33. SUNT GEMINAE SOMNI PORTAE

Nessuna nuvola osava offuscare il blu intenso di quel cielo notturno, terso e stellato.

Edhel non era mai stato a Laurëgil, eppure gli sembrava che il suo spirito avesse albergato in quella rocca eburnea da sempre. Aveva già osservato quel cielo e conosceva quella notte. Era stato in quel posto mille altre volte.

In un battito di ciglia, la rocca fu elevata e cadde, la vide splendere e bruciare.

No, non voglio! 

Tentò di opporre resistenza. Non voleva che le visioni ricominciassero. Ciò che lo sopraffece, però, sembrava diverso dalle volte precedenti. Si arrese e vide di nuovo eserciti scontrarsi nel fragore della lance e nel calore del sangue, alate creature leggendarie tornare in vita e un intenso lampo di luce allargarsi sulla terra. L'idra si levava dall'ombra con una palla di fuoco sulla zampa ungulata, la rocca bruciava tra le fiamme, i regni cadevano e risorgevano dalle proprie ceneri.

Oh, miei Dei... perdono per tutte le colpe!

Un gemito doloroso gli sfuggì dalle labbra, mentre cercava di controllare lo spasimo che gli attanagliava il torace. Quelle immagini che si precipitavano fameliche e ingorde in mezzo ai suoi pensieri lo stavano stremando. Da quando aveva messo piede nella capitale elfica, lo sguardo degli Dei sembrava fisso su di lui, instancabile.

La sera era così bella che gli sembrava sconveniente essere tanto triste. Aidan, però, riusciva a provare soltanto solitudine e confusione. 

Cercò nel vento una risposta alle proprie domande. Se avesse avuto ancora il suo falco, l'avrebbe fatto librare in volo e si sarebbe lanciato dalle altezze, in picchiata, verso il bosco. In quel brivido e in quella caduta avrebbe liberato la mente dai pensieri.

Ci ha traditi, offesi, ingannati! Ha legato il suo destino a quello dei nostri nemici! Lui, un principe di Arthalion!

Le parole di Galanár gli tornavano alla memoria e gli bruciavano dentro. Odiava se stesso al pensiero di non aver avuto il coraggio di rispondere a quelle accuse. Ma come avrebbe potuto, d'altronde? 

Tutto parla contro di te, Edhel. Non posso più difenderti, e non posso più difendermi. 

Si distese sull'erba morbida, appoggiò il capo sul braccio e fissò il cielo stellato. 

La voce di Galanár e quella di Aegis si confondevano e si amplificavano, mescolandosi alle mille voci senza nome dei suoi arcieri e degli altri soldati. 

Lui ne cercava una soltanto, e non era tra quelle.

Si distese sul letto morbido, appoggiò il capo sul braccio e fissò il soffitto. 

Non voleva più guardare le stelle. Sapeva che un altro le stava guardando. Il legame esisteva da sempre. Dopo la discussione con Vargas aveva solo avuto la certezza che non era possibile annullarlo, perché era scritto in ogni particella del loro corpo. 

Se solo avesse potuto vederlo, Aidan! Una volta ancora, una volta soltanto.

Gli sarebbe bastato, o avrebbe fatto in modo che bastasse. Avrebbe potuto raccontargli quello che aveva scoperto, spiegargli quanto erano stati ingannati e come tutto fosse andato diversamente da come ci si era attesi. Gli avrebbe detto, soprattutto, che c'era ancora una possibilità per cambiare la storia.

Finché sopravvivranno il nostro affetto e la nostra lealtà, la scelta esiste, Aidan!

Se solo avesse potuto vederlo, Edhel! Una volta ancora, una volta soltanto.

Gli sarebbe bastato, o avrebbe fatto in modo che bastasse. Con Edhel non aveva mai avuto bisogno di troppe parole. Uno sguardo, un cenno del capo, una piega particolare all'angolo della bocca erano sufficienti. 

Dove sei?

Stava davvero dormendo accanto a quella donna, nella reggia degli Elfi, senza rimpianti e senza rimorsi? Non riusciva a figurarsi quella scena.

La brezza gli portò un richiamo lontano: il suo nome era nel vento e la voce di Edhel lo ripeteva. Un dolore insopportabile al petto lo costrinse a tirarsi su dal suo letto di foglie: la presenza del suo gemello sembrava viva e reale.

Non credere sempre a tutto quello che ascolterai, Aidan.

Se Aidan fosse stato lì, avrebbe ammesso senza remore che aveva avuto ragione in tutte quelle occasioni in cui lo aveva rimproverato: aveva sempre teso l'orecchio alle lusinghe, cercato le attenzioni degli altri e creduto che fosse legittimo utilizzare qualsiasi mezzo per ottenere ciò che desiderava.

Quando le sue aspettative erano state deluse, si era abbandonato tra le braccia di Vargas perché non sapeva cos'altro fare.

Gli ho venduto la mia anima perché nessuno la voleva.

Forse avrebbe potuto almeno cedergliela a un prezzo più alto, ma ormai non aveva importanza. Si sarebbe ripreso tutto: il tempo, i sogni e le ambizioni. 

È questo il tributo che il mio cuore pretende, adesso: un tributo di sangue! 

Già, il suo cuore! Un cuore che amplificava sempre ogni emozione e che Edhel non aveva mai imparato a dominare. Un cuore che, quando si era sentito respinto, era stato capace di passare dal più fervido amore al più profondo odio.

Perché un Elfo con il cuore di un Uomo è solo una sventura! 

Non voglio la tua approvazione, voglio la tua fiducia. Sarà sufficiente per quello che devo fare.

Aidan non avrebbe saputo dire se la voce che ascoltava fosse davvero quella di Edhel. Rigettava quell'idea, ma dentro di sé era sempre più convinto che il gemello avesse trovato un modo per comunicare. Una parte di lui si sentiva oppressa al pensiero che volesse obbligarlo all'ascolto. L'altra parte, però, avvertiva una nostalgia incolmabile, e quella vinse. 

È questo che vuoi, vero? La mia fiducia incondizionata, una volta ancora? 

Poteva farlo, ma a che prezzo? Pagando un dolore che Edhel non avrebbe mai visto né considerato. Lui, che pensava sempre che tutto gli fosse dovuto.

Me l'hai già chiesto troppe volte. Stavolta no.

Si levò in piedi: non voleva restare sotto quel cielo un istante di più. 

Rientrò alla fortezza. Non era ancora tardi per dormire. La primavera era alle porte. Presto sarebbe giunto il momento della battaglia e, a quel punto, il riposo sarebbe cessato per tutti.

Mentre saliva le scale che conducevano al loggiato, vide una figura in cima: i capelli biondi raccolti in una treccia, lo sguardo vigile e l'atteggiamento di chi sperava di vederlo tornare. Non era certo la persona che avrebbe pensato di incrociare, a quell'ora della notte, ma la salutò con un inchino compito che nascose la sua perplessità.

"Il comandante vi stava cercando", disse Alis con urgenza.

Quella frase lo mise in allarme.

"Dove posso raggiungerlo?"

"Non potete, adesso. È con vostro fratello e con il maestro Aegis. Mi ha chiesto di aspettarvi per darvi le ultime notizie".

"È successo qualcosa?"

Lo sguardo di Alis era angosciato e rassegnato insieme, come di fronte a una tragedia ormai avvenuta.

"Più che qualcosa: gli Elfi hanno lasciato il castello".

"Alis, che dite?", sbottò Aidan, atterrito. "Non lo credo possibile!"

"Cercate di crederci, invece, e fatelo in fretta, perché l'esercito di Formenos ci ha lasciati. Pare che siano diretti a Laurëgil per unirsi a... al nuovo principe".

L'espressione sul volto di Aidan si fece sgomenta. Quella spiegazione rendeva tutto logico e plausibile.

Persino prevedibile, se fossi stato più lungimirante e meno idealista.

"Siamo rimasti soli?", chiese piano.

C'era una tale desolazione nella sua voce, che Alis provò l'istinto materno di abbracciarlo.

"Solo il maestro Aegis e un piccolo gruppo dei suoi più fedeli incantatori sono ancora qui", rispose. "E Adwen, la giovane di Valkano".

Aidan non riuscì a trattenere la propria emozione.

"Adwen è rimasta?"

Gli sembrava incredibile. Perché l'aveva fatto? Non seguire la sua stirpe, la sorella? Non seguire Edhel?

"Sì", confermò Alis. "Anche se è molto turbata da questi avvenimenti. Ho cercato di parlarle, ma sembra un'impresa cavarle una parola di bocca. So che le siete amico, forse dovreste farlo voi".

L'arciere, a quelle parole, si ritrasse.

"No, io... non sono io quello...", si schermì.

Senza attendere il resto della frase, la donna mise le mani sui fianchi e lo guardò con severità.

"Benedetto ragazzo, davvero non sono stata capace di insegnarvi qualcosa di utile in un intero viaggio?"

Aidan si strinse nelle spalle e la guardò senza capire.

"Ditemi", proseguì lei, "che cosa vi ha fatto il comandante dopo che mi avete condotta qui?"

Lui rifletté un istante: non aveva più pensato a quella faccenda, che pure all'inizio lo aveva preoccupato tanto.

"Nulla, in verità", ammise con sua stessa sorpresa.

"Appunto. E sapete cosa dovrebbe insegnarvi, questo?"

Aidan scosse il capo con lentezza e non aprì bocca. Aveva la netta impressione che qualsiasi risposta sarebbe stata sbagliata.

"Che al mondo esistono persone capaci di chiedervi tutto con uno sguardo, ma non con le parole. Persone che non sono abituate a dire ad alta voce cosa le rende felici, perché nessuno ha spiegato loro come si fa, ma questo non significa che non provino gioia, talvolta molto più profondamente di chi della felicità ne fa un proclama".

Prese una pausa e gli cercò gli occhi con un sorriso pieno d'affetto.

"Sta a noi, principe Aidanhîn, metterci in viaggio per raggiungerle".

"Voi l'avete fatto davvero", osservò lui, colpito da quel discorso. "Ma è più semplice, quando si ha la certezza di essere amati".

"Le certezze sono per gli Dei, che sono immutabili, non per le loro creature. E voi maschi", ridacchiò, "voi mi sorprendete sempre: vi lanciate in battaglia contro il nemico senza un'esitazione e poi tremate di fronte a una fanciulla... non è strano?"

Lui sorrise di rimando. 

"Grazie, signora". 

Le prese la mano e la baciò.

"Quando vedrete il comandante, ditegli che sono a sua disposizione".

Aidan non tornò subito nelle sue stanze. Allungò il tragitto per passare davanti a quelle di Adwen. Lo faceva ogni sera. L'essersi assegnato quel compito di vigilanza gli permetteva di andare a dormire tranquillo.

Quella notte, però, si sorprese nel vedere un filo di luce che sfuggiva dall'uscio e si arrestò. Lei era sveglia e lui aveva ancora nelle orecchie le parole di Alis. Pensò che, per una volta, avrebbe anche potuto mettere da parte le sue abituali remore.

Si annunciò e attese il suo invito prima di entrare. Adwen sedeva al suo scrittoio, il volto illuminato dalle candele. Aidan passò un'occhiata curiosa nella stanza e sugli oggetti, poi il suo sguardo tornò su di lei.

"Qualcosa vi turba, signora?", esordì gentile. "È tardi". 

"Non è mai tardi per pregare gli Dei, altezza".

"Pregare gli Dei?"

"Sì. Per coloro che sono lontani e non possono farlo".

Aidan sgranò gli occhi per lo stupore, ma la sua espressione si accigliò un attimo dopo, appena comprese.

"Pregate per lui? Sapete cosa è appena accaduto". 

Lei sorrise, per nulla turbata dalla sua reazione.

"Proprio perché lo so, sto invocando la benedizione di Amaurea. Nessuno ne ha bisogno quanto lui, stanotte".

Il giovane distolse lo sguardo. Non si era aspettato quelle parole e non sapeva cosa ribattere: qualsiasi frase, a quel punto, gli sembrava fuori luogo.

"A cosa devo questa visita improvvisa, a parte ricevere il vostro biasimo?", domandò la fanciulla.

Aidan sobbalzò: era quella l'unica emozione che era riuscito a trasmetterle? Il suo biasimo? 

Era di certo molto distante dalle sue intenzioni, sebbene non sapesse nemmeno quali fossero davvero. Aveva risposto all'istinto, non alla ragione, e non aveva preparato alcun discorso. Poteva dirle che era soltanto felice, felice oltre ogni immaginazione, di saperla ancora lì?

"Vi chiedo perdono per la mia scortesia. La verità è che ho appena saputo da dama Alis quanto accaduto e ho pensato che avreste gradito il sostegno di un amico".

Di fronte a quell'ammissione semplice e sincera, lei sorrise. In quel gesto, Aidan pensò di trovare il coraggio per proseguire. 

"Non so cosa accadrà nelle prossime settimane. Non conosco i piani di Galanár per la battaglia e, a questo punto, non so nemmeno se saremo ancora in grado di affrontarla. Sono venuto a dirvi che, in qualsiasi circostanza ci dovessimo trovare, la mia vita è al vostro servizio".

L'elfa sgranò gli occhi, sgomenta. Quelle parole rendevano fisica e materiale una situazione che cercava di rifuggire da giorni: tutti loro si reggevano, in quel momento, su una superficie fragile e precaria.

Lei non si era nemmeno assuefatta a quel mondo violento, e quel ragazzo, che riusciva a sposare con naturalezza la brutalità della guerra alla delicatezza del cuore, si stava offrendo di morire per lei? Era un'idea che non poteva accettare e che doveva cancellare dalla testa di lui a ogni costo.

Si sollevò in piedi e il libro che stava leggendo scivolò sul pavimento con un tonfo sordo.

"Principe Aidanhîn, io non desidero che mettiate a rischio la vostra vita per me. Non lo merito e sono certa di non avervi mai dato alcun motivo per farlo".

Si era sforzata di apparire distante e decisa, ma la voce le si era incrinata in un accento di infelicità. L'arciere cominciò a chiedersi quale potesse essere la causa, come se scoprirlo fosse vitale.

Pensava ancora a Edhel? Non ne era convinto.

Era davvero preoccupata per lui? Aidan era sempre stato incline a non immaginare e a restare con i piedi per terra. Aveva visto troppe volte quanto cadere dall'alto di un'aspettativa o di un'illusione potesse fare male, ed era un dolore che non voleva provare.

Smise, quindi, di fare congetture e pensò che dire la verità, senza troppi fronzoli, fosse l'unica scelta sensata da fare, soprattutto in vista di una battaglia dalle sorti tanto incerte.

Si avvicinò di un passo e le strinse con delicatezza la punta delle dita in una mano.

"Pensate che io abbia bisogno di un motivo per dedicarmi a voi, oltre al fatto stesso che esistiate e che facciate parte del mio mondo? In verità, signora, non me ne occorre uno più valido".

Lei tremò nella penombra della fiamma. Cercò una risposta per farlo tacere, ma qualcosa negli occhi di Aidan le impedì di pronunciarla. Lui sorrise gentile di fronte alla sua esitazione. 

"Adwen", la chiamò pronunciando con calore ogni lettera di quel nome, "non occorre che mi mettiate a tacere. Non sono sciocco, non mi aspetto che mostriate un sentimento che in voi non esiste. L'amore non nasce solo perché si è amati".

A quella parola, amore, lei rivolse lo sguardo altrove e si lasciò sfuggire un gemito.

"Cosa ho fatto di sbagliato, per indurvi a questo?", mormorò.

Quando tornò a guardarlo, i suoi occhi erano velati di lacrime. Aidan sospirò e le lasciò la mano: era stato pazzo a voler iniziare quel discorso?

"Non avete fatto nulla, non vi rimproverate", la rassicurò. "Non ho nessuna pretesa su di voi. Lo sapete, io non sono un cavaliere, sono solo un arciere. In battaglia, sono quello che sta nell'ombra per proteggere coloro che cavalcano alla luce. È il posto che ho scelto, quello che amo. Lasciate quindi che io sia l'arciere all'ombra della vostra vita. Mi basta questo".

Adwen chiuse gli occhi. Edhel era stato il primo, piccolo dolore della sua giovane vita, e le aveva insegnato quanto potesse essere amaro un sentimento non ripagato. Senza volerlo, si stava ritrovando dalla parte opposta di quel tormento, e di fronte a lei c'era Aidan. Avrebbe dato qualsiasi cosa perché lui non soffrisse, perché non perdesse quel sorriso che le aveva sempre trasmesso la forza di una carezza.

Tornò a guardarlo e si accorse di vederlo per la prima volta. Non gli importava quanto fosse difficile parlarle in quel modo, non gli importava sapere che non avrebbe avuto nulla in cambio. Lui aveva comunque la forza di sorriderle ancora.

È lui la mia metà migliore. Lui possiede la luce delle stelle.

D'un tratto le parole di Edhel assunsero un significato. Una lacrima di commozione le solcò la guancia, ma Aidan non la comprese. Pensò di aver sbagliato a credere che fosse cambiato qualcosa. Forse lei non era riuscita a cancellare Edhel. Forse soffriva perché lui li aveva abbandonati. Non poteva consolarla di quella perdita solo perché lo desiderava.

Si limitò a fare l'unica cosa in suo potere: le passò un dito sulla guancia per cancellare quella lacrima. Adwen non si ritrasse, ma i suoi occhi corsero a fissare un punto lontano.

La lacrima gli si era asciugata fra le dita, le candele continuavano ad ardere, il libro restava capovolto ai loro piedi: l'immobilità di quell'attimo parve ad Aidan l'immobilità stessa della loro situazione. 

Pazienza. Almeno le ho detto tutto prima che sia troppo tardi.

Si chinò, raccolse il libro e lo mise tra le mani di lei, poi le augurò la buonanotte.

Adwen lo seguì con lo sguardo. Il suo cuore le gridava di trattenerlo, di non lasciarlo andare, ma la sua bocca non ebbe il coraggio di dire quello che davvero pensava.

NOTA DELL'AUTORE

Il titolo di questo capitolo è tratto dall'Odissea (XIX, 562-5):

Sunt geminae Somni portae; quarum altera fertur / cornea, qua veris facilis datur exitus umbris, / altera candenti perfecta nitens elephanto, / sed falsa ad caelum mittunt insomnia Manes

Le porte del Sonno sono gemelle; una è di corno, e da essa escono i sogni che si dimostrano veri, l'altra è fatta d'avorio, ma da essa i Mani spediscono in terra solo sogni falsi.

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