... te lo prometto: o io, o te, o tutti e due".

Aidan lo scrutava in silenzio. I suoi occhi erano pieni di amarezza, così diversi dal ricordo che Edhel aveva portato con sé. Tuttavia era chiaro che stava obbligando se stesso a riconsiderare la situazione con lucidità: se Edhel avesse davvero voluto, avrebbe potuto disarmarlo da un pezzo. Aveva scelto volontariamente di restare sotto la minaccia del suo coltello e quell'atteggiamento non gli lasciava scelta. Lasciò ricadere il braccio lungo il fianco e lo liberò dalla stretta.

"D'accordo", disse piano. "D'accordo".

L'elfo si rimise in piedi e fece un cenno alle sue guardie. Le guardie esitarono, ma abbassarono le frecce che avevano incoccato ai loro archi. L'incantatore, a quel punto, tese la mano al suo gemello, ma Aidan schivò quel gesto e si levò in piedi senza aiuto.

"Cos'è che devo fare?", chiese scontroso.

"Dovrai aiutarmi in un incantesimo".

Il gemello gli lanciò un'occhiata torva che trasmetteva tutta la sua avversione di fronte a quel termine, ma Edhel lo ignorò.

"Potrebbe accadere che tu veda cose di cui non immagini l'esistenza, o che io dica o faccia qualcosa che potrebbe turbarti. Per questo dovrai fidarti fino alla fine. E non dovrai avere esitazioni. Mai, nemmeno quando tutto ti sembrerà folle o assurdo".

Aidan non rispose, si limitò ad annuire con fare scostante. Edhel accettò il fatto che non avrebbe potuto ottenere di più e, nel medesimo istante, comprese che anche lui avrebbe dovuto fidarsi.

"Diamoci da fare, allora. Non abbiamo più molto tempo".

NOTA DELL'AUTORE

Come già accaduto in precedenza, il titolo di questo capitolo forma un'unica frase con quello del capitolo successivo, dal momento che la scena cui stiamo assistendo, in realtà, è unica.

La traduzione integrale, quindi, la troverete nelle note del capitolo 41.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top