24. VENTUM ERAT AD LIMEN

Non avrebbe aspettato un segnale né un accordo. Doveva vederlo.

Silanna scivolò lungo il muro con accortezza, poi si fermò in un punto nascosto e aspettò che Aidan si fosse allontanato. 

Il suo cuore, sempre più tormentato, non avrebbe resistito oltre a quella snervante attesa. Avrebbe di certo finito per tradirsi con qualche intemperanza se non fosse riuscita a parlargli, a vederlo, a toccarlo in qualche modo.

Non avevano avuto più modo di incontrarsi dopo la notte fortuita trascorsa insieme. A volerci ragionare sopra, non v'era nulla di sospetto in quella circostanza. Nulla che non avessero sperimentato. Era già accaduto loro di dover pazientare per giorni, ma l'attesa aveva sempre amplificato in entrambi il desiderio di rivedersi. Quella volta, però, c'era qualcosa di diverso nell'atteggiamento di Edhel. Non aveva fatto o detto niente che potesse metterla in agitazione, né l'aveva manifestamente evitata, tuttavia sembrava non avere alcuna fretta di trascorrere di nuovo del tempo con lei.

Erano piccoli, trascurabili segnali che avevano messo in allarme il suo istinto di donna e risvegliato la paura che solo l'amore poteva mettere in corpo. Per questo doveva vederlo, per mettere a tacere le sue ansie o per dare loro consistenza reale.

Scivolò in fretta oltre la porta, che serrò dietro le spalle con un rumore secco. Edhel sobbalzò, si girò e se la ritrovò di fronte. Colto alla sprovvista dalla sua apparizione, non riuscì a nascondere il proprio turbamento.

Mormorò il suo nome con accento interrogativo, ma la voce gli venne meno nell'istante in cui Silanna gli cinse il collo con le braccia. Rispose all'istinto e allacciò le mani dietro la schiena di lei, ma un istante dopo usò quella stretta per scostarla dal suo corpo.

"Che ci fai qui?", bisbigliò nervoso.

Lei rinunciò a esser dura e sorrise, ma l'espressione del suo viso rimase tirata.

"Avevo bisogno di vederti", confessò.

Nemmeno quella resa parve addolcirlo. Edhel si guardò attorno come se temesse di veder sbucare qualcuno dall'ombra della stanza da un momento all'altro.

"Aidan sta tornando e..."

"Aidan è appena andato via", lo interruppe lei con tono di rimprovero.

Iniziò a provare un vivo fastidio per la sua reazione. Quell'incontro si stava rivelando molto diverso da come se l'era figurato. Gli ghermì il mento con una mano e lo obbligò a portare gli occhi su di lei.

"È successo qualcosa?"

"No", fu la risposta secca del ragazzo.

Silanna lo squadrò con sospetto. Non aveva nessuna ragione per sostenere che le stesse mentendo e non era così stupida da accusarlo senza prove.

"Penso che dovremmo parlare", azzardò.

Quella frase risuonò nella mente di Edhel come il rintocco di una campana che lo avvertiva di un imminente pericolo. Non voleva dirle una bugia, ma non era pronto a raccontarle la verità. Non riusciva a confessarla nemmeno a se stesso. Rivelarla a chiunque altro gli sembrava impossibile. 

Il terrore gli salì alla testa, assieme alla voglia di sfuggire a quel momento. Le serrò la nuca con la mano e incollò la bocca a quella di lei, nel tentativo di toglierle il respiro e insieme la parola. La spinse contro la superficie di legno della porta e si insinuò tra le sue labbra con prepotenza, fino a che Silanna cedette e rispose con la stessa passione. Quella vittoria, però, non sembrò soddisfarlo né placarlo. Al contrario, accese in lui una sorta di oscura frenesia, la stessa che spinge le acque agitate a rompere gli argini.

"E io penso che dovremmo fare altro", mormorò roco.

Si prese una breve pausa da quel bacio solo per iniziare a toglierle i vestiti. L'incantatrice si sentì sopraffatta da quell'assalto. Percepiva una nota stonata nell'armonia dei loro respiri affannati. D'altra parte, però, non era quella, la risposta che stava cercando? Non era ciò che era andata a esigere da lui? L'attenzione, lo spasimo e la voglia che, in tutti quei giorni, sembrava aver dimenticato di dimostrarle come avrebbe dovuto?

Si abbandonò, suo malgrado, a quelle carezze e si lasciò trascinare fino al letto, già privata della veste che lui aveva frettolosamente abbandonato sul pavimento.

Edhel non aggiunse nemmeno una parola. Aveva smesso di fare resistenza a se stesso, aveva deciso di fuggire dai suoi incubi. Non voleva parlare, non voleva ragionare, non voleva sentire più nulla. La disperazione che lo aveva accompagnato in ogni istante, di giorno, di notte, più perniciosa di una febbre, gli sembrò di poterla dimenticare in quell'abbraccio. Non desiderava altro: riuscire a non pensare, almeno per una manciata di minuti.

Fece distendere Silanna e subito scivolò sulla sua pelle. Lo bloccò con il suo peso e prese a baciarla senza staccare le labbra dal suo corpo, per non lasciarle il tempo di replicare, di reagire, di sfuggire al piacere di quell'assalto. I baci divennero morsi affamati, la carezza delle sue mani mutò in una stretta e un attimo dopo le entrò dentro con un movimento brusco, che le strappò un gemito che mescolava piacere e dolore, soddisfazione e sorpresa. Edhel non lo udì nemmeno. Stava affondando in lei e, allo stesso tempo e con la stessa intensità, stava affogando nella piacevole illusione di poter essere altrove, di poter sfuggire alle catene della sua mente. 

Una vertigine che gli fece perdere del tutto il controllo.

Silanna lo fissò allarmata. Aveva perso il contatto con lui proprio nell'istante in cui i loro corpi si erano fusi insieme. La crescente certezza che Edhel non fosse più con lei le aveva raffreddato il corpo e il cuore fino a farle sentire male.

Cinse con entrambe le mani il viso del ragazzo, quel viso che amava e che in quel momento le sembrava irriconoscibile, non più suo. Lo strinse, lo attirò a sé e l'obbligò a spalancare gli occhi sul suo sguardo spaventato.

"Edhel", sputò fuori a fatica. "Sii gentile, ti prego".

A quelle parole, lui si fermò e trattenne il fiato. Sbatté le palpebre un paio di volte, poi il suo sguardo corse con sgomento a osservare la scena: i segni delle sue dita febbrili e della sua bocca sulla pelle, il modo in cui si era avventato su di lei, in cui si stava muovendo. 

Chiuse gli occhi e si lasciò sfuggire un sospiro di frustrazione. Alla fine era accaduto ciò che più temeva: aveva perso il controllo fino a farle male.

Si sentì mancare il cuore, mentre Silanna lo studiava ancora con stupore. Nemmeno lei credeva alle parole che aveva appena pronunciato. 

Pregare Edhel di essere gentile?

Ciò che più apprezzava in lui era proprio il modo delicato con cui si era sempre sforzato di amarla. A letto, come nella vita, Edhel aveva una testardaggine infantile nel perseguire i propri scopi, e non gli importava quanto tempo gli sarebbe occorso per raggiungere il proprio obiettivo. Riusciva a essere quasi pragmatico nello sperimentare ogni aspetto della passione, ed era sempre pronto ad ascoltare e a soddisfare ogni sua richiesta. Cosa poteva essergli accaduto, per mutarlo a quel modo?

Quasi rispondendo a quel dubbio inespresso, lui si chinò e le sfiorò le labbra con delicatezza. Sembrava ancora senza fiato, incapace di parlare, incapace di chiederle scusa o di darle una spiegazione. Finirono di amarsi con la dolcezza che entrambi avevano sempre desiderato, ma qualcosa si era spezzato nella magia che condividevano. In qualche modo il dolore era riuscito a insinuarsi sotto la loro pelle.

Edhel si lasciò cadere sulla schiena e chiuse gli occhi. Non c'era soddisfazione sul suo viso, né gioia. Sembrava solo svuotato. 

Silanna lo studiò, ancora piena di domande. Sapeva che non era facile per lui accettare la loro situazione, ma il peso maggiore lo aveva comunque lei, che sopportava la crescente tortura di una recita infinita. Soprattutto di notte quando, nel buio e nel silenzio, ne stringeva tra le braccia uno e sognava l'altro.

L'elfa non rinunciò ad abbandonare la testa sul suo petto, come faceva sempre, ma restò con gli occhi aperti, a spiarlo di sottecchi. Per la prima volta da quando quella follia aveva avuto inizio, le balenò in mente che quella passione sarebbe anche potuta finire e provò un'atroce fitta al cuore.

"Che accade?"

Il suo sussurro aveva infranto la quiete che li proteggeva, ma Edhel non rispose. Silanna sentì un coltello che le attraversava il petto. Quel ragazzo non riusciva nemmeno a immaginare quanto la sua freddezza potesse ferirla. Essere esclusa dai suoi pensieri significava essere bandita dal proprio mondo visibile e invisibile, perché ogni parola di lui e ogni sorriso ne costituivano la parte migliore. Il suo silenzio era il dolore di una solitudine infinita.

Si morse le labbra e tornò alla carica con più decisione.

"Voglio una risposta, Edheldûr: che accade?"

Usava il suo nome a quel modo solo quando era furiosa. L'elfo distolse lo sguardo, ma non così in fretta da riuscire a nasconderne l'angoscia. Si sentiva braccato dagli occhi di lei e cercò di sollevarsi dal letto, ma Silanna glielo impedì. Si aggrappò al suo corpo con la ferocia di una gatta selvatica e gli piantò le unghie nella pelle candida.

"Tu non te ne andrai così! Non questa volta!"

Lui provò a sottrarsi alla sua stretta, mentre tentava di trovare una scusa per sgusciare fuori dalle sue braccia e da quella situazione.

"Silanna, sono stanco".

Lei si spazientì di fronte al suo maldestro tentativo. Si era ripromessa di non usare mai più la magia contro di lui, ma non riuscì a mantenere l'impegno. Con un colpo di vento freddo e violento, lo spinse tra le lenzuola e subito gli fu addosso.

"Non ti serve alcuna energia per rispondere a una semplice domanda", lo apostrofò con durezza. "Non dimenticare con chi hai a che fare. Non puoi liquidarmi con una delle tue sottili menzogne".

Edhel chiuse gli occhi e prese un profondo respiro. Il suo istinto naturale gli suggeriva di restituirle il favore. Avrebbe potuto infliggerle qualcuna delle sue magie e ristabilire la parità tra loro. Invece le strinse i polsi e l'attirò verso di sé. La costrinse ad accettare un suo bacio, che si protrasse fino a quando i muscoli di Silanna si ammorbidirono. Quando fu certo che si fosse calmata, si staccò da lei e la guardò.

"Io non ti ho mai mentito", disse con tono pacato.

"E allora non farlo nemmeno adesso".

Edhel sospirò. La fece scivolare al suo fianco, poi si sollevò dal letto. Silanna glielo permise, ma lo tenne sotto tiro con lo sguardo. L'elfo cercò qualcosa tra i vestiti ammonticchiati su una cassa, poi tornò verso di lei e le si fermò di fronte. Seduta tra le lenzuola disfatte, l'incantatrice sollevò lo sguardo fino al suo viso. La luce che penetrava dalla finestra alle sue spalle gli disegnava la sagoma, ma non le permetteva di vedere la sua espressione. Solo gli occhi gli brillavano di irrequietezza e ansia.

"Sai cos'è questo?", fu la domanda che gli sentì pronunciare con voce fosca.

Lei spostò lo sguardo sull'oggetto che le stava porgendo. Lo prese con delicatezza tra le dita e l'avvicinò a un raggio di sole che si posava sul letto. Quando ebbe rigirato l'anello con attenzione, si lasciò sfuggire un'esclamazione di sorpresa.

"Il sigillo reale di Laurëgil! Chi te lo ha dato?"

"Il maestro Vargas è stato qui, l'altra notte".

"Il maestro Vargas? Galanár non ha ricevuto nessuna ambasciata da Arthalion".

Gli vide chinare il capo e comprese che stava solo prendendo tempo. Sembrava indeciso su come continuare quel discorso.

"Non è venuto qui per Galanár, è venuto qui per me".

Silanna osservò una volta ancora l'incisione sul gioiello. La sua mente aveva già iniziato a costruire innumerevoli congetture, ma la sua lingua esitava a trasformarle in parole.

"Un messaggio del re degli Elfi", mormorò pensosa. "Cosa può mai volere Laurëgil da te?"

"Che io diventi re", fu la risposta secca.

Lei non riuscì a nascondere il suo stupore. Sapeva di averlo pensato. Anzi, era in assoluto la prima speculazione che la sua mente avesse elaborato, ma era troppo inebriante e folle, e l'aveva immediatamente scartata.

"Diventare re?"

"Vargas mi ha offerto la corona di Laurëgil".

Quelle parole gli erano venute fuori strozzate. Vacillava, ma Silanna non riusciva a comprendere il motivo di tanto turbamento: il suo cuore stava esultando. Tese la mano e gli sfiorò il viso con lentezza.

"Perché ti trema la voce?"

"Chi non tremerebbe di fronte a un simile pensiero?"

L'elfa si alzò in piedi, il suo corpo sfiorò quello di Edhel, la sua mano gli scivolò sul petto. Gli occhi le brillavano di bagliori dorati che lo spaventarono.

"Perché tremare?", proseguì lei con tono dolce e carico di emozione.

Sembrava una madre intenta a calmare il proprio bambino terrorizzato da un brutto sogno. A Edhel piacque il modo in cui la sua voce gli riempì le orecchie. Era avvolgente e rassicurante. Chiuse gli occhi e se ne lasciò cullare.

"E perché la tua espressione è così cupa?"

Le sue domande erano ammalianti come il canto di una sirena, ma qualcosa si spezzò nella testa di Edhel, un attimo prima di lasciarsi conquistare del tutto da quei suoni. Arretrò con un movimento repentino e si staccò da lei, come se impedire il contatto tra i loro corpi gli fosse necessario per non perdere il contatto con la realtà.

"Silanna, è una follia".

Lei lo fissò confusa: stentava a riconoscerlo. Il ragazzo istintivo e impetuoso che aveva imparato a domare e ad amare, quello che non si arrestava mai di fronte a nulla, sembrava sparito.

"Perché sarebbe una follia? Edhel, questo sigillo è una benedizione degli Dei!"

L'elfo scosse il capo con amarezza e rivolse lo sguardo altrove.

"Non vedo proprio come possa esserlo".

"Perché questa sarà la soluzione di ogni nostro problema", chiarì lei con veemenza. "Quando tu sarai re...".

"Silanna!", la interruppe lui brutale. "Questo si chiama tradimento!"

L'espressione sul volto di lei mutò con rapidità. L'entusiasmo e la radiosa felicità che vi albergavano fino a un attimo prima lasciarono spazio a una espressione grave. Gli puntò un dito sul petto e lo inchiodò con uno sguardo furente.

"Anche quello che hai fatto sul mio corpo qualche minuto fa si chiama tradimento!", esclamò adirata. "Eppure non mi sei sembrato così riluttante".

"La cosa non è uguale!", urlò Edhel nel tentativo di schermirsi.

"Non è uguale la cosa, ma è uguale la persona!", lo sovrastò la voce di Silanna.

Si era fatta nervosa e nelle sue parole c'era un ombra del rimorso. Quell'idea gettò Edhel in uno sconforto ancora più nero: Silanna aveva cominciato a vedere in quel sigillo la strada per sfuggire al conflitto che si portava dentro e non stava badando più a nulla, nemmeno a lui. Era così presa dalla sua personale malattia e dalla cura che pensava di aver trovato, da non capire cosa gli stesse chiedendo di fare. Non sentiva il peso delle sue parole e non vedeva le conseguenze che avrebbero potuto avere su tutti loro. Provò di nuovo l'amara sensazione che l'aveva sfiorato la notta in cui aveva discusso con il maestro Vargas: era solo, e sarebbe stato da solo anche di fronte a quella decisione.

"Silanna", mormorò nel tentativo di smussare i toni accalorati che aveva assunto quella discussione, "io sono ancora un principe di Arthalion. Lo capisci, vero?"

Lei chinò il capo e abbassò le ciglia. Sì, lo capiva, ma come poteva rinunciare? Ogni problema poteva essere risolto. Come poteva, Edhel, essere così cieco?

"Io non posso farlo", concluse il ragazzo.

"Se tu fossi re", ribatté ostinata, anche se la voce le si era ridotta a un filo, "io potrei essere di nuovo libera, e noi... noi potremmo stare insieme. Se tu fossi re...".

"Silanna..."

Lei gli poggiò la mano sulle labbra. Non lo voleva ascoltare, voleva restare in balia delle sue visioni.

"Se tu fossi re, potremmo andare via di qui ed essere felici".

Edhel scosse il capo. Le baciò le dita con tenerezza, ma subito le allontanò dalle labbra. Lasciò scivolare le mani tra i suoi capelli e le sollevò il viso per scrutarle gli occhi in silenzio.

Non era mai stato del tutto sicuro che il sogno di Silanna fosse anche il suo ma, dal momento che quel sogno si era fatto così grande e sciagurato insieme, non era più nemmeno sicuro di cosa avesse davvero desiderato lui.

L'abbracciò con uno slancio improvviso e le nascose il viso contro il suo petto con un gesto disperato.

"Io non posso farlo", scandì piano, una volta ancora.

Una lacrima scivolò sulla sua guancia, cadde e si confuse tra i capelli scuri di lei.

Non poteva dirle la verità, non poteva spezzarle il cuore a quel modo, ma l'unica persona a cui Edhel riusciva a pensare in quel momento era Aidan. Solamente Aidan.

NOTA DELL'AUTORE

Il titolo è un verso tratto dal Libro VI dell'Eneide di Virgilio:

Ventum erat ad limen, cum virgo "Poscere fata
tempus", ait. "Deus ecce deus".

Si era giunti alla soglia, quando la vergine "È il momento di chiedere
il futuro", disse. "Il dio, ecco il dio".

Enea è giunto nell'antro della Sibilla e sta per scoprire il suo destino. Il limen, quella soglia impercettibile eppure reale evocata da Virgilio, separa il noto dall'ignoto.

L'essere giunti ad limen trasmette il senso di vertigine, l'idea di essere arrivati al confine della storia, sul bordo dell'infinito e del possibile, che insieme ci tenta e ci spaventa.

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