39. IN GENIBUS DEORUM

Siamo sulle ginocchia degli Dei.

Così aveva detto Aegis. 

Aidan rimase sorpreso dalla triste rassegnazione di quelle parole, ma non ebbe il tempo di reagire, perché un suono cupo, simile a nuvole che si rotolano cariche di pioggia, interruppe ogni suo ragionamento.

Il boato coprì l'eco della battaglia. L'arciere sollevò il viso verso il cielo e, assieme a lui, tutti gli uomini impegnati nello scontro. Il giorno si era oscurato. Basse nubi erano apparse a nascondere l'azzurro e il loro addensarsi minaccioso sembrava di certo più appropriato agli esiti di quella funesta battaglia. Tutti si chiesero con sgomento quale terribile sortilegio stesse per abbattersi su di loro, quando una pioggia di fuoco si precipitò dalle altezze. Andò a colpire il fianco destro dello schieramento nanico.

La resistenza dell'esercito di Galanár, asserragliata nel gomito del Gorgo, stentò a comprendere ciò che stava accadendo dall'altra parte della parete rocciosa. Sentirono solo che la pressione selvaggia del nemico si era arrestata di colpo. Poi, dal fondo della valle di Hakala, udirono esclamazioni di sgomento e urla di terrore.

L'onda di soldati avversari che si era insinuata nella gola sembrò contrarsi e ritirarsi in un unico, fluido movimento. Gli uomini fissarono esterrefatti le linee nemiche che, senza alcun apparente motivo, indietreggiavano, lasciando davanti a loro qualche metro di inaspettata speranza.

"Ben fatto", commentò Vargas.

Rivolse un cenno al messaggero che gli aveva appena riferito i dettagli di quel primo assalto, poi tornò a fissare la spianata che si stendeva di fronte a lui con uno sguardo acuto e attento.

Al suo fianco, in perfetto silenzio, Edhel stava composto in sella a un candido destriero. Indossava un'armatura dorata, le cui preziose decorazioni si intrecciavano sulle spalline in articolati decori di rami e foglie dove giocava la luce. Un lungo mantello di raso bianco bordato d'oro gli scendeva dalle spalle e si allungava fino a distendersi ordinato sulla gualdrappa del destriero. Non indossava elmo e i suoi capelli rilucevano di fiamma, esaltati da quella cornice. Tra le ciocche di rosso vivo, una sottile tiara di filigrana brillava come diamante.

Tutto in lui sembrava risplendere. Tutto, tranne gli occhi, che erano spenti, mentre il giovane seguiva con aria annoiata lo stesso spettacolo che fissava il suo maestro.

La staffetta gli si fece da presso e gli tributò un profondo inchino.

"Quali sono gli ordini adesso, mio principe?"

Edhel parve esitare un istante, quindi rivolse al soldato uno sguardo glaciale.

"Continuate l'attacco".

L'altro lo guardò titubante, come se si fosse atteso una risposta più esauriente e si trovasse nell'imbarazzo di dover chiedere oltre.

"Come s'è detto... durante il concilio?", azzardò.

"Come s'è detto durante il concilio", confermò il principe, freddo e indifferente. "Sterminate quei maledetti Nani e, quando l'esercito di Arthalion penserà che lo scontro sia finito, catturateli tutti".

"Sarà fatto come comanda il nostro signore".

Con un ultimo inchino, il portaordini rimontò a cavallo e galoppò verso valle, per raggiungere lo schieramento elfico.

Edhel lo seguì con lo sguardo, senza vederlo in realtà. Era immerso nei suoi pensieri. Silanna, un po' discosta, alle sue spalle, lo fissava con sospetto e non osava dire nulla. Sapeva che Vargas non avrebbe perso una sola delle sue parole, quindi non poteva rischiare. I tre, circondati da una cordata di guardie, sovrastavano da quella posizione il passo di Hákala e fronteggiavano l'ingresso del Gorgo di Menavento. 

Scendendo dal valico a Ovest, lo stesso dal quale erano passati gli uomini di Galanár per sferrare l'attacco, l'esercito degli Elfi aveva agevolmente penetrato il fianco dell'esercito nanico, che pressava l'ingresso dell'insenatura rocciosa a sud, totalmente ignaro dell'arrivo di quella nuova minaccia alle spalle.

Gli incantatori tessevano magie distruttive in piena libertà, mentre i Nani, confusi da quell'assalto fulmineo, tentavano di fuggire, creando il caos all'interno del loro stesso schieramento. La pioggia di fuoco continuava inflessibile a scendere dal cielo e ad abbattersi sugli sfortunati guerrieri, mentre la terra sotto di loro si faceva pesante di fango, intralciando i loro movimenti. Le pesanti armature, corrose dal fuoco, diventavano facile bersaglio per le frecce copiose degli arcieri elfici, che in breve tempo annientarono l'ala destra dell'esercito nemico. 

Vedendo il disordine che rompeva le linee avversarie, gli uomini avevano ripreso le speranze. Con ritrovato vigore, si lanciarono all'assalto all'arma bianca.

Mellodîn spronava il cavallo e incitava i soldati senza sosta, galoppando da un punto all'altro delle fila di fanti, che gradualmente si stavano ricompattando.

Voci sempre più insistenti sostenevano che gli Elfi erano arrivati in loro soccorso. La notizia cominciava a essere sussurrata da uomo a uomo, ma il comandante l'accolse con cauto entusiasmo. Dopo il loro abbandono repentino, un ripensamento così tardivo e improvviso era assai poco credibile per lui. Dalla propria posizione non riusciva a scorgere chi fosse a capo del contingente elfico, né se potesse essere considerato amico o nemico della loro causa. L'unica evidenza era che gli incantatori e gli arcieri elfici stavano sferrando un feroce attacco al fianco della fanteria nanica. Bastava, quell'azione, per sancire un'alleanza? 

Il comandante abbracciò con lo sguardo il fianco sinistro dell'insenatura. Avrebbe voluto trovare Aegis. Di certo il maestro elfo sarebbe stato in grado di fornirgli qualche informazione sulle intenzioni dei suoi simili. Se l'incantatore aveva esaudito la sua richiesta, però, in quel momento era già lontano, assieme al principe di Arthalion.

Il loro attacco a sorpresa aveva provocato vistose perdite, ma gli ufficiali elfici non avevano tenuto in gran conto l'elevato numero di risorse cui disponeva l'esercito nanico. Sembravano in grado di rimpiazzare con sorprendente celerità ogni unità caduta. Il fronte elfico, che contava di riunirsi in breve tempo alle forze di Galanár assediate nel Gorgo, dovette rimandare l'incontro e armarsi per un secondo attacco.

I messi si alternavano su e giù per la ripida salita, e i bollettini che recavano non erano felici come avrebbero dovuto essere. Il piano non stava procedendo secondo le loro aspettative. Vargas scambiava battute sempre più serrate con le staffette che chiedevano nuove disposizioni, ma Edhel guardava il cielo, come se la questione non lo riguardasse. Quando ormai nessuno si aspettava più un suo intervento, smise di fissare le volte celesti e si concentrò su un punto che aveva di fronte, dove i nani stavano ricostruendo la linea di resistenza e si preparavano a caricare i tiratori elfici.

"Andrò io", disse.

La sorpresa di Vargas fu tale da fargli dimenticare ogni etichetta.

"Tu?", sbottò.

C'era anche una vena di sospetto in quell'esclamazione. Il principe si voltò e lo degnò di uno sguardo.

"Sì, io", confermò cristallino. "Scenderò io a guidare il prossimo attacco".

Il maestro lo fissò con espressione accigliata e minacciosa.

"Tu non puoi andare. Tu, in mezzo alla battaglia...".

"Non sono che Nani", lo interruppe il giovane. "Non possono nulla contro la nostra magia. E se vogliamo che gli uomini di Arthalion si fidino di noi e ci diano una mano, dobbiamo dare loro un segnale. Lasciate che mi vedano combattere al loro fianco".

L'anziano incantatore meditò qualche istante, poi fece un cenno di assenso con il capo. Edhel non mostrò né sollievo né trionfo per quella approvazione. Si limitò a cercare con lo sguardo l'ufficiale a lui più vicino e cominciò a impartire nuovi ordini. 

Silanna attese che quell'operazione fosse completata, poi gli si fece da presso.

"Vengo con voi", disse.

Serrava le briglie della sua puledra con nervosismo. Edhel fissò prima le sue mani, poi il suo sguardo. La sicurezza che aveva ostentato fino a un attimo prima, sembrò vacillare e lui dovette sforzarsi per assumere un tono freddo.

"No. Voi prenderete due o tre incantatori e vi disporrete su quella sommità a nord-ovest".

Distese il braccio per indicarle una sporgenza che si affacciava sul fianco della spianata, seminascosta da una rada boscaglia. Silanna la studiò, quindi rivolse a Edhel uno sguardo di disappunto.

"Laggiù? Non lo farò, mio signore! La mia magia non vi potrà raggiungere in alcun modo da quella distanza. Non sarò di alcuna utilità per voi".

Edhel si morse il labbro per reprimere l'inquietudine e l'irritazione generate da quella risposta, ma non riuscì a trattenersi.

"Per gli Dei, Silanna! Possibile che non riusciate mai ad accondiscendere alle mie richieste senza protestare?"

Lei si ritrasse, colpita dal tono di fastidio e di rimprovero che lui aveva esibito. Edhel non le si era mai rivolto così. D'istinto pensò di ribattere, ma lui le rivolse uno sguardo così carico d'ansia che si trattenne e si obbligò a chinare il capo.

"Come desidera il mio signore".

Girò il cavallo, fece un rapido cenno con la mano a due incantatori che erano in loro compagnia e si diresse verso il punto che lui le aveva indicato. Edhel non staccò gli occhi da lei fino a quando non la vide ferma tra la boscaglia, e solo allora la sua attenzione tornò allo scontro.

"Muovete verso valle", ordinò agli uomini della sua scorta. "Io vi seguirò tra un istante".

Rimasero soli, lui e Vargas. Il vento che si era levato da nord si era fatto più intenso. Li assaliva alle spalle e allontanava da loro i rumori dello scontro. Edhel ne approfittò per chiudere gli occhi e sgombrare la mente da ogni pensiero. Doveva essere pronto a richiamare i suoi Daimon e a evocare i suoi incantesimi più potenti. Le sue labbra bisbigliarono le parole più sacre.

Vargas rimase in silenzio per rispettare la preparazione del suo allievo, ma lo osservò con attenzione finché non ebbe risollevato le palpebre.

"Siate accorto", si raccomandò.

"Non temete".

"Ricordate: voi siete l'alfiere della luce di...".

Il giovane lo interruppe con una sonora risata. Vargas lo fissò sconvolto. L'essere diventato erede di Laurëlindon non lo autorizzava a quello scherno, né a una qualsiasi mancanza di rispetto nei confronti del suo maestro.

"Edheldûr, come vi permettete di ridere del vostro ruolo?", lo rimbrottò.

"Rido perché siete in torto, maestro".

I suoi occhi brillavano di un cupo sarcasmo e il suo sorriso si era fatto insolente.

"In torto? Io?"

Edhel sogghignò dell'espressione offesa e sconvolta dell'anziano elfo. Distese il braccio e cominciò ad armeggiare con i lacci che gli cingevano l'avambraccio.

"Io non sono l'alfiere della luce".

Prese una pausa studiata ad arte e fissò gli occhi color dell'acqua sullo sguardo di ghiaccio di Vargas.

"Io sono l'alfiere della morte".

Lasciò scivolare nel vento il nastro scuro, che volò leggero incontro al cuore della battaglia. Gli occhi di Vargas caddero con tetro stupore sul tatuaggio che gli decorava la pelle chiara.

L'incantatore non ebbe il tempo di proferire verbo: un rombo di tuono si diffuse intorno, un sibilo tagliò l'aria alle loro spalle e parve precipitarsi verso il basso. Con una risata, Edhel fece impennare il cavallo e si lanciò al galoppo verso lo schieramento elfico. Alle sue spalle, come generati dal ventre stesso delle nuvole, apparvero nel cielo due figure possenti. 

Un drago rosso con lunghe ali infuocate si mosse alla sua destra, mentre a sinistra un drago sottile e trasparente si spiegava in volo e si muoveva leggiadro come un pesce che scivola sull'acqua.

I soldati impegnati nel combattimento non poterono fare a meno di fissare il cielo con sgomento: due enormi draghi planavano verso la spianata di Hákala. Sul punto di toccare terra, le due gigantesche creature deviarono il loro volo. La coda verso il Gorgo di Menavento, rivolsero la loro minacciosa presenza contro lo schieramento dei Nani, e fuoco e acqua presero a riversarsi con violenza su quell'esercito.

Il maestro Aegis era rimasto immobile, incapace di allontanarsi dall'altura rocciosa. I suoi occhi seguivano con profonda ammirazione le evoluzioni celesti dei grandi draghi. Aidan, dietro di lui, guardava lo stesso spettacolo con gli occhi sgranati. Era spaventato ed eccitato al contempo, e incapace di formulare qualsiasi domanda.

"Aegis", riuscì infine a balbettare. "Che... che cos'è?"

L'elfo ammirò la scia di fuoco del drago più grande.

"L'antica stirpe dei draghi divini".

La sua voce bassa e deferente sembrava più adatta a un tempio che a un campo di battaglia.

"Si tramanda che solo il supremo Daimonmaster fosse in grado di evocarli".

A quelle parole, qualcosa si accese nel cuore e nella mente di Aidan.

"Il supremo Daimonmaster?"

Senza avvertire il maestro, scese da cavallo con un balzo. Gli occhi gli brillavano come se fosse stato in preda alla febbre.

"Perdono, maestro", sciorinò in fretta.

L'elfo lo vide allontanarsi, ma era troppo scosso dagli eventi e dall'inspiegabile comportamento del giovane per reagire con prontezza.

"Se lì c'è il supremo Daimonmaster", ragionò Aidan ad alta voce. "Allora è lì che troverò Edhel".

Raggiunse il limite dell'altura. Studiò le rocce che dall'una e dall'altra parte scendevano verso il Gorgo di Menavento e verso il Passo di Hákala, poi scelse quell'ultima strada.

Senza più pensare o badare a nulla, si lasciò scivolare. Con le mani cercava di aiutarsi nella caduta, con gli occhi seguiva la scia lucente del drago di fuoco, come se potesse fargli da guida.

Dov'è il supremo Daimonmaster, là troverò Edhel.

Là è il mio sangue e là è la mia vendetta!

NOTA DELL'AUTORE

Nei poemi omerici appare l'espressione Il futuro è sulle ginocchia di Zeus, per alludere al fatto che fosse sconosciuto agli uomini. Questo concetto è ripreso successivamente anche nella cultura latina (Il futuro è sulle ginocchia di Giove).

Nel Medioevo, invece, all'interno della sequenza classica del Futhark (l'alfabeto germanico antico) viene introdotta un'ultima runa. Si tratta di Wyrd, una runa vuota che non contiene simbolo, nota anche come Runa del Destino o Runa di Odino, che del destino era signore. Nella divinazione, essa rappresenta appunto l'idea di "essere sulle ginocchia degli Dei".

Curiosità: La runa, per quanto successiva alla tradizione germanica, si rifà a un concetto dell'antica cultura norrena, il Wyrd appunto, che potremmo tradurre come Fato o Destino. Il Wyrd è mutevole e imprevedibile, perché non si ripresenta mai allo stesso modo.

Il termine compare nel poema antico inglese Il Vagabondo (Wyrd bið ful aræd, Il Fato rimane totalmente inesorabile) e nel più famoso Beowulf (Gæð a wyrd swa hio scel, Il Fato prosegue come vuole), e da esso deriva il termine dell'inglese moderno weird (ovvero strano, bizzarro).

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