30. LIBENTER HOC ET OMNE MILITABITUR BELLUM
Col trascorrere lento dei giorni senza azione, le voci si erano rincorse e moltiplicate nel suo orecchio, fino a formare un unico, incontestabile discorso.
Aidan aveva tentato con ogni mezzo di opporsi a quei ragionamenti che venivano instillati nella sua mente. Aveva cercato alibi e spiegazioni, ma alla fine le parole lo avevano abbandonato.
Tutti sapevano dell'infedeltà di Edhel e di Silanna, e tutti conoscevano la versione della storia o ne avevano una precisa opinione. Che senso avrebbe avuto ribattere che, nella maggior parte dei casi, erano ben lontane dalla realtà?
Si era convinto, a un certo punto, che gli sarebbe bastato pazientare. Con il tempo quegli avvenimenti sarebbero stati dimenticati e, infine, del tutto perdonati. Doveva solo resistere. Aspettare. E obbedire.
Slacciò il cordone del mantello e lo appese a uno dei ganci dell'armeria. Scrollò qualche fiocco di neve rimasto sugli stivali, quindi si avviò lungo le scale che conducevano al piano superiore.
"Ci ha traditi, offesi, ingannati! Ha legato il suo destino a quello dei nostri nemici! Lui, un principe di Arthalion!"
L'onda d'urto di quelle urla feroci raggiunse il suo orecchio mentre percorreva il buio corridoio che conduceva al salone centrale.
"Ha insultato il suo stesso sangue. Questa è la prova che gli Dei non esistono, altrimenti si sarebbero rifiutati di lasciarlo ancora in vita".
Se già il suo passo l'aveva trascinato fin lì senza alcuna voglia, quelle parole urlate con voce fosca gli fecero rallentare ancor più l'andatura e desiderare di poter andare altrove.
"Lascia che gli Dei riposino nelle loro dimore, Galanár".
La voce pacata del maestro Aegis gli accarezzò l'orecchio e gli trasmise almeno un po' di sollievo. Aidan varcò in silenzio la soglia della stanza ed entrò nel cono di luce incerto che le torce gettavano sul pavimento di pietra scura.
"Be', gli Dei dovrebbero almeno essere più accorti nel dispensare le proprie benedizioni", borbottò ancora il fratello.
L'elfo lo interruppe con un discreto colpo di tosse e gli comunicò con un cenno del capo l'arrivo dell'arciere. Aidan fece ancora qualche passo, poi si sfilò la cinta con i pugnali e la lasciò scivolare su una panca con un gesto stanco. Teneva gli occhi bassi, sembrava intento a osservare il modo in cui le sue armi si erano adagiate sul legno, indifferente agli sguardi del re e del maestro elfo. Non accennò nemmeno un saluto, e fu Galanár ad andargli incontro.
"Aidanhîn! Per fortuna sei qui, fratello".
Il giovane sollevò il viso e sembrò accogliere con triste stupore quell'ultimo epiteto.
"Cosa ti occorre, Galanár?", chiese.
Il tono di quella domanda era rassegnato e vuoto. Il re lo guardò con sospetto, come se stesse cercando di comprendere il suo stato d'animo.
O stesse valutando cosa farne di me.
"Giungono terribili notizie da Laurëgil. Notizie alle quali non avrei mai creduto, se i miei uomini più fedeli non avessero redatto di persona un dettagliato rapporto".
Lo sguardo di Aidan vagò dal fratello all'elfo, poi tornò indietro.
"Notizie di Edhel?"
Galanár si rabbuiò.
"Non gradisco che si pronunci quel nome in questa corte. I traditori del sangue e del regno non hanno un nome, sono solo delle sciagure per sé e per gli altri".
L'arciere si morse le labbra. Avrebbe voluto rispondergli che stavano comunque parlando di Edhel, e non di un comune manigoldo. Avrebbe voluto ribattere che era sempre suo fratello, il fratello che lui amava, ma Galanár sembrò leggergli nel pensiero e lo anticipò.
"Quello che era nostro fratello ci ha traditi. Dopo la sua fuga, si è rifugiato a Laurëgil. Non era ancora giunto alla rocca, che già la corte si apprestava a preparare paramenti e addobbi per la sua investitura".
Si fermò, lo guardò per accertarsi che stesse davvero ascoltando, ma il ragazzo non mostrò alcuna reazione di fronte a quella notizia. Il re gli strinse il braccio, impaziente di risvegliarlo da quello strano torpore e di ottenere da lui una risposta.
"Capisci cosa sto dicendo? Egli intende farsi re! In beffa al nostro sangue, in beffa alla nostra guerra, e alle vite e al tempo che qui stiamo sacrificando".
L'arciere annuì, ma non sembrava davvero toccato dalla gravità di quella minaccia paventata dal fratello. Sembrava piuttosto sul punto di dichiarare che gli stava spezzando il cuore senza alcun riguardo o di domandare quando quella tortura avrebbe avuto fine.
"Che cosa ti occorre, Galanár?", ripeté di nuovo, con fare meccanico.
Il fratello lo guardò con sicumera e sorrise lieve, come se stesse ordinando l'ultimo attacco a una città portata allo stremo dopo un lungo assedio.
"Ho bisogno di sapere che tu sei con me. Ho bisogno di sentirti pronunciare, qui e adesso, parole di lealtà e di affetto".
Il ragazzo si guardò attorno, confuso da quella richiesta. Non riusciva a pensare, né a interrogare il suo cuore. E, ammesso che ci fosse riuscito, per la prima volta da che era al mondo il cuore non aveva alcuna risposta da dargli.
Edhel, che hai fatto? E che farò io, adesso?
Conosceva la risposta. Una risposta che non richiedeva di essere messa in discussione: era pur sempre un cavaliere.
"Tu sei mio fratello, Galanár", rispose. "Il nostro sangue ti garantisce la mia lealtà per diritto di nascita. Sei il mio generale e io un tuo ufficiale. Davanti al re ho giurato di servirti e lo farò fino alla fine".
Tacque, poi chiuse gli occhi un istante, perché il sorriso di trionfo che si disegnò sul viso dell'altro gli sembrò più doloroso di una pugnalata.
Una volta, quando era bambino, Mellodin gli aveva detto che nessun uomo poteva conoscere il modo in cui sarebbe stato chiamato a servire. Forse a lui sarebbe toccato quello più amaro e doloroso. D'un tratto si sentì addosso lo sguardo di Aegis e lo ricambiò. L'incantatore gli indirizzò un lieve cenno con il capo. In qualche modo per lui incomprensibile, l'elfo stava soppesando il valore della sua anima. Con suo enorme sollievo, Galanár intercettò quello scambio muto e vi pose fine.
"Aegis, lasciaci soli. Ci sono alcune cose che vorrei discutere in privato con il principe Aidanhîn".
Il maestro prese commiato. Appena ebbe lasciato la sala, il re scrutò il fratello con scrupolo. Per un attimo, Aidan pensò che sembrava davvero in pensiero per lui.
"Sei turbato", commentò infine Galanár.
Aidan non rispose.
Turbato?
Cosa poteva saperne lui, in realtà? Ciò che lo sconvolgeva davvero non erano le notizie giunte da Laurëgil. Era l'indesiderata necessità di dover ridisegnare le coordinate di un rapporto d'affetto che era stato al centro del suo mondo da tutta la vita.
"Non preoccuparti", proseguì il maggiore con voce rassicurante. "Ogni cosa andrà al suo posto. La nostra priorità adesso è vincere la guerra ma, quando tutto sarà sistemato, Laurëlindon e il suo nuovo principe risponderanno di questo oltraggio a me, direttamente a me".
Aidan ebbe un sussulto, che si affrettò a nascondere.
"Che intendi fare?"
Galanár fece una smorfia, come se la questione di cui stavano discutendo fosse un fastidio di poco conto, e abbozzò un sorriso felino.
"Oh, quando sarà il momento, li prenderemo. E quando saranno in catene, avremo tutto il tempo per insegnare loro il significato di parole come lealtà, fedeltà e sincerità".
Sincerità.
Aidan chinò lo sguardo. Se solo Edhel fosse stato sincero con lui!
Cominciava a temere che il problema fosse un altro. Non Silanna, non la relazione con lei, ma i rapporti segreti che il suo gemello aveva intrattenuto con gli Elfi. Di quelli non aveva mai fatto parola. Forse un ultimo brandello di coscienza gli aveva impedito di confessargli quei desideri oscuri, distorti e ambiziosi. O forse temeva che lui non sarebbe riuscito a perdonarlo.
Sollevò le ciglia chiare e fissò il fratello con espressione disarmata. Dischiuse le labbra e modulò le parole a stento.
"Farò qualsiasi cosa".
Galanár si esibì in un'espressione sollevata.
"Mi togli un peso dal cuore. Ho bisogno di sapere con assoluta certezza che sarai pronto. Che, quando sarà necessario agire, avrai la forza per farlo e non ti tirerai indietro, qualunque siano gli ordini che riceverai".
Aidan annuì.
"Basterà che tu me lo chieda e obbedirò", ribadì, quella volta con maggiore sicurezza.
Aveva pronunciato quella promessa senza più un ripensamento e sapeva anche perché lo aveva fatto: eseguire ogni ordine di Galanár era la sola possibilità che aveva di acquisire in futuro il diritto di domandare la grazia per Edhel. Un baratto incerto, e anche un'idea folle, visto che non sapeva nemmeno se il gemello lo avrebbe voluto, ma doveva tentare comunque. Era l'unico modo che gli era venuto in mente per salvarlo e per potersi chiarire con lui.
"Posso andare, adesso?"
Aveva bisogno di restare da solo e di non parlare più di quella faccenda. Non era mai stato un amante dei lunghi ragionamenti. Era più un uomo del cuore e dell'azione. Nelle discussioni che si fondavano su logiche ferree e incerte alleanze annaspava sgraziato come un cigno spinto lontano dall'acqua.
"Certamente".
Galanár sorrise e non gli lesinò un'affettuosa pacca sulla spalla. Aidan valutò quel gesto per qualche istante, poi decise di non porsi altre domande. Ne aveva già a sufficienza a ingombrargli la testa.
Uscì dalla sala e si diresse verso il loggiato. Si accorse che il maestro Aegis era ancora lì, alla fine del lungo corridoio. Aveva tutta l'aria di essere in attesa del suo passaggio. Si fermò a pochi passi da lui, ma non disse nulla. Nessuno dei due si sentì in dovere di fingere che l'incontro fosse fortuito. L'elfo lo scrutò attento, come già aveva fatto in precedenza.
"Mi rincresce che questi discorsi vi abbiano rabbuiato lo spirito, altezza", esordì con tono comprensivo.
Il ragazzo non rispose, ma il suo silenzio risuonò come una conferma indiretta.
"Tuttavia", continuò l'elfo, "per quanto spiacevole vi sia potuta apparire, questa conversazione era necessaria".
Aidan si lasciò sfuggire una smorfia di disappunto.
"Necessaria? È davvero necessario che un fratello chieda all'altro simili giuramenti?"
"In alcuni casi, sì", fu la risposta pacata. "Perché il re sta investendo in questa guerra più di quanto egli stesso non voglia o non possa ammettere e, allo stato attuale, molte cose che un tempo avremmo ritenuto superflue, o addirittura disdicevoli, si rendono necessarie".
Aegis prese una pausa, durante la quale continuò a studiargli il viso.
"Non biasimatelo per questo", concluse. "Sono stato io a consigliargli questo colloquio".
Aidan saltò su per la sorpresa. Non era adirato per quella scoperta, solo sinceramente confuso.
"Perché?"
"Perché io non mi fido di voi".
L'espressione dell'arciere si fece corrucciata. Non capiva. Il suo comportamento non era mai stato meno che leale. Non aveva mai creato problemi di nessun genere.
"Che mai ho fatto, maestro, per meritarmi questo giudizio ingeneroso?"
La sua voce era incrinata dall'incertezza e dall'avvilimento che sentiva crescergli dentro, ma Aegis non mutò il suo atteggiamento calmo e condiscendente.
"Nulla. È solo che siete un Uomo, principe, e gli Uomini sono pieni di passioni".
Aidan abbassò gli occhi un istante.
"Siete ingiusto, Aegis. Anche il comandante Mellodin è un Uomo, eppure vi ho visto più volte affidare a lui la vostra stessa vita senza la minima esitazione".
Quello annuì benevolo, quasi si fosse atteso una simile obiezione.
"Conosco il comandante da tanti anni e da troppe battaglie, e lo conoscete anche voi. Converrete con me sul fatto che egli è, sotto molti punti di vista, un Uomo eccezionale e fuori dal comune".
L'arciere non replicò di fronte a quell'osservazione.
"Ma Aidanhîn, principe di Arthalion", proseguì il maestro con espressione grave, "conosce già la natura dei suoi desideri?"
Il ragazzo non riuscì a reggere quello sguardo. Comprese di non essersi ancora posto quella domanda e seppe, nello stesso istante, che presto o tardi avrebbe dovuto farlo.
"Servendo il re, io servo il regno. E servendo il regno, io servo i miei desideri".
"Una risposta giudiziosa ed equilibrata senza dubbio. Il comandante Mellodîn non si è sbagliato nel giudicarvi. Tuttavia la vostra diplomazia potrebbe non essere sufficiente, con il re".
"Ho appena fatto al re un giuramento di lealtà", protestò Aidan. "Che altro vi aspettate che io faccia?"
"Io non mi aspetto nulla. Io sono solo in pensiero per voi".
Aidan, a quel punto, lo guardò con vivo stupore. Se per un attimo si era sentito assalire dall'ansia e dall'irritazione, l'espressione sincera di Aegis lo spinse a rivalutare da principio quella discussione e a cercarne il vero significato.
"Perché dite questo?"
"Perché non avete nemmeno idea di ciò che avete fatto".
Il giovane si ritrasse con un movimento quasi impercettibile. In cuor suo cominciava a comprendere, ma la mente si rifiutava di accettare quella verità.
"Cosa farete davvero se il re dovesse chiedervi di arrivare fino alle estreme conseguenze?", lo incalzò l'elfo. "Se dovesse pretendere, per esempio, la vita di vostro fratello?"
"Non lo farà", lo interruppe Aidan con decisione, quasi volesse allontanare da sé quel sospetto. "Non lo farà, perché mi ha detto che l'avrebbe tenuto in vita".
"Sì, ma se ve lo ordinasse? Cosa farete allora?"
Aidan si sentì mancare il fiato. Si guardò attorno confuso e iniziò a tormentarsi le mani. Non voleva nemmeno prendere in considerazione quell'ipotesi, ma sentiva di non possedere le certezze necessarie a smontarle. Si arrese di fronte allo smarrimento che si era impadronito di lui e rivolse all'elfo uno sguardo che somigliava a una richiesta di aiuto.
"Io ho ancora bisogno di trovare delle risposte", confessò.
L'elfo gli restituì uno sguardo indulgente.
"Principe, ascoltatemi", cominciò con tono quasi paterno. "Sebbene non ci fosse alcun contratto ufficiale, nessuno di noi ha mai messo in dubbio la posizione di dama Silanna, né il ruolo che, presto o tardi, avrebbe acquisito. Se accettate questo punto, il principe Edhel è l'amante della moglie di suo fratello".
Il giovane fece un cenno di assenso con il capo.
"Inoltre, ha intrattenuto rapporti segreti con esponenti della schiera elfica che hanno sempre osteggiato il re e la sua politica. Ha abbandonato la nostra causa, del tutto incurante delle difficoltà che il nostro esercito sta affrontando e del destino cui andrebbe incontro la razza umana se dovessimo perdere la guerra. Se dovesse davvero farsi re degli Elfi, il sogno per cui abbiamo combattuto, per cui molti di noi hanno perso la vita, svanirà. Non ci potrà più essere pace tra Uomini ed Elfi".
Tacque un istante e guardò Aidan negli occhi.
"Voi approvate tutto questo?"
"No".
Non aveva esitato nel rispondere, anche se quella conclusione gli pesava. Aegis parve comprenderlo e, in qualche modo, apprezzare il suo sforzo.
"Allora avete le vostre risposte", concluse.
Lo studiò con cautela, come se avesse voluto accertarsi che stesse bene, poi si permise di sfiorargli il braccio con un moto affettuoso.
"Voi avete buon cuore, principe. Pregherò gli Dei perché vi diano consiglio".
Quell'ultima frase trasmise ad Aidan il senso definitivo di ciò che stava per accadere. La ruota della sorte era in movimento, i destini di ognuno di loro stavano mutando.
Nessuno conosce il modo in cui sarà chiamato a servire.
Si chiese se avrebbe potuto almeno conoscere il modo in cui sarebbe stato ripagato per il servizio reso e se quella ricompensa sarebbe stata sufficiente a sanare i colpi inferti da un destino che non aveva scelto.
NOTA DELL'AUTORE
Il titolo di questo capitolo (😢)riprende i versi di Orazio a Mecenate (Epodes, 1):
Libenter hoc et omne militabitur bellum in tua spem gratiae
Volentieri servirò in questa e in ogni guerra, sperando di piacerti
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