22. SUB ROSA

Una, due, dieci altre volte: Silanna non sapeva più tenere il conto dei loro incontri. Quella passione aveva assunto i contorni di un delirio.

Edhel era un richiamo per la sua pelle e una poesia per la sua mente. Se all'inizio era irruente e impaziente, una volta sfogato il furore dei primi assalti aveva imparato a essere attento. Il corpo di Silanna e ogni sua possibile reazione erano diventati un inusuale oggetto di studio per lui, che vi si applicava con la stessa caparbietà che mostrava quando voleva padroneggiare un nuovo sapere.

Erano ogni giorno più coinvolti e, allo stesso tempo, più imprudenti. Rischiava Edhel ogni volta che non riusciva a impedirsi di baciarla quando pensavano di essere soli o di sfiorarla quando si trovavano vicini. Rischiava Silanna quando si attardava tra le sue braccia dopo l'amore. Il timore di essere scoperti finì per diventare un altro elemento della loro eccitazione, piuttosto che un monito per la prudenza.

Con il passare del tempo, fu chiaro a entrambi che non era più solo la passione a consumarli.

All'inizio c'era stata solo un'enorme curiosità, poi la voglia di scoprire ogni dettaglio l'uno della vita dell'altra, e infine il desiderio di riuscire a toccarsi oltre la pelle. Edhel, se lasciato a briglia sciolta, era irrefrenabile: aveva sempre domande e opinioni su questo o su quell'argomento. Mostrava un genuino interesse per tutto ciò che lei era e pensava, un'attenzione che affascinava Silanna molto più della seduzione che lui sapeva esercitare sul suo corpo.

L'essere entrambi Daimonmaster li liberava dalla preoccupazione di ciò che potevano dirsi, così sempre più spesso, durante i loro incontri, non si limitavano più a divorarsi l'un l'altra, ma si cibavano anche di parole sussurrate. Quella condivisione spirituale, che li isolava dal resto del mondo, divenne presto una vera droga.

"Com'è crescere in una corte di uomini? Non riesco a figurarmelo".

Silanna era rannicchiata su un fianco, la testa appoggiata sull'addome di Edhel, gli occhi dorati che lo scrutavano. Lui giocava arricciando una ciocca dei suoi capelli d'inchiostro, mentre l'altra mano si intrecciava con quella di lei.

Il sole inondava la stanza. Doveva quasi essere mezzodì. Era più facile per loro ritagliarsi del tempo durante il giorno, quando tutti erano alle prese con le proprie mansioni militari. La notte era loro vietata. La notte era di Galanár, anche se Edhel faceva di tutto per allontanare quel pensiero.

"Se ci nasci", rispose tranquillo, "non ti rendi conto della differenza, se non dopo molto tempo. Quando sei bambino ti sembra che sia tutto normale: tuo padre è un Uomo, tua madre un Elfo, tuo fratello un Mezzelfo, e pensi che ogni famiglia sia stramba a modo suo".

"E Aidan? Cambi sempre discorso quando si parla di lui, ma è impossibile che voi due non vi siate mai posti delle domande sulla vostra diversità".

Gli occhi di Edhel si accesero di un lampo azzurro quando li spalancò per guardarla. Smise di giocare e poggiò la mano sulla sua testa, con una carezza.

"Il principe Atano e il principe Elda: così ci chiamavano. Per distinguerci. Un buon modo per semplificare la questione, certo, però con il tempo tutti sembrano aver dimenticato la verità. Persino Aidan".

"Quale verità?"

"Sono sicuro che tu te ne sia accorta: Aidan ha una vista eccezionale, che va ben oltre le capacità umane, e possiede un'agilità sorprendente".

"Sì, lo ricordo", mormorò Silanna, tornandoci con la memoria. "La sera del banchetto, ad Arthalion... sembrava danzare con le spade".

Edhel annuì.

"La verità è appunto questa: nessuno di noi tre è qualcosa in purezza. Galanár ha avuto solo la fortuna di manifestarlo con perfetto equilibrio".

Anche parlare del re era diventato, se non normale, almeno possibile tra loro, così Silanna si concentrò sulla spiegazione che lui le aveva fornito, piuttosto che su quel nome.

"Aidan ha i sensi e i movimenti di un Elfo...", osservò, ragionando ad alta voce. "E tu, invece? Tu cosa hai ereditato dagli Uomini?"

Il principe sembrò esitare prima di rispondere. Appoggiata sul suo petto, lei poteva sentire che il suo cuore aveva accelerato i battiti.

"Io non riesco a controllarmi, a mettermi un freno. Sono impulsivo, irruente, eccessivo...".

Prese una pausa, si concesse un sorriso e una carezza al corpo di lei.

"A questo punto dovrei aggiungere anche lascivo all'elenco, suppongo", scherzò, ma subito tornò serio. "Fin quando ho vissuto ad Arthalion, non avevo mai dato peso alla faccenda: pensavo fosse solo un lato del mio carattere. Qui a Foroddir, però, ho cominciato a osservare te ed Aegis, e Anárion e la sua corte di Elfi. La vostra calma ieratica, il vostro atteggiamento compassato, la capacità di ponderare le situazioni: tutto questo vi accomuna e... è razziale e non c'entra niente con me".

Aveva pronunciato l'ultima frase con estrema tristezza. Silanna si sollevò e lo guardò meravigliata.

"Un Elfo con il cuore di un Uomo...", bisbigliò con tenerezza, carezzandogli il viso. "È bellissimo".

"È una sventura!", la interruppe. "Tanta potenza unita al trasporto sentimentale di un Uomo è solo una sventura. Ricordi lo scontro con i Nani, quando mi hai salvato?"

Lei annuì e sorrise al pensiero di quella scena, ma Edhel proseguì con tono cupo.

"Li ho quasi ammazzati, quei maghi umani che erano con me. Non era mia intenzione, non volevo farlo, ma a un certo punto ero talmente in balia delle mie emozioni da averli dimenticati. Era così esaltante, il potere che provavo, che non volevo staccarmene. Una volta ho rischiato di uccidere Aidan per la rabbia, e non me lo sono mai perdonato. Persino quando sono con te, quando stiamo insieme e sto per arrivare al limite, sento di dover restare vigile, di dover mantenere il controllo. Se non lo facessi, temo che potrei farti del male, ed è l'ultima cosa che desidero".

Silanna provò l'istinto di abbracciarlo, di stringerlo, di sussurrargli di non aver paura. In qualche modo, però, capì che la sua carezza lo avrebbe solo ferito. Lo avrebbe fatto sentire compatito. Rinunciò e lo lasciò libero di esprimere ad alta voce, forse per la prima volta, i suoi dubbi e le sue angosce segrete.

"Entrare a contatto con la vera cultura elfica mi ha obbligato a rivedere tutto il mio mondo. Ho cominciato a farmi domande su cosa sono davvero e su quale sia il mio posto, e forse sarebbe stato più saggio non farlo. Adwen una volta mi ha detto che non si dovrebbe alterare ciò che è stato già decretato. Allora non le ho dato importanza, ma forse un po' di ragione l'aveva perché, appena ho iniziato a interrogarmi, ho messo in dubbio ogni certezza. Sono arrivato perfino a chiedermi come mia madre abbia potuto rinunciare alla propria vita a Laurëgil per sposare mio padre. Pensa... criticare la base della mia stessa esistenza!"

Silanna lo studiò con attenzione, mentre esponeva un pensiero che, in fondo, riguardava anche lei. O che avrebbe dovuto riguardarla.

"Perché ti sembra così strano?"

"Perché un'Elfa dovrebbe scegliere un Uomo che invecchierà e morirà molto prima di lei, condannandola a una vita di solitudine? Perché dovrebbe tollerare la sua congenita limitatezza dello spirito, la sua fragilità mentale, la difficoltà di procreare dei figli che poi non si sa nemmeno bene cosa siano?"

"I figli sono figli in qualsiasi caso", rispose Silanna. "E la risposta è semplice, per la verità: amore. L'unico sentimento che tutti riconosciamo, che non è razziale, come diresti tu".

"Amore...", mormorò il ragazzo, come se cercasse di dare forma concreta alla parola.

"Abbiamo avuto entrambi delle madri molto coraggiose, Edheldûr. Dovremmo esserne fieri, invece di giudicarle".

"Tu ne sei fiera?"

"Mia madre era un Daimonmaster della Terra", cominciò lei. "Viveva a Valkano. Era una curatrice molto capace, conosceva il potere delle piante e l'arte di curare a grande distanza".

"È da lei che hai imparato?", chiese Edhel, riprendendo a disegnarle la pelle con le dita, mentre lei si era girata a fissare il soffitto.

"Sì. Spesso andava nei boschi a cercare le sue piante. Fu lì che incontrò mio padre. Era poco più che una ragazzina, lui molto più anziano. Ed era un Elfo Scuro. Viveva nascosto nella foresta, evitando al minimo i contatti con l'esterno. Non c'era alcun motivo per cui lei avrebbe dovuto interessarsi a un uomo simile, eppure se ne innamorò. Una passione folle, proibita, che la portò a fuggire da Valkano per salvarsi la vita e per poter vivere con lui".

"Lei era incinta? Di te?"

"Sì, e per alcuni anni fummo felici. È come hai detto prima: finché non conosci il mondo fuori, tutto ti sembra normale. Non trovi strano che tuo padre abbia la carnagione scura e tua madre no. Non pensi che vivere nascosti sia una scelta ben precisa e, soprattutto, non pensi che sia così importante mantenere il segreto... da bambino non capisci che parlare a qualcuno della tua famiglia può metterla in pericolo".

"Ah...", esclamò Edhel nell'istante in cui le sue dita incontrarono una lacrima sul viso che stava accarezzando.

"Ci trovarono un giorno in cui io e lei eravamo andate in città per il mercato. La portarono via e io mi ritrovai da sola. Non sono più riuscita a tornare a casa".

"Perché hanno fatto una cosa simile?"

"Valkano non è... non era un posto in cui potevi andare e venire a tuo piacimento. C'erano regole ferree e disciplina. Esistono molti voti che obbligano all'ubbidienza, alla castità, al segreto. Nessun Daimonmaster, di norma, viene tirato su nel modo selvaggio con cui sei stato addestrato tu".

Edhel sospirò e non disse nulla. Non aveva ancora trovato il coraggio di parlarle dei dubbi che nutriva sul suo bizzarro apprendistato e sul misterioso operato del maestro Vargas, ma pensò che un giorno avrebbe dovuto farlo.

"Le trovarono un marito scelto da loro e la costrinsero a sposarlo", proseguì Silanna, "per mettere a tacere lo scandalo".

"Il padre di Adwen?"

"Elles è un uomo onesto e buono, a quanto mi hanno detto. Era gentile con mia madre e non le ha fatto mancare nulla, fino a quando non è morta. Io non l'ho mai più rivista, ma Adwen me la ricorda molto".

"Lo dici come se ti dispiacesse non essere tu a somigliarle".

"Per la verità ho sempre pregato di non somigliarle affatto. Pregato di non finire come lei, di avere un destino diverso, e c'ero pure riuscita... prima di te!"

Scese una strana tristezza tra loro, dopo quell'ultima osservazione. Erano quelli i momenti in cui entrambi raggiungevano la consapevolezza di vivere sospesi in un mondo che si reggeva sulla solidità di un abbraccio.

Edhel non era sicuro di sapere come fare a traslare quella fantasia sul piano della realtà. Né se lo desiderava davvero. Quel tempo del loro amore era così perfetto nella sua immaterialità che a volte desiderava fermarlo in quell'attimo di esistenza, senza cercare altro. Quando Silanna, però, esprimeva nei sospiri e nelle mezze frasi le sue perplessità e le sue angosce, gli si ripresentava l'obbligo di fare qualcosa per lei, per sollevarla da quei pensieri, per portarla di nuovo lontano, dove poteva esistere solo la magia di ciò che erano e di ciò che provavano.

Si sollevò, la prese tra le braccia e iniziò a baciarla piano, poi si fermò a un soffio dal suo orecchio.

"Forse Valkano non era il luogo meraviglioso che sognavo da piccolo", osservò, riportando il discorso in una diversa direzione, per distrarla dal suo dolore. "Però avrei voluto comunque crescere là. Il modo selvaggio, come lo definisci tu, ha lasciato tante voragini che devo ancora colmare..."

Lei sollevò il viso dalla spalla di Edhel, dove si era rifugiata ad ascoltare, e lo guardò perplessa, interrogando l'esitazione che non gli aveva fatto concludere il proprio pensiero. Qualcosa, in quella interruzione, le trasmise un brivido di paura.

"Ma hai affrontato la Prova, no?", domandò, mentre già si dava da sé una risposta che avrebbe preferito non sapere. "Qualcuno, un Maestro... lo stesso Vargas, suppongo... ti ha addestrato per farlo".

"L'ho fatto da solo", confermò lui, rivolgendo lo sguardo altrove e schivando quello di lei, come se gli pesasse quell'ammissione.

Silanna ebbe un moto di stupore e di terrore insieme che non seppe nascondere.

"Per gli Dei, Edhel...", mormorò preoccupata. "Che cosa hai fatto?"

L'apprensione nella sua voce lo fece quasi vergognare di quella confessione. Silanna sembrava davvero in ansia per lui che, al contrario, non si era mai fermato a riflettere abbastanza sui pericoli e sulle proibizioni legate alle sue azioni. Per non parlare del fatto che aveva trascinato la stessa Adwen in una situazione ancora peggiore, circostanza della quale la sorella non era ancora al corrente e che Edhel preferiva tacerle.

"Be', sono vivo", abbozzò. "Sono qui".

Il viso di lei si contrasse. Sollevò la mano a sfiorargli la guancia, poi gli adagiò un bacio lento sulle labbra. Sembrava sul punto di versare una lacrima per uno spavento che era già passato.

"Potevi morire", sussurrò sulla sua bocca.

Fu solo in quel momento che Edhel lo realizzò davvero: sì, poteva morire. Le strinse la nuca con una mano e affondò tra le sue labbra, alla ricerca di un bacio profondo capace di cancellare quell'idea. Il pensiero di perdere la vita si era mescolato alla paura di perdere lei. Doveva seriamente iniziare a prendere in considerazione il problema e imparare a contenere il proprio potere.

"Sono qui", ripeté senza fiato, staccandosi appena dalla sua bocca.

Rimase poggiato con la fronte su quella di lei il tempo di calmare il respiro. Poi, come il vento durante un temporale estivo, scacciò via le nuvole che gli si stavano addensando sul viso e sorrise come se nulla fosse accaduto.

"Però puoi togliermi parecchie curiosità", propose allegro.

Silanna annuì, si sforzò di tornare a sua volta a sorridere e si sistemò meglio sulle gambe raccolte.

"Cos'è un supremo Daimonmaster?", le chiese diretto.

L'incantatrice rise. Si era aspettata una domanda più specifica o più complicata, ma Edhel l'aveva sorpresa una volta ancora con una richiesta da ragazzino che si incuriosiva solo delle stranezze.

"Oh, quello... è solo una leggenda!", ribatté con uno sguardo canzonatorio.

"Una leggenda?"

"Sono passati secoli dall'ultima volta che, a quel che si dice, ce ne fosse ancora uno. Nessuno dei Maestri viventi sa cosa sia o che particolarità possieda. Si raccontano un mucchio di storie al riguardo, ma è impossibile stabilire quale sia vera e quale immaginaria"

Edhel rimase per qualche istante a rimuginare. Era partito dal punto sbagliato. Come sempre, aveva mirato subito in alto, dimenticando che ogni impresa si costruisce dalle fondamenta.

"Sei deluso?", chiese lei affettuosa.

Lui scosse il capo.

"No. Stavo solo riflettendo".

Le strinse le mani con slancio e le cercò gli occhi, immobilizzandola con uno sguardo intenso, che sarebbe bastato da solo a farla cedere alle sue richieste.

"Silanna, io vorrei... mi insegneresti a controllare la magia?"

Lei ebbe un moto di vivo stupore di fronte a quelle parole e al tono dimesso con cui le aveva pronunciate. Rise senza volerlo, ma era una risata che nascondeva un'intima gioia.

"Che fine ha fatto il talentuoso Daimonmaster che incendia ciò che vuole e non ha bisogno del consiglio di nessuno?"

Edhel cominciò a far scorrere le mani sulle sue braccia, percorrendole con una punta di nervosismo.

"Andiamo!", sorrise suo malgrado. "Chiedere aiuto non è mai stato il più spiccato dei miei molti talenti, lo sai".

Risalì fino a cingerle il viso, quindi si tese verso di lei e cominciò a tormentarle la bocca con le labbra, delicato e ostinato allo stesso tempo. Discese a piccoli baci fino al cuore, quindi la spinse indietro e la fece sdraiare, per continuare il suo metodico disegno. Quando anche le dita aggiunsero la propria opera a quel lavoro, Edhel sentì che Silanna si stava di nuovo abbandonando alla sua volontà. Un istante prima di annullarsi a sua volta in quel piacere, sollevò il capo dal suo corpo e le lanciò uno sguardo seducente.

"Mi guiderai?", fu il suo ultimo sussurro. "Lo farai, per me?"

"Sì".

NOTA DELL'AUTORE

Anche in questo caso, i lettori di Opera e dintorni sanno già di cosa parliamo 😏

A ennesima dimostrazione del fatto che tutte le idee che ho sviluppato in seguito per le mie storie sono nate, in un modo o nell'altro, mentre cercavo e studiavo il materiale per la saga di Arthalion ❤️

Per chi non ha letto la Guida dedicata a Opera, Sub rosa è la forma abbreviata dell'espressione latina Sub rosa dicta velata est, ovvero Ciò che viene detto sotto la rosa è segreto.

Anticamente la rosa era simbolo di riservatezza. Quando, nel corso di una discussione, si poneva una rosa sul tavolo, tutti coloro che vi partecipavano si impegnavano a tenere segreto ciò che era stato detto o ascoltato. All'epoca della stesura di Arthalion, questa immagine mi aveva affascinato a tal punto da sceglierla per rappresentare le confidenze scambiate tra i nostri due amanti.

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