Benedetto il sangue puro di Laurëlindon,
consacrato dal fuoco della battaglia...
Edhel socchiuse le palpebre e sollevò il viso verso il soffitto. Dalle volte pioveva un leggero pulviscolo dorato. Attorno a lui, voci armoniose si rincorrevano e tessevano lodi.
Benedizioni della luce e dell'ombra...
Per un istante si domandò come riuscisse, quel bagliore accecante che dominava la scena, a riempire ogni angolo. Soprattutto, si chiese come mai lo stesse accogliendo dentro di sé con tanta naturalezza. Lui aveva sempre preferito il riparo dell'ombra.
Non ebbe il tempo di soffermarsi su quel pensiero. Il lento fluire di una processione lo obbligò ad avanzare. Si accorse allora di trovarsi al centro di un lungo corridoio. Ai lati, due file di elfi diafani si inchinavano al suo passaggio, mentre un gremito corteo lo seguiva.
Benedizioni tutte, voi qui evocate in questo sangue...
Il ragazzo si stava quasi abbandonando al piacere di quella litania, quando la vista di un volto noto lo riscosse. Il maestro Vargas torreggiava alla fine del passaggio, lo sguardo severo fisso su di lui. Subito pensò che avrebbe voluto trovarsi altrove. Se Aidan fosse stato lì, avrebbe di certo trovato una via di fuga, ma lui no, non ne era capace.
"La luce illumini le torri di Laurëgil", lo salutò l'incantatore, appena gli fu giunto di fronte.
Edhel sapeva quale risposta fosse consuetudine dare. Aprì la bocca per scandire la formula che aveva udito mille volte alla corte di suo padre, ma ciò che disse suonò diverso da ciò che aveva in mente.
"E porti la vittoria alle terre degli Elfi".
Si ritrasse, sorpreso. Perché aveva pronunciato quelle parole?
Si guardò intorno, desiderò tornare indietro e sottrarsi a quella cerimonia, ma il fiume di gente alle sue spalle lo obbligava a fronteggiare Vargas, che gli appariva altissimo e imponente. La sua figura si fece ancor più minacciosa quando si chinò verso di lui e gli poggiò sul capo un fascio di luce. Edhel sollevò le mani tremanti e toccò la corona che gli cingeva la testa.
Il diadema brillava nella luce dorata della stanza. Sembrava forgiato dell'oro più puro, ma pesava come un macigno. Il giovane pensò che sarebbe stato riprovevole lamentarsene, anche se il tormento aumentava di minuto in minuto. Doveva lasciarla lì dov'era. In fondo, era un onore indossare quel simbolo del potere e della regalità.
Ma se sono il re, allora posso fare quello che voglio!
Comprendere quella realtà e gettare un urlo liberatorio fu un attimo. Edhel cercò di togliersi quel cerchio che gli stringeva la testa, ma Vargas rise.
"Un re senza corona, non è un re", osservò.
Fu a quel punto che il ragazzo si accorse con sgomento di non riuscire a liberarsi di quell'oggetto. Cominciò a dibattersi ma, nonostante gli sforzi, non riuscì a sfilarsi il diadema dal capo. Sembrava ormai parte della sua stessa persona.
"Edheldûr, figlio di Maldor", gli soffiò all'orecchio una voce gentile.
Nell'udirla, l'incantatore si fermò di colpo e si girò per scoprire a chi appartenesse. Gli elfi attorno a lui erano spariti. Era rimasto solo, nella penombra di una stanza di cui non riusciva a intuire i limiti. Il suo cuore era in attesa, sospeso sul limitare dell'angoscia.
"Non è così che ti libererai del tuo peso", lo ammonì la voce, con lo stesso tono.
Il giovane serrò le palpebre e gettò indietro il capo.
"Aiutami, allora! Se sai come fare, liberami da questo peso, spirito o daimon che tu sia!"
"Esiste un unico modo per toglierti quella corona".
Edhel avvertì una presenza che aleggiava attorno al suo corpo come una spirale. L'impossibilità di vedere quell'essenza che lo sfiorava senza materializzarsi era frustrante.
"Dimmelo!"
"Ma bada bene, Edheldûr Maldorion: ciò che viene abbandonato, non potrà più essere recuperato. Vuoi davvero rinunciare?"
"Toglimi questa roba di dosso!", ribadì il ragazzo, stanco di aspettare.
Alla sua richiesta fece seguito un brusco silenzio. Lo spirito cessò ogni movimento e anche Edhel, di rimando, smise di agitarsi e rimase in attesa.
"Come desideri", concluse la voce. "Ecco la tua cura".
Nel buio fitto che era calato all'improvviso nella sala, Edhel non sapeva cosa aspettarsi. Il peso del diadema lo tormentava ancora e la presenza era scomparsa.
Da un angolo della stanza, alla sua destra, gli giunse infine un sibilo e uno sbuffo. Preso dalla paura, accese una lingua di fuoco e la fece danzare sul palmo aperto della mano. La sua luce, però, non era abbastanza intensa da rischiarare lo spazio attorno, nonostante gli ordini che lui aveva impartito. Edhel la osservò perplesso per qualche istante. In quel momento una bestia, simile a un felino e veloce come un lampo, emerse dall'ombra. Gli balzò addosso e lo inchiodò al suolo con strani artigli da rapace.
La voce ricomparve a sfiorargli l'orecchio.
"Desideri la morte, Edheldûr?", domandò suadente.
"No!", ribatté l'elfo con quanto fiato aveva in petto.
Il felino, allora, gli lacerò la gola e lui cominciò a soffocare nel proprio sangue.
"Allora svegliati", gli suggerì lo spirito. "Svegliati, Edhel...".
La voce sbiadì lentamente nella sua testa, ma non la sensazione di impotenza che lo inchiodava al suolo. Edhel non riusciva a muoversi.
"Svegliati!", gli urlò la voce furibonda di Galanár.
L'elfo spalancò gli occhi e vide il volto rabbioso del fratello chino sul suo. Era il ritratto della collera. Ispirava un terrore perfino maggiore di quello che aveva provato nel suo sogno. Con la mano sinistra lo bloccava contro il letto, con la destra brandiva Ariendil, che era sospesa sopra di lui. La punta affilata della spada poggiava sulla sua gola scoperta. Edhel si impose di restare immobile: gli sarebbe bastato un sussulto per trafiggersi da solo.
"Svegliati, maledetto!"
L'incantatore ebbe un'intuizione improvvisa e mormorò qualcosa di incomprensibile. Come un'onda che si riversa sulla battigia sferzandola con la schiuma, una colonna d'acqua si levò dal nulla e spinse Galanár per terra, ai piedi del letto, prima di esaurirsi in un ruggito violento.
Liberatosi dalla stretta, Edhel si alzò con agilità e si guardò attorno: Ariendil, nell'impatto, era volata via, troppo lontana perché potesse essere recuperata con rapidità. L'elfo sorrise e dalle labbra gli uscì un nuovo sussurro. La sottile lingua di fuoco, che tanto amava usare, si disegnò nell'aria. Il ragazzo ne afferrò l'estremità e la fece schioccare sul pavimento, sferzandola con un colpo secco.
Il re balzò in piedi, vide dove giaceva Ariendil e decise di lanciarsi sul fratello a mani nude. Edhel seguì il suo movimento con indifferenza, quindi scagliò con precisione la frusta contro di lui. La corda magica si avviluppò attorno a Galanár, gli strinse le braccia lungo i fianchi e lo immobilizzò. Quello ruggì di rabbia e cercò di divincolarsi ma, a ogni movimento, la frusta diventava più rovente. Guardò il fratello dritto negli occhi ed Edhel, a quel punto, non ebbe nemmeno bisogno di chiedergli il motivo della sua irruzione notturna.
Ah, Silanna! Che diamine hai combinato?
Maledisse tra sé la debolezza delle donne, quindi passò uno sguardo soddisfatto sul proprio operato.
"Volevi parlare di qualcosa, fratello?", chiese tranquillo.
"Parlare? Tu non hai il diritto di parlare!"
Edhel inarcò il sopracciglio con dispetto e la corda si strinse un po' di più. Il re, però, non sembrò impressionato da quel gesto. La sua furia era tale da impedirgli di sentire perfino la sofferenza fisica.
"Tu hai solo il dovere di rispondere e di ammettere ciò che hai fatto".
L'elfo lo esaminò con fare annoiato. Scandì un rapido ordine e Galanár si accorse di non essere più in grado di muovere la lingua. Edhel lo guardò con malignità.
"E cos'è che avrei fatto?", domandò con aria di celia. "Di quale terribile delitto mi sarei macchiato, maestà?"
Fece qualche passo verso il fratello per godere più da vicino della sua impotenza.
"Tu pensi di possederla?", proseguì. "Come possiedi un castello, una corona o un regno? Ti spetta anche lei, come tutto il resto, per il tuo diritto di primogenitura?"
Si fermò e lo considerò in silenzio.
"Ma noi non stiamo più parlando di privilegi, Galanár. Non esiste diritto, né primogenitura quando si tratta dei sentimenti".
Il re gli lanciò uno sguardo di fuoco. Ignorando il calore crescente della corda e insensibile a qualsiasi dolore che non fosse quello della sua anima, cominciò a lottare per liberarsi dal sortilegio.
Edhel lo osservò per un po', più incuriosito che preoccupato, poi sospirò un paio di parole in elfico e Galanár riuscì almeno a urlare tutta la sua ira.
Aidan era sveglio da un pezzo. Per l'esattezza da quando aveva udito l'ingresso del fratello maggiore nelle loro stanze. Lo aveva sentito muoversi verso la camera dove dormiva Edhel e aveva pensato che fosse meglio lasciarli discutere senza intervenire. Quando udì l'urlo rabbioso di Galanár, però, balzò giù dal letto e si precipitò nella stanza attigua senza perdere altro tempo.
La scena che si trovò di fronte era incredibile: il re era imprigionato da una corda fiammeggiante, mentre il suo gemello lo fissava con calma e distacco. Si comportava come se non si rendesse conto di cosa aveva appena fatto, e soprattutto a chi. Lo afferrò per un braccio e lo strattonò, sperando di ottenere una reazione.
"Per il cielo, Edhel! Che stregoneria è questa?"
La corda di fuoco si contrasse per un istante: qualcosa aveva vacillato nell'equilibrio interiore dell'incantatore. Aidan studiò quel mutamento, poi risalì fino al viso di Galanár e comprese dai suoi sforzi che non riusciva ad articolare parola.
"Perché fai questo a nostro fratello?", chiese sgomento. "È atroce!"
L'elfo si strinse nelle spalle e ignorò la domanda. Aidan, a quel punto, rinunciò a chiedere altre spiegazioni. Prese con entrambe le mani la corda di fuoco e cercò di spezzarla, ma in quel gesto inflisse a se stesso un dolore identico a quello provato dal re.
Edhel sobbalzò: non aveva previsto quella svolta. Scosse il capo contrariato e si affrettò a impartire un nuovo ordine. La fiamma cessò di bruciare, ma lui afferrò comunque Aidan da una spalla e, senza troppa grazia, lo allontanò da Galanár.
"Non è il caso di allarmarti", lo rimbrottò. "Stavo solo trattando affari con il re".
"Perché non provi a trattare i tuoi affari in modo onorevole, allora?", gli urlò in faccia il gemello, per nulla rassicurato.
Il viso di Edhel si contrasse in una smorfia di sorpresa, quindi di dolore.
"Gli sei così devoto? A lui, che non ha esitato a puntarmi una lama alla gola mentre dormivo?"
L'arciere si irrigidì di colpo, trattenne il suo impeto iniziale e si girò a fissare Galanár al colmo del suo stupore.
"Hai davvero fatto questo?"
Il re non batté ciglio e sostenne con fermezza il suo sguardo. A quel punto, Edhel disciolse la corda con una parola e lo liberò da ogni incantesimo. Sapeva che non avrebbe osato attaccarlo: il suo corpo era stato indebolito dal dolore e il suo spirito era stato placato dalla domanda di Aidan, che traboccava di delusione.
Galanár, in effetti, sembrava aver recuperato la padronanza di sé, assieme alla fredda alterigia che lo distingueva.
"Tu non avresti dovuto osare tanto, Edheldûr", commentò con distacco. "Non avresti dovuto nemmeno immaginare una simile offesa nei miei confronti".
"Oh...", si lasciò sfuggire l'elfo, con un sorrisetto. "Invece l'ho pensata, sai? E l'ho anche realizzata, proprio sotto i tuoi occhi. Conosci il fiume che scorre nel bosco, a fianco del castello? Be', la notte era chiara e tu eri tanto impegnato a pensare allo schieramento, ai tuoi uomini, alla battaglia...".
Aidan, all'udire quel discorso, ebbe un tuffo al cuore. Impallidì di fronte alla scena che gli si era disegnata alla perfezione nella testa, in ogni suo triste dettaglio. Cercò di allontanarla e sovrastò il fratello con la propria voce.
"Per gli Dei, Edhel! Rimangiati quella tua lingua avvelenata!"
Galanár, però, aveva udito a sufficienza. Quell'immagine si era presentata vivida e reale anche a lui, pur se non era presente, e aveva iniziato a divorargli il cuore. Scosse il capo per scacciarla.
"Non è possibile, non è da lei. Con la tua magia perversa devi averle confuso la mente".
"Silanna è un Daimonmaster", sbuffò Edhel. "Come potevo usare la magia sulla sua volontà senza che se ne accorgesse?"
"Devi averlo fatto!"
"Io non le ho fatto nulla", protestò Edhel ancor più forte. "Tranne conquistarla. Cosa che tu, Galanár, re di Foroddir per grazia tua e non degli Dei, non sei riuscito a fare".
"Edhel, taci!", sibilò ancora Aidan, nel vano tentativo di arginarlo.
"Coraggio, maestà!", lo sfidò Edhel, incurante dell'avvertimento. "Perché non stendi la potenza del tuo braccio e ci mostri come farai ad allontanarla da me?"
La replica di Galanár a quell'arroganza non si fece attendere. Con un movimento rapido e impetuoso, il re si lanciò ad afferrare Ariendil e, con un'abile torsione, la puntò alla gola del fratello. Edhel, per tutta risposta, puntò il palmo della mano contro di lui, pronto a scatenare uno dei suoi Daimon.
Entrambi, però, dovettero arrestarsi di colpo: un oscuro scintillio era balenato davanti a loro e li aveva obbligati a non muovere un muscolo. Aidan aveva estratto i suoi pugnali dalla cinta che si portava sempre addosso, si era lanciato in mezzo ai due contendenti e aveva incrociato le lame con abilità. I due coltelli puntavano con estrema precisione al petto di ognuno dei suoi fratelli. Forse Edhel e Galanár furono abbastanza pronti da fermarsi a un passo dal pericolo, o forse fu la maestria di Aidan a trattenere le armi alla giusta distanza. In ogni caso, era riuscito nel suo intento, perché i due contendenti indietreggiarono.
Il re lanciò all'arciere uno sguardo eloquente e, con estrema calma, allontanò il pugnale dal petto con il dorso della mano.
"Non temere, Aidanhîn: non ho intenzione di ucciderlo. Al contrario, desidero che viva e che non si perda nulla della mia vittoria", spiegò.
Era sorprendente come Galanár riuscisse a rimettersi sul viso quella maschera di imperturbabilità, nonostante la sua ira fosse tangibile. Riuscì ad apparire calmo e misurato perfino quando si rivolse all'incantatore.
"Riconosco un uomo da come si comporta sul campo di battaglia, Edheldûr, e tu non sfuggi a questa regola. Se fossi stato un altro, forse ti avrei lasciato prendere ciò che volevi, ma sei solo un codardo che cerca riparo nella magia. L'unico trionfo che sei riuscito a strapparmi con i tuoi incantesimi è stato giusto un po' di silenzio".
Mise Ariendil nel fodero con estrema cura e guardò Edhel una volta ancora.
"Troppo poco per una vera vittoria".
Fece un rapido cenno di saluto ad Aidan, come se fosse l'unico occupante della stanza, poi se ne andò senza attendere una replica.
Aidan concesse a se stesso di tornare a respirare. Per tutto il tempo in cui aveva tenuto le lame nude contro il petto dei suoi fratelli gli era sembrato di poterli ferire se avesse fatto un fiato di troppo. Lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi poi rinfoderò i pugnali da una parte e dall'altra della cinta.
Edhel seguì i suoi gesti senza osare parlare, nel tentativo di comprendere i suoi pensieri, ma non riuscì a scorgere nulla. Aidan non glielo stava permettendo. Non voleva che il gemello assistesse allo scontro che stava combattendo contro se stesso. L'istinto di rimproverarlo per ciò che aveva fatto si alternava alla paura che le sue azioni gli potessero costare la vita. Non riusciva a tollerare in lui la totale assenza di pentimento e la condotta tanto distante dalla sua idea di onore e di morale, ma non riusciva a non fargli da scudo quando si rendeva necessario.
"Non dovevi metterti in mezzo", mormorò l'elfo con aria fosca, come se fosse infine riuscito a leggergli la mente. "Tu non c'entravi nulla".
L'arciere scosse il capo, stizzito da quell'osservazione.
"Che storia è questa, Edhel? Tu e i tuoi dannati sortilegi!"
"Ti ho già spiegato un sacco di volte..."
"Che sei un Daimonmaster, e che lei è un Daimonmaster, e che siete immuni alla magia", si riprese subito la parola, sempre più spazientito. "Questa parte la so! È sul resto che mi hai mentito".
"Non mentivo!"
"Tutte le chiacchiere e i giuramenti..."
"Non mentivo!", ribadì Edhel. "Solo... non lo capivo, allora".
Aidan sospirò, rassegnato.
"Lei è...", esitò a trovare la parola giusta, ad assegnarle un ruolo.
"Speciale", sorrise Edhel, come se quella fosse l'unica conclusione possibile.
"Sì, d'accordo, ma non potresti..."
"No".
L'arciere lo studiò con una punta di disperazione. Sapeva già che era inutile tentare di farlo ragionare. Avrebbe dovuto accontentarsi di fare ciò che era in suo potere: temere per lui e sperare che la sorte non lo punisse con troppa ferocia.
"Arrivo a comprendere ogni cosa, Edhel: la passione, il desiderio, l'amore... ma esistono argomenti sui quali Galanár non conosce mezze misure. E tu sei di certo cosciente di aver toccato quello più delicato tra tutti".
L'elfo quasi non lo lasciò finire. Gli strinse il viso tra le mani e lo obbligò a guardarlo negli occhi.
"Aidan, lei mi ha fatto dimenticare l'infinito".
L'arciere si limitò a chiudere le palpebre.
Non c'è più speranza, allora!
Il senso profondo della frase pronunciata dal fratello era qualcosa di viscerale che solo loro condividevano e potevano capire. Tornò a fissarlo.
"Sta bene", concluse. "E cosa farai adesso?"
Edhel si ritrasse.
"Non lo so, non ci ho pensato".
Aidan aggrottò le sopracciglia. Avrebbe dovuto essere sorpreso, o almeno perplesso, ma si accorse di non provare né l'uno, né l'altro sentimento.
"Io ti voglio bene, ma tu sei stolto, fratello. Le azioni che compi per inseguire i tuoi desideri ti attireranno nemici e guai".
"Nai..."
L'elfo aveva accompagnato quella risposta con un sorriso, che però non trasmise ad Aidan nessuna gioia. C'era una tristezza silenziosa negli occhi di Edhel che arrivò a gelargli il cuore. D'istinto, gli serrò il braccio con la mano.
"Promettimi di non farti ammazzare", gli ingiunse.
Edhel lo fissò con la stessa intensità. Erano scomparsi la rabbia, il risentimento, l'idea del tradimento e ogni altro possibile ostacolo. A dispetto delle circostanze, riuscì a sentirsi felice.
"Sarebbe un problema per te?", scherzò a quel punto, con una smorfia complice che Aidan ricambiò.
"Altroché! Lo sai che sono io, l'unico al mondo che può farlo!"
NOTA DELL'AUTORE
Ramosa Hydra = L'Idra dalle molte teste
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