36. UNUS SED LEO
Due file alternate di cavalieri formavano la testa dello schieramento. Le bestie disposte con ordine, cominciavano a scalpitare per lo stretto allineamento cui erano state costrette. Fiutavano l'odore degli altri animali vicini, della polvere e della tensione. Ai lati, più arretrate, due ali di fanti proteggevano gli arcieri e i balestrieri. Alle loro spalle, ciò che restava della Schiera degli incantatori e dei guaritori.
Gli ufficiali erano rimasti sulla piccola altura a nord-ovest del campo di battaglia. I loro occhi erano fissi su di lui, che scrutava a est la linea del nemico in avvicinamento.
Galanár si voltò a guardare il suo esercito . Accarezzò con lo sguardo la gloriosa cavalleria di cui andava tanto fiero, poi i suoi occhi si levarono in alto, a sfiorare i vessilli innalzati a intervalli regolari, testimoni dell'unione dei sei regni della Lega. La luce si infrangeva contro le aste metalliche, mentre il vento gonfiava le stoffe e faceva guizzare i disegni che campeggiavano sui drappi. Per la prima volta si accorse di guardare a quelle insegne con un sentimento di tristezza misto all'amarezza.
Non era così che aveva immaginato quell'alba.
Avrebbe dovuto essere l'ultima cavalcata verso la definitiva vittoria, ma quel sogno era ormai lontano, evaporato con la bruma della notte. Il lavoro di anni era stato spazzato via in pochi, frettolosi minuti. Quegli stendardi si sarebbero tinti di sangue e polvere, e forse non si sarebbero più sollevati da terra.
Il primo sole del mattino fece brillare gli elmi e le alabarde come la superficie del lago di Arthalion nelle calde giornate d'estate. Galanár guardò quella cresta d'onda che si mescolava al dolce dolore dei suoi ricordi e desiderò affondare in quella luce, annientarsi in quel bagliore.
Se doveva davvero morire, e quello era il giorno, il Fuoco Splendente l'avrebbe fatto a suo modo.
Spronò il cavallo e sfilò di fronte ai soldati, perché tutti potessero salutare il loro generale, prima di fermarsi al centro dello schieramento.
"Questa non è la battaglia che tutti noi avevamo sognato", gridò all'indirizzo dei suoi. "E non è la battaglia che abbiamo inseguito per anni. Potrei cavalcare di fronte a voi e dirvi che andrà tutto bene. Potrei cavalcare di fronte a voi e giurarvi sul mio onore che noi vinceremo. Ma io ho un debito con voi, signori, per tutte quelle volte in cui voi mi avete portato quella vittoria che io vi avevo promesso. Per questo io non vi mentirò, e non vi dirò che oggi il sole tramonterà sui corpi straziati dei nostri nemici, non vi dirò che non moriremo".
Brandì Ariendil e la puntò verso il sole, con quel gesto di sfida e di minaccia che aveva sempre esibito prima di ogni battaglia.
"Una cosa soltanto, posso giurarvi: soldati, compagni, amici, qualunque sia l'esito della battaglia, nessuno godrà mai del piacere di questa vittoria. Nessuno ballerà di gioia sulle macerie del nostro esercito, nessuno vorrà ricordare questo giorno, né riportarlo sui libri, né narrarlo ai propri figli".
L'aria si riempì di voci esultanti, che risposero con un grido al suo grido. Il suo spirito si riempì, una volta ancora, di gioia mortale.
"Perché quei pochi che saranno così fortunati da trascinare la loro esistenza lontano da questo terreno, vivranno con l'immagine del terrore e della morte negli occhi per ogni giorno che gli dei concederanno loro, e desidereranno piuttosto essere periti in questo giorno insieme ai loro compagni. Perché noi ce ne andremo, miei signori, nello splendore delle fiamme e della distruzione!"
La sete di vendetta e il desiderio di rivalsa contro il fato che aveva mutato gli eventi, gli pungevano il cuore. A quel punto della storia, avrebbe sfogato la sua insoddisfazione contro qualsiasi cosa gli si fosse presentata dinnanzi agli occhi.
Se non poteva avere ciò che desiderava, allora non avrebbe lasciato nulla dietro di sé.
Spronò il cavallo e lo guidò al galoppo, per sfilare un'ultima volta davanti ai suoi cavalieri, sfiorando con Ariendil le punte delle spade e delle lance che essi tendevano verso di lui.
Aidan non era riuscito, suo malgrado, a sottrarsi alla magia di quel momento. Aveva seguito ogni parola di suo fratello con sguardo incantato. Mentre osservava i cavalieri tendere le proprie armi verso il loro re, ebbe un moto di profonda emozione. Mellodîn, al contrario, sembrava molto preoccupato. Per lui.
"Qualcosa ti turba?", gli chiese infine.
"No. Nulla potrebbe turbarmi adesso".
Adesso ho un motivo per tornare!
Si crogiolò per un istante in quel pensiero felice, poi il suo sguardo tornò a fissarsi su Galanár.
"Pensavo solo che, se anche quell'uomo non fosse mio fratello, lo amerei comunque. Perché ha mille difetti, ma nessuno è uguale a lui. Nessun altro al mondo sarebbe capace di condurre tanti uomini per miglia e miglia dalla parte opposta di un continente, e felici di farsi ammazzare".
Mellodîn annuì, ma la sua attenzione restò comunque fissa sul giovane arciere. Mise una mano sul braccio di Aidan e si chinò verso il suo orecchio.
"Ascoltami bene: non voglio vedere eroismi in questa battaglia, e non voglio vedere sciocchezze. Se il fato sarà avverso, io non ti voglio in mezzo alla mischia. Tu hai un nome e un titolo cui è legato un compito, che ti piaccia o no. Ti aprirò la via col mio corpo se necessario, ma se dovessimo ripiegare, io ti voglio lontano da qui e non accetto discussioni".
Il ragazzo chinò lo sguardo, come perplesso da quel discorso, ma il suo viso si aprì invece in un sincero sorriso.
"Sapete? Se pure non foste il mio maestro che mi ha cresciuto, anche voi amerei comunque. Perché non ho mai conosciuto nessuno al mondo capace di pensare al bene degli altri quando potrebbe morire".
In quell'istante la voce di Galanár ordinò lo schieramento. Gli ufficiali si raccomandarono l'un l'altro alla benevolenza degli Dei, quindi ognuno cavalcò verso la propria posizione, in attesa del segnale di attacco.
Il primo impatto fu feroce e terribile. Ogni elemento si confuse nel moto convulso di uomini e cavalli, nel fragore del metallo, nelle urla di rabbia e di dolore. La percezione del tempo sembrava essersi dilatata, quella del suono sembrava esistere al solo scopo di amplificare l'onda d'urto delle due macchine da guerra che si scontravano.
Galanár stava puntando tutto su quella prima fase della battaglia. La cavalleria di Arthalion era il suo orgoglio personale. Nessun altro esercito poteva vantare una tale forza e un simile, raffinato addestramento. Inoltre, così scoperti com'erano dalla mancanza di magia, era l'unico reparto di assalto pesante di cui disponeva. In cuor suo, il generale pregò gli Dei per la prima volta, perché le linee non si spezzassero troppo in fretta. Se i Nani avessero trovato subito un varco, gli arcieri sarebbero stati massacrati.
Aidan scrutava ansioso quel primo scontro, con il sangue che gli pulsava nelle vene e il respiro mozzato. Sentì il violento cozzare delle armi e assorbì come meglio poté il contraccolpo che, dalla testa dell'armata, si diffuse come un'onda fino alle retrovie.
Cercò il fratello nella mischia e il cuore gli balzò in gola: nell'intrico di lance e spade che si incrociavano, lo vide torcere la cavalcatura. La bestia si impennò e la sagoma del generale scomparve, inghiottita nello scontro.
Aidan cominciò ad agitarsi. Cercò con lo sguardo Mellodîn, che si trovava ancora più a destra. Come avrebbe dovuto comportarsi, se il segnale dell'attacco non fosse arrivato? Tirare troppo presto o troppo tardi avrebbe potuto compromettere il delicato equilibrio dell'intero scontro. Senza Galanár, avrebbe dovuto riconoscere da sé il momento migliore, ma sarebbe stato in grado di farlo?
Vide le ali dell'Idra che decoravano l'elmo del re sollevarsi e brillare sotto il sole. Non cercò nemmeno di nascondere il sospiro di sollievo che gli aveva vuotato il petto. Se il re fosse stato abbattuto proprio all'inizio del combattimento, sarebbe stato il caos, eppure nessuno aveva messo in dubbio il fatto che avrebbe guidato l'assalto di persona, come aveva sempre fatto.
Fu in quel momento che qualcosa di insolito attirò la sua attenzione. Qualcosa che si spostava nel verso opposto rispetto al movimento di contraccolpo della cavalleria. Qualcosa che, al primo sguardo gli avrebbe dato i brividi, se la ragionevolezza non avesse preso il sopravvento.
Una figura femminile avvolta in un lungo mantello scuro si era fatta strada fin quasi a raggiungere la prima linea dell'esercito. Seguiva il generale a distanza di sicurezza e sembrava che il suo unico scopo fosse quello di assisterlo con la propria magia.
Quando un raggio di sole fece risplendere una ciocca bionda sfuggita dal cappuccio, Aidan provò una tremenda paura e un enorme conforto nel medesimo istante.
Adwen non aveva mai visto il dramma e il tormento della lotta così da presso.
Il vuoto lasciato da Silanna era evidente e drammatico. La sua assenza sul campo aveva aperto una voragine. Lei non aveva la potenza della sorella e non conosceva l'arte di curare a grande distanza. Non era mai stata in guerra e non aveva conoscenze militari, ma l'istinto arcano della Terra le instillò subito una consapevolezza essenziale: il corpo del generale era il corpo del suo esercito, quindi lui andava assistito e salvato a ogni costo.
Se fosse rimasta tanto arretrata, i suoi incantesimi di cura, per quanto efficaci, si sarebbero rivelati inutili, così Adwen si spinse fino a raggiungere le spalle della cavalleria. Cercò di non esitare e di non indietreggiare, anche se, metro dopo metro, era sempre più terrorizzata dallo scontro, dai corpi contorti dallo sforzo, dalla violenza, dalle urla, dal sangue.
Si disse che, se non l'avesse trafitta un'arma del nemico, sarebbe morta di paura, ma ormai era decisa a non perdere d'occhio Galanár, a essere il suo spirito buono. Un solo pensiero le infondeva coraggio: da quella posizione, era più vicina anche ad Aidan.
Mentre tutti seguivano l'assalto della prima linea, Mellodîn guardava Aidan. Si era accorto che qualcosa non andava fin da quando si erano schierati, lui a destra, l'altro a sinistra della gigantesca creatura alata disposta a valle. L'arciere era fremente, nervoso, come se non avesse la pazienza necessaria per attendere il momento giusto. Una simile intemperanza raramente giovava a un guerriero.
L'urlo di rabbia di Galanár si sovrappose al fragore della battaglia.
"Caricate!"
Era il segnale. Mellodîn sollevò il corno e pregò gli Dei che la mano di Aidan non avesse esitazione. Soffiò con tutto il fiato possibile e un suono carico di oscura emozione si distese sugli uomini schierati. Il principe sollevò il braccio rivestito di cuoio.
"Arcieri! Armate... puntate... tirate!"
Il familiare stormo di sottili uccelli neri si levò in volo al di sopra delle loro teste e superò i destrieri impegnati nella lotta e le lance incrociate. Quindi, rispondendo a un preciso richiamo, mutò direzione e si impennò, gettandosi a capofitto verso il suolo.
Mellodîn non poté fare a meno di pensare che un tempo quella pioggia di frecce, raggiunto l'apice del proprio arco, si sarebbe accesa di mille fiammelle, e quel ricordo lo riempì di rammarico.
Le frecce rimasero mute e spente, ma ricaddero lo stesso a reclamare il loro tributo di sangue nemico. Quando ebbero toccato terra, però, arcieri e balestrieri si accorsero con sgomento che il loro intervento non aveva sortito l'effetto previsto. Avevano colpito senza uccidere, scalfito senza penetrare. Le armature dei nani sembravano essere state perfezionate e il loro raffinato intreccio di metallo aveva spezzato le punte dei dardi.
Aidan fissò lo spettacolo dei nemici colpiti che si risollevavano per riprendere la lotta e gli sembrò di poter perdere la ragione: mai gli era accaduto di fallire così vistosamente.
"Di nuovo!", gridò. "Armate di nuovo!"
Gli arcieri, ancora increduli, sobbalzarono all'udire l'ordine e si affrettarono a incoccare le frecce nell'arco.
"Tirate!"
La nuova pioggia si sollevò e ricadde ad aumentare le ferite, ma non il numero dei caduti. Aidan cominciò a boccheggiare di fronte a quello spettacolo. Reso insofferente dalla collera, si strappò l'elmo dal capo.
"Armate!"
"Aidan!"
"Puntate!"
"Aidan!"
La voce colma d'ira di Mellodin lo colpì come uno schiaffo. Abbassò il braccio con sorpresa quando si accorse che il cavaliere si era lanciato al galoppo dal lato opposto del campo per raggiungerlo.
"Aidan, fermati!"
Nel vederlo arrivare con tanta foga, gli arcieri abbassarono l'arco, indecisi su quale fosse l'ordine a cui obbedire.
"Non lo vedi che è inutile?", ruggì. "Stupido ragazzo, risparmia le frecce per quando dovrete ficcargliele nella gola!"
Aidan abbassò lo sguardo, confuso.
"Quindi è così?", disse con voce spenta. "Non c'è altro che possiamo fare?"
"Senza la magia, no. Comincia a escogitare un buon modo per salvare la vita a te e ai tuoi, ma per il resto sta' qui e obbedisci agli ordini. A tutti gli ordini. Senza prendere iniziative!"
Il ragazzo si morse le labbra e annuì. Mellodîn girò il cavallo, diretto verso il suo reparto.
In quel momento la linea della cavalleria si spezzò e i fanti, attraverso la breccia, si lanciarono con grida selvagge nel corpo a corpo. Le ali dei lancieri arretrarono, così come previsto dai piani, scivolando nei corridoi laterali predisposti per il loro passaggio.
Bellator e Amalion sfoderarono le spade e ordinarono la carica ai loro uomini ma, al primo impatto, il cuore venne loro meno. Si erano aspettati di trovarsi dinnanzi un numero molto ridotto di nemici. Credevano che la pioggia di frecce e lance avesse decimato i fanti, mentre invece se li trovarono contro, coperti di sangue e di ferite che, anziché indebolirli, li avevano solamente resi più inferociti.
Le loro armature sembravano scolpite nella roccia: il filo delle spade umane scintillava e si intaccava al contatto con quella superficie. Provarono a opporsi a quella forza selvaggia, ma dopo un po' iniziarono a indietreggiare, mentre lo schieramento si sfaldava.
Il capitano di Medthalion maledisse la sorte e la tempra dei Nani. Cercò di tagliare il campo, alla ricerca dell'altro ufficiale che aveva perso di vista dopo il primo assalto. Quando lo scorse, Amalion era a terra. Teneva davanti al viso lo scudo, mentre cercava di respingere i colpi di lancia di un massiccio guerriero nemico. Era stato appiedato e il cavallo giaceva riverso su un fianco, con una profonda ferita d'ascia sulla punta della spalla.
Bellator si lanciò verso i due contendenti, instillò nel colpo tutta la rabbia che provava e staccò di netto la testa dal busto del nano. Quando vide il corpo del guerriero accasciarsi su se stesso, come un sacco svuotato del proprio contenuto, trasse un sospiro. Scese da cavallo e tese un braccio al suo compagno.
"Siamo in pochi", esclamò con voce rotta, mentre lo aiutava a sollevarsi. "Troppo pochi".
Amalion si guardò intorno, nel tentativo di cogliere l'andamento della lotta che aveva perso di vista nel momento in cui aveva dovuto difendersi dall'assalto.
"Non è ancora finita".
"Gli arcieri del principe Aidanhîn sono in rotta, stanno ripiegando sul fianco, non possono più coprirci".
"Non importa, dobbiamo resistere. È per questo che siamo qui, in fondo. Per trattenerli fino a che non sia giunto il momento".
Bellator annuì.
"Hai ragione", disse. "Non è finita finché non è finita, giusto?".
"Già", sorrise l'altro. "E la via della gloria è sempre molto più lunga di quella della vergogna. Quindi, fratello, prestami il cavallo. Andrò a dare un po' di ordine e di coraggio alla testa dei soldati".
"Andrò io", protestò Bellator.
Amalion scosse il capo.
"Mi hai appena salvato la vita. Tocca a me".
Bellator si arrese a quella richiesta. Lo guardò montare a cavallo e allontanarsi, quindi si rivolse ai fanti che lo circondavano. Urlando con quanto fiato aveva in gola, si diede da fare per riorganizzare le retrovie e prepararle ad assorbire l'onda d'urto che avrebbero presto ricevuto dal fronte.
NOTA DELL'AUTORE
Il titolo è tratto da una delle favole di Esopo, La scrofa e la leonessa, in cui la scrofa si vanta della sua numerosa cucciolata e chiede alla leonessa perché abbia un solo cucciolo. La risposta della leonessa è "Uno, ma leone", alludendo alla superiorità della qualità sulla quantità.
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